Memorie di Guerra Puntata 1°

Fa ciò che devi – avvenga che può.
La grandezza dell’Uomo è il Dovere”
A Voi, Bombardieri, miscuglio glorioso di tutte le armi, pare non abbia ancora pensato nessuno.
Voi foste, nel più duro della guerra, una rivelazione; ma nel dopoguerra, nella quiete che scende dopo la vittoria fatidica, nessuno ha creduto di mettere in luce l’opera vostra. Io, vostro compagno, che ho combattuto, penato e vinto con Voi, voglio riparlarVi oggi, e dire umilmente ciò che sempre pensai. Voglio ricordare quella Vostra e mia vita con semplice e veritiera sintesi, così come con vera e semplice devozione noi volemmo dare la vita per la causa della nostra Patria.
Solo lascerete che io dica pure un poco dei nostri fratelli maggiori, gli artiglieri d’assedio; di quell’artiglieria di medio e grosso calibro che non è stata apprezzata appieno, perché ritenuta una specialità sicura o quasi…, mentre tanti furono i suoi eroismi, e tante le sue vite falciate !
“Taccola, ritira un po’ coteste gambe, che prendono tutto !”. Siamo sul treno che è partito da Sampierdarena il 5 maggio, diretto al Trentino. Fra giorni sarà dichiarata la guerra; perciò il popolo ci ha salutato con festa, con fiori e baci.
E’ credenza comune che la guerra si risolverà in pochi mesi. Aver lasciato quest’opinione nel popolo fu il primo errore, ché si trattò come un bambino cui si danno dolci perché inghiotta la pillola amara, quello che avrebbe dovuto sostenere la prova e tendere la volontà fino allo spasimo.
Arrivo a Schio; pernottamento ad Arsiero. Il mattino seguente, in marcia per Campomolòn (1800 metri sul livello del mare). Marcia disastrosa, fatta senza un precedente allenamento, zaino in spalla. Affamati, gli ultimi giunsero con ritardo di dodici ore sui primi. Dormivamo in baracche su terreno umido senza paglia, mentre fuori è neve alta, snervati. Al mattino, è un tanfo di corpi in traspirazione. Io corro all’aperto, e l’aria fresca e pura dell’alba montana mi vivifica. Sono in montagna per la prima volta; e queste cime ammantate di bianco, queste vallate pittoresche, queste abetaie fitte meravigliose, mi fanno amare i monti, di un amore che mi resterà nel sangue, come per le cose che son care e desiderate tutta la vita.
Cominciamo il traino dei pezzi da 149 G., che dovremmo postare a Costa Mesole (1700 m.), in mezzo alle piogge della primavera, che sciòlgon le nevi ma inzuppano noi costretti al lavoro dall’alba al tramonto. Lavoro faticoso, estenuante; i cannoni montati vengono posti su carrelli, e tirati su da cordate di uomini, per le aspre mulattiere che spesso lasciano affondare il carrello, col pericolo, nelle svolte strette, di far tutto precipitare. E’ il così detto traino, in cui occorre molta perizia degli ufficiali e ubbidienza cieca degli uomini.
Molte volte le “trinelle”, le grosse corde, si rompono e il pezzo affonda: allora leve e sforzi, e quando il pezzo è liberato, e la cordata nuovamente pronta, fra gli uomini curvi alle ruote, un grido echeggia: “Pronti ? Forza !”, dopo di che il cannone ha un sussulto di bestione moribondo che pungolato sobbalzi in avanti.
Pur prodigandoci fino all’esaurimento, facciamo solo poche centinaia di metri al giorno; e il 23 bisogna essere in postazione pronti al fuoco.
Dunque la guerra scoppierà il 24.
Comprendiamo che essere a posto in tempo sarà un vantaggio, ma tuttavia non vi si riuscirà da soli. Finalmente mandano una compagnia di fanti, e con questo rinforzo la bisogna è compiuta. Ci mettiamo a far le piazzole.
Erano state fatte preparare dai civili dei paesi vicini, delle piazzole: errore madornale. Il proietto non avrebbe potuto superare la cima della montagna che si defilava alla vista.
Coloro la sapevano lunga; ci dissero: “Questo settore sarà calmo, almeno sul principio; l’attacco a fondo avverrà sul Carso”. Lo sapevano dagli austriaci.
Noi coprimmo di tronchi d’albero le piazzole malfatte, che paressero in servizio, al nemico, e ne facemmo, più indietro, delle nuove, ben mascherate.
Menardo Taccola

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