La luna un elemento naturale che condizionò fortemente la vita del soldato all'interno della trincea
I
soldati, con le loro uniformi lacere come lo spirito, si mischiavano
con il fango, il sudiciume. Di notte non si dormiva in trincea, si
combatteva contro le paure, la sensazione di sonno, il continuo
bruciore agli occhi dovuto alle ore insonni. Non c'era più nulla di
romantico nelle nottate di guerra. La trincea di notte diventava una
città di ombre curve. Con il buio, il pericolo proveniva dalle
pattuglie che strisciando sul terreno cercavano di raggiungere la
trincea nemica per far saltare i reticolati. Nelle lettere tali
imprese erano spesso raccontate ai familiari: “Stanotte devo
portare un altro tubo di gelatina; ora però ho tempo, ho tutto
preparato e mi voglio spingere fino ai reticolati nemici. Uscirò
alle due e mezzo”
Durante
le lunghe notti passate sul Carso oppure arrampicati sulle vette
delle Dolomiti, il chiarore della luna rappresentò, invece, un vero
e proprio “guaio” per i soldati. Col suo crepuscolo essa riusciva
a rendere ancora più difficili i più piccoli movimenti; in più la
sua luminosità creò grosse difficoltà alle pattuglie che speravano
di sfruttare l'oscurità per avvicinarsi alla trincea nemica oppure
per effettuare un giro di ricognizione; Luciano Viazzi nel suo Col di
Lana riporta la testimonianza del sottotenente Castani che scriveva a
proposito di un'operazione svolta sotto i raggi della luna piena:
“Era una luna piena, ci si vedeva come se fosse giorno sicchè
prima di prendere la corsa ci è convenuto aspettare che la nuvola,
passando davanti alla luna, ne abbassare un poco la luce […].
Quando la luna usciva dalle nuvole ci abbassavano e rimanevano
immobili, stesi per terra per non tradirci […] il cielo, con la
luna allo zenit, diventò ad un tratto così luminoso che ci fu
impossibile continuare il lavoro”
Tra
una fucilata e l'altra – da Vita di Trincea di Alessandro Magnifici
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