Roma conquista l’Italia: Sanniti, Galli e Taranto
Le
vicende storiche della conquista dell'Italia centrale sono molto
difficili di ricostruire perché le fonti sono poche e poco
attendibili, in quanto scritte quattro secoli dopo. Pochi anni dopo
la vittoria su Veio l’espansione romana si arrestò perché
l'Italia fu invasa da un popolo molto forte dal punto di vista
militare: i Celti, chiamati Galli dai Romani. I Celti riuscirono ad
occupare in massa la Pianura Padana e nel 390 a. C. scesero
facilmente verso il Lazio, capeggiati da Brenno. La Lega Latina cercò
di sbarrargli la strada, ma fu sconfitta; a quel punto i Galli prima
saccheggiarono Chiusi e poi puntarono su Roma. I Romani, per
difendersi, ordinarono la leva di massa ma furono sconfitti con
facilità. Costretti ad abbandonare la città in preda al nemico, si
rinchiusero nel Campidoglio e ovviamente Brenno ordinò il saccheggio
di Roma. Per fortuna i Galli erano interessati soltanto al bottino e
non al possesso delle terre e quindi, dopo aver ottenuto un cospicuo
riscatto, tornarono al nord, anche perché, nel fratttempo, le loro
terre stavano per essere saccheggiate da un'altra popolazione. Dopo
lo scampato pericolo i Romani fecero costruire della mura più alte e
più grandi. Brenno mise in luce la debolezza militare di Roma e
quindi, nel 340 a. C., alcune città latine e etrusche si ribellarono
alla Lega latina, comandata da Roma. Soltanto dopo decenni di guerre,
i Romani riuscirono a sottomettere gli Etruschi e a fare la pace con
le altre città latine, ristabilendo il prestigio dell'esercito
romano. Roma sciolse la Lega e impose un foedus (un patto) con tutte
le altre popolazioni del Lazio: ogni città era libera, ma doveva
versare un tributo, non poteva avere una politica estera autonoma e
doveva aiutare Roma in caso di pericolo. Dopo aver risolto il
problema dei Galli, Roma decise di espandersi verso sud, verso la
Magna Grecia, la zona più ricca e più progredita di tutta la
penisola italiana. C'era un problema però: anche i Sanniti,
stanziati tra Abruzzo, Molise e Puglia, erano interessati alle
colonie greche della Campania.
Di
conseguenza Sanniti e Romani, tra il 343 e il 290 a. C, si
scontrarono per il controllo della Campania in tre lunghe guerre,
chiamate Guerre Sannitiche. Fino al 330 a. C. il territorio della
Lega sannitica era più vasto di quello romano; Roma era in forte
ascesa, ma era ancora una potenza di secondo piano. Per emergere,
avrebbe dovuto sconfiggere i Sanniti, che però erano guerrieri molto
abili e sconfissero pesantemente i Romani in più di un’occasione.
La prima guerra sannitica (343 – 341 a. C.) si concluse con un
nulla di fatto; nella seconda (326 – 304 a. C.) i Romani subirono
un'umiliante sconfitta presso le Forche Caudine, nelle quali furono
accerchiati e costretti ad arrendersi senza combattere. Prima di
liberare i prigionieri, i Sanniti li fecero sfilare seminudi uno alla
volta, sotto le lance disposte a forma di porta. Nella terza guerra
sannitica, combattuta tra il 298 e il 290 a. C., i Sanniti furono
capaci di creare una coalizione con i Galli, con gli Etruschi e con
gli Umbri, ma i Romani non si persero d’animo e per la prima volta
cambiarono tecnica militare. Fino ad allora avevano combattuto in
Falangi, come i Greci, cioè in gruppi compatti che formavano una
specie di quadrato. Questo metodo però andava bene per le grandi
pianure del nord, ma non era efficace nelle zone montuose e quindi
decisero di combattere in manipoli, cioè piccoli gruppetti che
mettevano in atto una specie di guerriglia. Per trasferire l’esercito
romano nei luoghi della battaglia, fu costruita anche una strada
molto importante, la via Appia, dal nome dell’ingegnere che ne
diresse i lavori, appunto Appio. I Romani riuscirono a non fare unire
gli eserciti sanniti, etruschi e umbri e sconfissero i Sanniti a
Sentino in Umbria, nel 295 a. C: a quel punto i Sanniti furono
obbligati ad entrare nella federazione latina. Adesso Roma era
diventata la prima potenza dell'Italia centrale: andava
dall'Adriatico, all'Umbria e alla Campania. Dopo la vittoria nei
confronti dei Sanniti, i Romani si trovarono a stretto contatto con
la magnifica colonia greca di Taranto, che aveva una grande flotta
militare e mercantile.
All'inizio
Roma e Taranto avevano stipulato un trattato ma poi, nel 282 a. C.,
Roma non lo rispettò e si presentò con le navi da guerra nel porto
di Taranto. Taranto, preoccupata, chiese aiuto a Pirro, potente re
dell’Epiro, una regione a nord della Grecia. Pirro aveva già in
mente di conquistare tutte le ricche città della Magna Grecia, prime
fra tutte quelle siciliane, quindi fu felice di difendere Taranto.
Così nel 280 a. C. sbarcò in Italia con un grande esercito o con
alcuni elefanti, mai visti prima in Italia. Pirro sconfisse i Romani
ma poi, ansioso di andare in Sicilia, concesse frettolosamente una
pace. Se Pirro, molto più potente dei Romani, avesse insistito, loro
non avrebbero avuto i mezzi per fermarlo. Per fortuna dei Romani
quindi Pirro andò in Sicilia – senza tra l'altro riuscire a
sconfiggere i cartaginesi – e quando tornò a Taranto, nel 272 a.
C, fu sconfitto dai Romani, che nel frattempo si erano armati di
fuoco per spaventare gli elefanti. A quel punto Pirro si ritirò in
Grecia, Taranto fu costretta ad entrare nella federazione italica e
le altre città greche furono facilmente sconfitte. Roma ormai
controllava gran parte della penisola italiana, dall’Emilia alla
Calabria; rimanevano a nord i Galli e i cartaginesi in Sicilia. Visto
che Pirro si era scontrato con i Cartaginesi, Roma e Cartagine
avevano stipulato un accordo. La fama di Roma per la prima volta si
era diffusa in tutto il Mediterraneo e anche i sovrani ellenistici
avevano cominciato a proporre i primi trattati commerciali. Le
conquiste militari obbligarono i Romani a cambiare la struttura dello
Stato. Ormai Roma non poteva più essere considerata una città
stato, ma non era in grado di organizzare una monarchia
centralizzata, di tipo ellenistico.
Era
ancora un popolo di bravi soldati e abili ingegneri, ma non aveva una
solida struttura burocratica e amministrativa. Le città conquistate
potevano diventare municipi o città alleate. I Municipi entrarono a
far parte del territorio romano e i suoi abitanti divennero a tutti
gli effetti cittadini romani, godendo di tutti i privilegi: fornivano
soldati all'esercito di Roma, pagavano meno tasse di un federato, non
potevano essere condannati a morte se non dal Senato romano, potevano
prendere in affitto le terre dell'ager pubblicus, erano ammessi alla
distribuzione gratuita del grano, godevano di tutti i diritti civili
e politici dei cittadini romani, potevano votare e potevano,
partecipare ai comizi. Le città alleate, invece, non erano inglobate
nel territorio romano ma, pur restando formalmente indipendenti,
erano costrette a firmare dei Foedus (patti), che li obbligavano a
pagare le tasse a Roma, a non ribellarsi, a non prendere decisioni
autonome in politica estera e a contribuire alla formazione
dell’esercito. In linea di massima i popoli vinti ebbero un buon
trattamento: non erano obbligati a mantenere i soldati romani nel
loro territorio, erano autonomi in politica interna e addirittura in
caso di guerra, se avessero mandato i loro soldati, avrebbero potuto
partecipare alla suddivisione del bottino. Se i popoli confederati
però non avessero rispettato il patto, la vendetta romana sarebbe
stata durissima e i popoli sottomessi avrebbero perso la loro
condizione di federati. Questa grande tolleranza, soprattutto se
paragonata agli altri popoli dell'età antica, evitò le ribellioni
dei popoli italici. In questo modo la repubblica romana ha inventato
un stato nuovo, cioè una confederazione di stati romano-italici.
Lezioni
di Storia Romana. Università Cà Foscari di Venezia. Riassunto della
lezione docente prof.ssa Rohr Francesca. Partecipante in qualità di
uditore.
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