Dindòn

Diana, te che sei un bravo ragazzo, sparami! sparami in una gamba, così mi mandano a casa. Io non tengo il coraggio”
Neanche io tenevo il coraggio, e poi c'era da finire alla corte marziale. Un giorno allora quel poveraccio ha provveduto da solo: mentre era di pattuglia con un altro, che me l'ha raccontato, ha messo una micca di pane sul piede, ha poggiato la bocca del fucile sul pane e ha sparato. Il pane serviva a non bruciare il piede, se no se ne accorgevano subito. Ma intanto se ne sono accorti lo stesso e lo hanno denunciato. Che fine abbia fatto non lo so: noi non l'abbiamo più visto e ho paura che l'avranno fucilato. Invece a qualcuno del mio paese è andata bene, come al Dindòn, che l'hanno chiamato così perchè camminava dondolava con quel piede sparato. Lui è stato furbo a farlo subito nei primi giorni di guerra, quando non sospettavano ancora e l'hanno congedato immediatamente.
Durante tutta la guerra ha lavorato a cucire la roba da soldato, perchè faceva il sarto, lui e la moglie, e si è fatto anche dei soldi. Poi, alla fine della guerra, gli hanno dato la pensione da mutilato e la privativa dei sali e tabacchi. Per lui la guerra è stata un terno al lotto.
La Grande Guerra di un povero contadino di Elio Gioanola

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