Chi moriva restava là...
Venendo
via da quota 108 per andare a Bestrino, dove mi avevano destinato,
mentre andavo da solo perchè il mio collega era partito un po' prima
e io dovevo prenderlo per strada, mi sono perduto. Sono andato a
finire proprio nella zona dove avevano fatto i primi assalti al
principio della guerra: lì c'erano dei pini che li avevano piegati
fino in terra e incrociati l'uno con l'altro (erano pini piccoli,
ancora giovani) in maniera da formare uno sbarramento. Passo di lì e
vedo stesi sotto quei pini una fila di scarponi, di quelli con sotto
i ferri come i muli e di quelli con i chiodi: erano scarponi tedeschi
e italiani, ancora di quelli dei primi tempi, tutti di cuio, bell'è
nuovi.
Guardo
più in là delle scarpe e vedo tutti scheletri infilati dentro,
bianchi, puliti, con file di denti che ridevano nella tesata vuota
come una zucca. Erano ancora là dai primi giorni e non c'era più
niente, neanche un pezzo di stoffa, solo ossi infilati negli
scarponi. Poveri figli, che compassione! Discorrere di sotterrarli! I
cimiteri di Guerra? Tutte tombe vuote. Chi moriva restava là; al
massimo quando andavamo a cogliere i morti facevamo un buco alla
bell'è meglio, li coprivano di calce viva e sopra ci mettevano un
po' di terra, se andava bene.
La
Grande Guerra di un povero contadino di Elio Gioanola
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