La seconda battaglia dell'Isonzo [vissuta dagli austriaci parte III]

Il sole aveva già superato lo zenit quando nel settore fra Sdraussina e Vermegliano il rullo compressore del fuoco incominciò improvvisamente ad avanzare. Simultaneamente, la fanteria italiana lasciò i ricoveri, sgomitolandosi fuori dai ripari dei sacchi a terra e si lanciò fra grida assordanti all'assalto delle postazioni dei difensori, ridotte a un'unica rovina. La distanza era breve, il grido d'allarme degli avamposti era stato appena raccolto dagli uomini della line avanzata che gli attaccanti si erano già aperti il varco fra i resti dei reticolati e comparvero sulle postazioni. Ma questa fascia di pietrame sconvolto, di chiazze annerite dal fuoco e di ripari di canestri colmi di terra vide comparire, dalla parte opposta, anche i nostri. Dietro le nuvole di fumo delle bombe a mano spuntarono le baionette dei difensori. Lo scontro fu terribile. Il corpo a corpo infuriò per più di un'ora su una lunghezza di dieci chilometri. Infine gli assalitori furono costretti a ripiegare sulle linee di partenza. La 61° divisione Honved aveva mantenuto la prima linea senza cedere di un passo; la 20° aveva arretrato di circa cinquecento metri in larghezza e di duecento in profondità, che erano rimasti nelle mani degli italiani.
Intanto, il fuoco degli avversari batteva incessantemente la zona di resistenza che doveva essere difesa più che mai dagli attaccanti pronti al balzo in avanti. Le perdite erano sempre più rilevanti. Le due divisioni riuscirono a difendersi da un secondo assalto del nemico, intrapreso dopo il calare dell'oscurità, soltanto con l'impiego delle ultime riserve. All'alba del 19 luglio, il VII corpo d'armata italiano, forte di circa ventimila uomini, sferrò un attacco fra il Sei Busi e il monte Cosich. Sulle due alture dominanti, l'ondata umana si arenò ben presto sotto il tiro di sbarramento dei difensori, ma su entrambi i lati della strada Vermegliano-Doberdò ricacciò inarrestabilmente davanti a sé i resti del 17° reggimento di fanteria ungherese della territoriale. Arrivarono al fine i soccorsi e gli italiani furono costretti ad abbandonare il terreno conquistato e a riguadagnare, con il favore dell'oscurità, le posizioni di partenza. La battaglia si estese anche alla testa di ponte di Gorizia dove le brigate Re e Pistoia e il secondo battaglione delle guardie di finanza rimasero decimate: e ciò perchè le colonne erano state mandate all'assalto con una forte dose di alcool addosso, e, sotto il tiro d'inseguimento della nostra artiglieria, anziché creare un riparo, correvano insensatamente in ogni direzione. Sebbene non si avesse quasi ceduto terreno, il risultato delle prime due giornate di questa battaglia fu tale da incutere un serio timore; peggio ancora, fu disperatamente serio. Cinquecentomila fra morti e feriti per il VII corpo d'armata e quattromila per la divisione Honved che era entrata in battaglia con una forza di seimila uomini, quindi letteralmente decimata.
Le dodici battaglie dell'Isonzo di Fritz Weber – edizioni Mursia

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