Flavo e Italico: i parenti di Arminio fedeli all’impero.

La vicenda di Arminio è a tutti nota: figlio del re cherusco Sigimer, secondo la vulgata sarebbe cresciuto come ostaggio presso i Romani e divenne un soldato presso il loro esercito, addirittura ottenendo la cittadinanza e venendo fatto 
eques.
Gli studi più recenti e una rilettura più accurata delle fonti indicano tuttavia come probabilmente Arminio entrò nell’esercito romano solo nel 4 d.C., ottenendo la cittadinanza per il suo status (ma ottenendo comunque il rango di eques sul campo).
Che fosse un apparente ottimo esempio di integrazione o un apparente fedele tassello della romanizzazione della Germania, tutto andò in frantumi quando, per ragioni ancora non del tutto chiarite, Arminio organizzò l’agguato di Teutoburgo, nel quale fece a pezzi tre legioni romane. Da quel momento in poi non si riconciliò mai con lo Stato romano.
Tuttavia, pochi conoscono le vicende legate ad alcuni familiari di Arminio, primo fra tutti il fratello Flavo, che restarono fedeli all’impero romano.
Pochi anni dopo Teutoburgo, Tiberio lanciò una campagna punitiva in Germania, condotta dall’energico nipote Germanico. Il culmine di questa campagna sarebbe stata la battaglia di Idistaviso nel 16 d.C.
Germanico raggiunse il fiume Visurgis (oggi il Weser) con il suo esercito, e si fermò sulla sponda sinistra del fiume, vedendo che l’esercito di Arminio era sulla sponda destra.
Anche Arminio vide le truppe romane, e probabilmente ebbe un dubbio. C’era una questione familiare che doveva risolvere. In compagnia di alcuni capi, Arminio si portò sulla riva del fiume, e chiese ai Romani dall’altra riva se con l’esercito vi fosse Germanico. Alla risposta affermativa, Arminio fece una richiesta particolare: desiderava parlare con il fratello, che militava sotto Germanico.
Non sappiamo quale fosse il vero nome del fratello di Arminio. Quando compare per la prima volta negli Annali di Tacito, viene introdotto come “cognomento Flavus“. Il cognomen corrispondeva a una sorta di soprannome presso i Romani, un appellativo derivante da tratti somatici, caratteriali, atti compiuti etc. Non stupisce che Flavo, qualunque fosse il suo vero nome, avesse acquisito un tale soprannome. Essendo di stirpe germanica, possiamo ben immaginare che fosse, in effetti, biondo.
Tolto questo particolare indiretto, Tacito descrive succintamente così il fratello di Arminio: “Costui militava nell’esercito col soprannome di Flavo, soldato di straordinaria fedeltà e privo di un occhio, perduto, in seguito a ferita, pochi anni prima, sotto il comando di Tiberio.”
Veniamo quindi a sapere che Flavo doveva aver militato nell’esercito di Tiberio durante la rivolta dalmato-pannonica del 6-9 d.C. e che, al contrario del fratello, era rimasto sempre fedele a quella che probabilmente doveva sentire come la sua nuova patria, rimanendo gravemente ferito e sfregiato combattendo per essa (in rete si trova riportato un po’ ovunque che Flavo avrebbe perso l’occhio durante l’assedio di Andetrium del 9 d.C., ma Tacito non cita affatto questa notizia).
Assai più probabilmente, Flavo potrebbe aver perso l’occhio durante le campagne di Tiberio contro i Germani subito dopo Teutoburgo, tra il 9 e il 12 d.C.
Flavo si portò sulla riva del fiume, dopo che Arminio ebbe ottenuto di far allontanare gli arcieri romani sull’altra riva. Arminio fece allontanare anche i capi germanici che lo accompagnavano, per poter parlare in relativa intimità con il fratello; dobbiamo immaginare che si siano dovuti parlare a voce molto alta, se non addirittura gridando, per potersi sentire da una sponda all’altra del fiume.
Il dialogo tra Arminio e Flavo è riportato in forma indiretta, forse anche retorica. È chiaramente uno scontro tra due visioni completamente opposte, e se Tacito non se lo è del tutto inventato, possiamo immaginare si sia sviluppato su temi molto simili.
[Arminio] chiede al fratello l’origine di quello sfregio al volto. Gli illustra quest’ultimo il luogo e la battaglia; e allora vuol sapere quale compenso ne abbia avuto. Flavo rammenta lo stipendio accresciuto, la collana [torquis], la corona e gli altri doni militari, tra il dileggio di Arminio per quegli insignificanti compensi alla sua servitù.
Si mossero, da quel momento, su due linee opposte: gli argomenti dell’uno sono la grandezza romana, la potenza di Cesare, le pene severe destinate ai vinti, la clemenza assicurata a chi accetta la resa, il trattamento tutt’altro che ostile riservato alla moglie e al figlio di Arminio; l’altro ricorda il valore sacro della patria, l’avita libertà, gli déi della nazione germanica, la madre che si univa a lui nelle preghiere, perché non abbandonasse parenti e amici e, in una parola, tutta la sua gente, e non preferisse di essere un traditore invece che il loro capo.”
Possiamo immaginare che Flavo e Arminio fossero pesantemente delusi e in collera, vedendo entrambi il fratello come un traditore.
La conversazione degenerò ben presto negli insulti, e Flavo addirittura si mise a chiedere a gran voce cavallo e armi per poter combattere il fratello. Arminio, dal canto suo, rimaneva dall’altra parte “minaccioso, in atto di lanciare la sfida”, inframezzando agli insulti nella sua lingua natìa “espressioni in latino, per aver prestato servizio nel campo romano a capo della sua gente”.
Non conosciamo il destino di Flavo. Certamente partecipò alla battaglia di Idistaviso, che ebbe luogo il giorno seguente.
Sempre da Tacito veniamo a sapere, però, che Flavo ebbe un figlio, il cui nome chiarisce più di ogni altra cosa chi e cosa si sentisse Flavo.
47 d.C. Erano ormai passati trent’anni da Idistaviso, quasi quaranta da Teutoburgo.
All’imperatore Claudio arrivò, in quell’anno, una richiesta particolare: i Cherusci si rivolgevano ai Romani perché dessero loro un nuovo re. Avevano perso gran parte dei loro nobili (Tacito addirittura scrive “tutti”) nelle loro continue lotte intestine, e l’unico membro superstite facente parte di una linea di sangue nobile, anzi, reale, era in quel momento un cittadino romano residente in Italia, di nome Italico.
Italico era niente meno che il figlio di Flavo, e di una donna (il cui nome purtroppo Tacito non menziona) figlia di Actumero, un principe dei Catti. Il nome del figlio di Flavo è forse il miglior “manifesto” riguardo a come il fratello di Arminio si concepisse, ormai un vero e proprio Romano.
Claudio non si fece pregare. Assegnò una guardia del corpo e del denaro a Italico e lo inviò presso i Cherusci perché ne assumesse la reggenza. “Egli era il primo che, nato a Roma e lì vissuto non come ostaggio, andava, quale cittadino, ad assumere il trono in un paese straniero”, commenta Tacito. In questo senso, Italico fu effettivamente un caso più unico che raro.
Lo storico romano lo descrive quasi come un principe ideale: di bell’aspetto, un abilissimo cavallerizzo e combattente, sia alla maniera dei Romani che dei Germani. Una volta insediatosi, pare fosse molto amato dai suoi nuovi sudditi, non solo perché si dimostrò un sovrano equilibrato, ma anche per i modi di fare che lo facevano essere davvero una via di mezzo tra un Romano e un Germano: “Italico, col suo arrivo, produsse inizialmente gioia tra i Germani e, poiché non era coinvolto in lotte di fazione ed egualmente attento verso tutti, veniva festeggiato e onorato, nel suo mostrarsi affabile ed equilibrato, cosa che a nessuno dispiace, e per il suo indulgere al vino e ai piaceri, come amano i barbari”, scrive Tacito. Italico iniziò a essere un rinomato regnante, conosciuto sia tra i popoli vicini che tra quelli lontani.
Tuttavia, gli echi dei passati conflitti non erano sopiti. Le fazioni più estremamente anti-romane iniziarono a sobillare gli altri popoli germanici, insistendo sul fatto che Italico fosse lì per porre fine alla libertà dei Germani in favore della supremazia romana.
Gli oppositori di Italico intendevano liberarsi una volta per tutte anche del fantasma di Arminio: il capo cherusco ormai apparteneva al passato, ed era inutile continuare a tirare in ballo la sua linea di sangue. Inoltre Italico era estremamente malvisto anche per un altro, più importante motivo: egli era del resto il figlio di Flavo, che era diventato un Romano a tutti gli effetti.
Così Tacito esprime i dubbi dei capi germanici oppositori: “Non era dunque nato nessuno in terra di Germania che potesse ricoprire il ruolo di capo, senza innalzare sopra tutti il discendente di quello spione di Flavo? Era inutile evocare sempre il nome di Arminio: se anche fosse venuto qui a regnare il figlio di Arminio, allevato in terra straniera, c’era di che essere sospettosi, perché infettato dall’educazione ricevuta, dalla disponibilità a servire, dallo stile di vita, insomma dalla mentalità straniera; se poi Italico aveva lo spirito di suo padre, nessuno quanto suo padre, e con ostilità maggiore della sua, aveva levato le armi contro la propria terra e gli déi della patria.”
Mentre i suoi nemici radunavano una grande forza, Italico si preparava a difendere il suo trono, radunando una forza altrettanto grande.
Italico si sentiva in tutto e per tutto nel giusto: “[Italico] ricordava di non essersi imposto contro il loro volere, ma d’essere stato chiamato, perché superiore agli altri in nobiltà: mettessero alla prova il suo valore, per vedere se si mostrava degno dello zio Arminio e del nonno Actumero. Né arrossiva per il padre, perché non aveva mai tradito gli impegni verso i Romani, assunti col consenso dei Germani.”
Si arrivò quindi a battaglia. Di questo scontro non sappiamo purtroppo assolutamente nulla, se non che vi fu e che Italico ne uscì vincitore, consolidando così il suo potere sui Cherusci.
Non abbiamo notizie certe sul proseguimento e sulla fine del regno di Italico, o su suoi eventuali discendenti. Da Tacito sappiamo solo che “scivolò, col successo, nella superbia e perse il trono; di nuovo rimessosi in sella, con l’aiuto dei Longobardi, pesò duramente, nel bene e nel male, sulle sorti dei Cherusci.”

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