Vita da legionario
Con
queste parole lo scrittore greco del II secolo d.C. Artemidoro di
Daldi (in Lidia) illustra il drastico cambiamento di vita che subiva
chi a Roma decideva di passare dalla condizione di privato cittadino
a quella di legionario: «Un
uomo che si arruola nell’esercito cambia completamente la sua
esistenza. Inizia una nuova vita, lasciandosi alle
spalle quella precedente». Sicuramente erano tanti coloro che
nell’impero romano aspiravano a percorrere la carriera militare.
L’ingresso nell’esercito era del resto alla portata di moltissimi
cittadini, dato che la richiesta di soldati per la difesa dei confini
e per la partecipazione alle frequenti campagne di guerra era alta e
costante: occorrevano tra
le 7500 e le 10mila nuove reclute ogni anno. Il
servizio militare inoltre offriva numerosi motivi di attrattiva agli
aspiranti legionari. La
vita nell’esercito infatti garantiva vitto, alloggio e un salario
che, pur non essendo superiore a quello di un
lavoratore libero, presentava però il vantaggio di essere fisso e
garantito dallo stato. Vi erano poi per i soldati concrete
possibilità di promozione interna e privilegi relativi alle
procedure legali e al trattamento loro riservato nel caso in cui si
fossero trovati coinvolti in procedimenti giudiziari.
Sacrifici
e privilegi
Durante
il servizio militare il
legionario poteva apprendere i rudimenti di un mestiere, e anche
imparare a leggere e a scrivere.
Riceveva cure mediche migliori rispetto a quelle disponibili, in
media, per il resto dei cittadini romani. Il
tenore di vita che gli si prospettava dopo decenni di fatica e
sacrifici era poi allettante:
egli sapeva che, una volta congedato, avrebbe potuto contare su una
discreta somma di denaro e su un terreno che gli avrebbero garantito
un’esistenza tranquilla. L’entrata nell’esercito era riservata
ai cittadini romani. Chi non lo era, tuttavia, poteva arruolarsi
nelle truppe ausiliarie con
la speranza di ottenere la cittadinanza al termine del servizio.
Naturalmente,la
vita da soldato non era esente da alcuni lati negativi:
il soldato legionario doveva sottostare agli ordini dei comandanti,
anche i più severi, subire eventuali punizioni fisiche e addirittura
la pena capitale senza
che gli fossero garantite effettive possibilità di difesa.
Fino al II secolo d.C. non
gli era poi concesso di sposarsi in modo legale,
anche se tale ostacolo burocratico non impedì che molti soldati
avessero una compagna e dei figli pur se illegittimi.
La
scelta delle reclute
Per
essere ammessi al servizio militare in una legione bisognava
soddisfare una serie di requisiti che
venivano verificati dall’ufficiale incaricato del reclutamento. Per
prima cosa, visto che il servizio militare durava almeno venticinque
anni, il
candidato doveva essere giovane,
ossia avere un’età che non superasse di molto i vent’anni. La
preferenza era accordata a uomini provenienti dalla campagna,
perché si riteneva che, avendo vissuto in condizioni più dure,
avrebbero acquisito una resistenza maggiore ai rigori imposti dalla
vita militare.
L’altezza
ideale del legionario oscillava tra 1,72 e 1,77 metri,
anche se non venivano respinti quelli che erano di qualche centimetro
più bassi, soprattutto se in compenso erano di costituzione robusta.
Questo
parametro variò con il trascorrere del tempo:
per esempio, alla fine dell’impero, cioè nel V secolo d.C.,
l’altezza minima richiesta era scesa a 1,65 metri. In
linea di massima erano apprezzate anche una certa semplicità e
ignoranza,
dato che in questo modo ci si aspettava di avere a disposizione
uomini pronti a eseguire gli ordini ricevuti senza mai metterli in
discussione.
Allo
stesso tempo però si
cercavano anche reclute in grado di leggere e fare i conti per
l’adempimento di compiti amministrativi. Coloro che già sapevano
svolgere una professione, come fabbri,
carpentieri, macellai e cacciatori, erano ben accolti in
quanto utili per la vita quotidiana nell’accampamento. Alcuni
di loro potevano esibire lettere di raccomandazione scritte
da persone influenti, in cui erano messe in rilievo le loro capacità.
La
struttura dell’accampamento
Dopo
il reclutamento ogni legionario era destinato alla sua unità. Questa
spesso era ubicata in un
accampamento (castrum)
molto lontano da Roma.
Tali accampamenti potevano presentare dimensioni notevolmente diverse
e, a seconda della loro collocazione nel vasto territorio soggetto
all’Urbe, peculiarità specifiche. Avevano
però in comune la medesima struttura.
Erano di forma rettangolare e si estendevano, in media, su un’area
di venti o venticinque ettari. Erano percorsi da due strade
principali: la via
principalis,
che attraversava l’accampamento unendo il centro dei lati lunghi
del rettangolo; e la via
praetoria,
che andava dall’ingresso principale fino al cuore
dell’accampamento, dove s'incrociava con la via
principalis.
Nel
punto d'intersezione tra le due vie si trovavano i
principia,
ossia il quartier generale, che era la sede organizzativa del campo.
Nei suoi pressi poteva esserci una piazza centrale dotata di portici
e una basilica, e di solito anche un tempio (aedes)
dove erano collocati altari, statue e busti degli imperatori, oltre
che gli stendardi e le insegne della legione. Di fronte ai principia
si
trovava il
praetorium,
l’alloggiamento separato riservato al comandante,
dove egli viveva con la sua famiglia e i suoi schiavi. Il praetorium
era
costruito con materiali di qualità superiore rispetto a quelli usati
per le dimore in cui vivevano i centurioni e i legionari.
Cura
del corpo e addestramento
Un
edificio che non poteva assolutamente mancare nell’accampamento era
l’ospedale.
Qui i medici prestavano soccorso ai soldati che avevano riportato
ferite di guerra. Più spesso si occupavano di militari
colpiti da malattie o incidenti sul lavoro capitati
nello svolgimento delle loro mansioni quotidiane. L’ospedale aveva
solitamente un cortile centrale, intorno al quale erano disposte le
stanze per i malati e altri padiglioni. La
scoperta in diverse località di strumenti medici e le informazioni
fornite dai testi letterari a
proposito dei tipi di cura applicati negli accampamenti indicano
prestazioni mediche di buona qualità. Un’assistenza certamente
superiore a quella che avrebbe potuto ricevere un civile.
I
soldati vivevano in baracche dalla forma allungata. Ciascuna
di esse alloggiava una centuria, circa ottanta uomini,
che a loro volta erano divisi in dieci gruppi da otto. Ognuno di
questi gruppi, chiamato contubernium,
aveva in assegnazione due piccole stanze, ciascuna di cinque metri
quadrati: una
era un deposito per l’equipaggiamento e le armi, l’altra fungeva
da dormitorio.
Benché piccolo per viverci, l’accampamento non offriva condizioni
peggiori rispetto a quelle in cui vivevano i civili. Inoltre, la
maggior parte del tempo veniva trascorso dai soldati all’aperto:
nello svolgimento delle loro faccende giornaliere oppure nelle
missioni loro affidate all’esterno del campo.
Il
centurione risiedeva in un ambiente più grande, a un lato della
baracca. Il
suo compito principale era quello di governare la centuria,
un compito a volte svolto con durezza e arbitrarietà. Spesso
il centurione usava la verga per
mantenere la formazione e punire chi non sfilava correttamente o si
distraeva parlando con un compagno. Lo storico romano Tacito tramanda
il singolare soprannome di un centurione di nome Lucilio. Costui era
chiamato “Avanti un’altra!”, perché, quando
rompeva una verga a furia di colpire la schiena di un soldato, ne
chiedeva un’altra a gran voce:
una crudeltà tale da causarne poi la morte nel corso di una rivolta.
È
evidente dunque l’importanza
per un legionario di avere un buon rapporto con il proprio centurione
per
avere una vita migliore. La corruzione con un versamento di denaro al
momento giusto poteva
garantire l’ambito permesso, allungarne uno già concesso o
fare in modo che al soldato fosse assegnato un compito più leggero.
In una lettera scritta su un papiro da un soldato dell’età
traianea di nome Claudio Terenziano, vi è un’esplicita conferma di
questo stato di cose: nell’esercito
«non si ottiene niente senza soldi».
Compiti
e manovre
La
giornata di un legionario era scandita dagli obblighi militari.
Dopo colazione e passate in rassegna le truppe, a ciascun soldato
erano assegnate mansioni precise in seguito agli ordini disposti dal
quartier generale. Tale
assegnazione dei compiti era registrata minuziosamente su un foglio
di servizio.
Di questi documenti se ne è conservato uno appartenente a una
centuria della legione III cirenaica d’Egitto e datata alla fine
del I secolo d.C.: tra
i lavori commissionati vi si citano i servizi di guardia in diversi
luoghi dell’accampamento,
come l’entrata, le torri e i principia.
Alcuni legionari erano incaricati della manutenzione delle calzature,
delle armi, delle latrine e delle terme. Altri facevano da scorta a
qualche ufficiale o svolgevano dei compiti all’esterno
dell’accampamento.
Oltre
ai compiti individuali,i
soldati dovevano addestrarsi con la loro unità marciando e
allenandosi in gruppo.
I vari esercizi spaziavano da parate a simulazioni di battaglie e di
assedi. Le manovre venivano svolte con un tale rigore che, nel I
secolo d.C., lo storico giudeo-romano Flavio Giuseppe affermò con
ammirazione che esse
non si distinguevano dalla guerra vera e propria e
che ogni soldato si esercitava tutti i giorni al massimo delle sue
possibilità, essendo «le
sue manovre come battaglie incruente e le sue battaglie come manovre
sanguinose».
Cibo,
tempo libero e religione
I
legionari facevano due pasti al giorno:
la colazione (prandium)
alla mattina e la cena (cena),
il pasto principale, a fine giornata. La dieta base del legionario
consisteva in cereali, soprattutto grano, carne di maiale o vitello,
vegetali e legumi, per lo più lenticchie e fave. La
caccia e la pesca nelle vicinanze degli insediamenti potevano
contribuire a una migliore alimentazione,
fornendo altre proteine animali. Le
quantità talvolta dovevano risultare scarse se,
nelle lettere ai familiari, alcuni soldati chiedevano che fosse loro
inviato del cibo. L’alimentazione degli ufficiali era più varia e
prevedeva alimenti di migliore qualità. Da
bere i soldati avevano generalmente a disposizione acqua, birra e
aceto.
Quest’ultimo, miscelato con acqua, dava origine a una bevanda detta
posca
molto
diffusa tra i legionari per le sue proprietà disinfettanti. Non
essendoci sale da pranzo comuni per tutto il distaccamento, le
porzioni che venivano assegnate ai singoli gruppi erano cucinate
nello spazio del contubernium,
in forni e cucine fisse o trasportabili.Il
pranzo condiviso favoriva il cameratismo tra i soldati dell’unità.
Il
legionario aveva diverse possibilità per occupare il suo tempo
libero. Una di queste era andare alle terme
dell’accampamento,
che potevano trovarsi al suo interno oppure all’esterno ed erano
fondamentali anche per la vita sociale.I
soldati appassionati al gioco d’azzardo potevano svagarsi anche in
locali appositi,
che sorgevano in villaggi di baracche, dette canabae,
posti nei pressi e sotto la protezione dell’accampamento. Oltre
alle taverne, in cui abili mercanti erano pronti ad alleggerire i
portamonete dei legionari, vi si trovavano le abitazioni delle
famiglie dei soldati.Tali
insediamenti si trasformarono con il tempo in vici,
cioè in villaggi,
costituendo il primo nucleo abitativo di città poi divenute
importanti, come per esempio Colonia e Magonza, in Germania.Alcuni
accampamenti disponevano nelle vicinanze di un anfiteatro,
come a Caerleon, nel Galles del sud, dove, oltre alle lotte dei
gladiatori e alla caccia alle fiere, si svolgevano parate e
spettacoli di lotta offerti dai legionari stessi.
Nell’accampamento
non si trascurava la vita religiosa dei soldati,
che era considerata una sorta di collante per persone di provenienza
diversa. Per rafforzare la fedeltà dei legionari a Roma si
celebravano cerimonie religiose in onore degli dei ufficiali,
come Giove Ottimo Massimo, Roma Eterna e Vittoria Augusta.Altre
feste erano dedicate agli imperatori,
per esempio, in occasione del loro compleanno, oppure alla
celebrazione di momenti fondamentali nella storia di Roma, come il
giorno della sua fondazione.Le
feste religiose costituivano anche una valvola di sfogo alla routine
quotidiana e
permettevano un certo allentamento della rigida vita militare. Oltre
agli dei ufficiali,i
soldati potevano adorare in forma privata le divinità venerate nella
loro regione d’origine o
comunque estranee ai culti di stato romani. Partecipavano per esempio
a riti orientali come quello di Mitra, che prometteva ai suoi fedeli
la salvezza dopo la morte.
Come
incentivo alla vita nell’accampamento,il
legionario riceveva una paga regolare,
che ai tempi dell’imperatore Augusto (27 a.C.-14 d.C.)
corrispondeva a 225 denarii all’anno, cifra che nel tempo aumentò
progressivamente. Anche se da
questa paga erano effettuate delle trattenute per i pasti, il
mantenimento dell’equipaggiamento e altre spese,
sembra che i soldati potessero arrivare a risparmiare il venticinque
per cento della loro paga annuale. Inoltre,una
promozione di grado comportava un considerevole aumento di salario,
tanto che un centurione guadagnava circa quindici volte in più
rispetto a un soldato semplice. Come entrate extra,i
legionari potevano disporre di donazioni straordinarie elargite dagli
imperatori,
sia alla loro morte in seguito a testamento sia quando questi erano
ancora in vita nella ricorrenza di occasioni speciali. Un’elargizione
comunque proporzionata al rango militare raggiunto.
Il
premio dopo il congedo
C’erano
tre modi per lasciare la legione. Il
primo a seguito di una malattia o di ferite gravi che
rendevano il soldato ormai inutile per l’esercito. In questo caso
(causaria
missio)
il legionario era congedato dopo un esame rigoroso della sua
condizione di salute. Vi
era poi il congedo con disonore (ignominiosa
missio),
nel caso in cui il legionario avesse commesso azioni criminali:
questo comportava l’impossibilità di ricoprire in seguito cariche
pubbliche. Gli
altri legionari che riuscivano a sopravvivere agli oltre venti anni
di servizio erano congedati con onore (honesta
missio).
Ottenuto
il congedo, i veterani godevano di una serie di diritti e privilegi.
Erano
esentati dal pagamento di alcune imposte e
ricevevano un trattamento di riguardo nei processi. Se lo
desideravano, potevano
anche legalizzare la loro situazione familiare,
sposando ufficialmente la propria compagna. Potevano fare ritorno
alla propria città d’origine, cosa che però non tutti facevano.
Molti infatti, ricevuto
un terreno negli insediamenti vicini all’accampamento o nella
regione in cui avevano svolto servizio,
vi si fermavano. Il legionario che diventava veterano poteva dunque
affermare di avere avuto un’esistenza dura, ma migliore di quella
di molti civili.
Non
tutti erano contenti di condurre la vita del soldato,
come testimonia per esempio la rivolta dei legionari in Pannonia del
14 d.C. Ma l’orgoglio
di partecipare attivamente all’inarrestabile avanzata del dominio
di Roma animava la maggior parte dei soldati e
li ricompensava dei tanti sacrifici. Il discorso dell’imperatore
Tito alle truppe impegnate in Palestina contro la prima rivolta
giudaica, come riporta lo storico Giuseppe Flavio, esalta l’unicità
dell’esercito romano: «Siamo
i soli che, anche in tempo di pace, continuano nelle esercitazioni
militari,
per risultare migliori nei confronti degli avversari in guerra».
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