Genova, insellare

Ludovico Caprara racconta a Lestans (PN) il novembre 1918
È la notte tra il 30 e il 31 ottobre 1918. L’ultima decisiva battaglia, quella di Vittorio Veneto, è in pieno svolgimento. I dragoni di Genova Cavalleria sono a Paese, a ovest di Treviso, un paese “completamente in sfacelo, non c’erano che pochi abitanti”, scrive Caprara, “Avevamo ordine di non allontanarci che di pochi passi, eravamo in pieno assetto di guerra”.
La notte era inoltrata, le barzellette tendevano a finire e avevamo quasi voglia di dormire. Il bombardamento era calmo e degradante. Un motociclista si arrestò nei pressi e nell'oscurità assoluta gridò “Genova” Scavalcammo ogni cosa e presi l'ordine che portai di corsa al colonnello che era nella stanzetta superiore. Il colonnello Paolo Celebrini (comandante del reggimento Genova Cavalleria durante la battaglia di Vittorio Veneto, n.d.r.) passeggiava e una candela rischiarava la stanza: lesse accanto al lume io rimasi sull'attenti poiché volgendosi mi disse sorridendo: chiama Omarchi. Omarchi era il caporal maggiore trombettiere.
Il trombettiere del colonnello uscì nella piazzetta e squarciò la notte con gli squilli di “Genova insellare”
I diversi accantonamenti risposero con uguali segnali e dopo qualche minuto suonò “Genova adunata”
Lo scapitio dei cavalli e il cozzo delle lance faceva fremere i nostri cuori.
Genova era ancora chiamato e in meno di un'ora la piazza e strade erano piene di uomini a cavallo. Ebbi l'ordine dal Capitano aiutante maggiore Lupi di Moirano di scortare in bicicletta il carro del comando e di partire all'alba.
Venne l'alba del 31 ottobre o 30? la piazza era deserta ero per avviarmi quando il parroco mi supplicò di farci il favore di asportare 4 bombe a mano che avevano lasciato per ricordo i compagni mi pregò tanto ma accondiscesi solo quando mise le mani in tasca e mi regalò un po' di spicci, presi le bombe e li feci scoppiare in un valloncello stesso nella piazzetta.
Ora non ricordo bene tutto, ci mescolammo nel turbine di truppe di tutte le armi.
Ricordo bene che il Piave era molto gonfio e minaccioso e il ponte di barche era pericolante. Tutti i ponti degli inglesi erano fracassati dalla corrente, il ponte rimasto era italiano e incessantemente passavano tutti a piedi, a cavallo carri ecc. Se non erro i carri non potevano passare prima di un rafforzamento dei ponti di barche. Quindi nella mischia attraversai il ponte.
Ispezionai la sponda austriaca, i morti giacevano ancora caldi si può dire, le trincee sconvolte leteralmente. Alle Grave di Papanopoli due inglesi giacevano a terra col viso inzuppato di sangue.
Genova avanzava in piccoli gruppi, il letto del fiume non finiva mai ci radunammo così in prossimità di Tezze. Questo paese è quello che lasciammo per ultimo nella ritirata e fu il primo dove mettemmo piede.
Irriconoscibile, misero e crollato da che l'avevamo lasciato l'anno avanti ricco e bello.
Qualche vecchia sparuta che incontrai nelle vicinanze non manifestò alcuna esultanza, erano inebetite, visitai il grande caseggiato che avevamo lasciato l'anno prima e lo trovai misero e devastato; miseria e desolazione! Dove andammo poi? Il Reggimento fu sguinzagliato all'inseguimento del nemico.
Da mangiare non si trovava nulla, ispezionai bene per potermi ricordare ciò che dovevo scrivermi un giorno. In alcuni ricoveri trovai le gavette austriache sporche di polenta e grattugge di ferro, onde, forse, riducevano in farina le spighe. Un batteria abbandonata era senza otturatori, per le strade, nelle case catapecchie non si sentiva che un odore di soldati luridi un puzzo speciale di guerra. Nessuno prima di Genova Cavalleria aveva messo piede in quel settore e io fui felice, ma dov'era la popolazione? Le ragazze bionde dov'erano? Ma sciocco che sono, erano fuggite nell'interno o stavano nelle caverne ancora sotto l'incubo dell'infernale bombardamento italiano.
Mi sembra che poi da Tezze andammo verso Orsago e man mano che si avanzava incominciavamo a  notare qualche borghese ci guardava il tragico effetto delle granate italiane si notava ovunque specie le piante erano spogliate di foglie e il tronco ferito tutt'intorno,
Si va verso Vittorio Veneto, ma come ricordare tutto, le strade sono affollate di soldati e ognuno cerca di far presto si corre si corre verso il nemico che non sappiamo se in fuga o ci attende. Entro in una casupola a pianterreno una vecchietta desolata mi narra che ha una sola pentola di terracotta e un cucchiaio di ferro gli Austriaci hanno asportato tutto ciò che era metallo e specie il rame, un anno senza sale con verdure e patate. Il nostro cuore non è gentile, nella da fare, nulla da mangiare, via appresso, l 'appetito c'è ma non c'è nulla da mangiare, gli alleati già pensano che quello era il miglior mezzo per poterci fermare.
Non so bene se il 1° oppure il 2 di novembre 1918 che verso sera il Comando del “Genova” si accantonò in prossimità di Vittorio Veneto. Strano, una casetta ben messa e molto bene arredata; c'erano due belle ragazze trentenni al massimo. Queste conversavano con gli ufficiali noi ci abbattemmo un po' dappertutto. Capitò vicino a me il soldato Marchesin Erasmo di Cavazuccherina il quale non mi faceva dormire e anziché sdraiarsi era seduto per terra con gli occhi aparti e sparuti. Vuoi sapere chi è questo? Era il piantone dell'ufficio Comando, rimase prigioniero degli Austriaci a Pozzuolo del Friuli e fu mandato a lavorare sulle strade, quando cominciò l'offensiva italiana anziché tornarsene all'accampamento si arrampicò su per le colline e si nutrì di castagne crude. Una mattina dall'alto scrutò meglio perché il bombardamento era cessato da diversi giorni e vide avvicinarsi le truppe e i carreggi, si accinse a scendere e quando fu sulla strada si imbatté col carreggio del suo reggimento. Noi lo incontrammo tutto sorridente ci raccontò la sua ultima avventura, voleva però proseguire verso casa cioè al senso inverso dove andavamo noi ma il Colonnello gli ordinò di seguire il Reggimento e così giunse con noi fino in prossimità di Vittorio Veneto, aveva le tasche piene di castagne ma gliele vuotammo ben presto. Il fatto che non dormiva era il pensiero di cadere nuovamente prigioniero e pensava che se aspettava ancora un po' a scendere dalla collina non ci avrebbe incontrato e poteva veramente chiamarsi salvo. L'indomani all'alba si riprende l'avanzata, Marchesin ha l'ordine di andarsene al concentramento ex prigionieri e felicissimo ci lascia. Andiamo verso Castel d'Aviano, siamo, se non erro al 2.11.191 si parla che gli Austriaci ci attendono più oltre, si parla di armistizio ma il fatto principale è che non troviamo nulla da mangiare; io sono in bicicletta e so che andiamo a Fanna qui facciamo una brevissima sosta aveva trovato una casa che mi ospitò graditamente e credendomi che si pernottava vidi che potevo stare benone, da una finestra vidi che già stavano a insellare i cavalli, maledizione! Si riparte,
Apprendo che andiamo verso Travesio gonfio di rabbia me ne vado solo distaccando di molto il Reggimento. Trovo una casa dove c'è una sola donna. Chiedo di mangiare qualche cosa ma non ha che polenta e fredda. Mangio con appetito e guardo nel contempo quando passa il reggimento in modo che mi accodo ad esso. Il reggimento non passò più da quella strada ed io rimasi completamente isolato. Sapevo però che andavano a Travesio ed allora mi misi in bicicletta e via. Nessuno aveva visto la Cavalleria, un ordine strada facendo aveva cambiato destinazione. Verso l'imbrunire del 3 di novembre arrivo a Travesio, un deserto, mi assicuro che è proprio Travesio e mi fermo in una casa a pianterreno dove attorno al focolare ci sono cinque sei persone: uomini e femmine e stanno cucinando la verdura. Esso sono muti mi rispondono seccati, mi seggo sul gradino della porta e temo quasi di entrare e trattenermi, Vedo che non molto lontano si sparano molti razzi e man mano che si fa notte aumenta, sono molto sgomento di aver perduto il reggimento. Questa gente mi sembra nemica e quindi è meglio che me ne vada, ma dove? Verso i razzi ma sono italiano o austriaci i razzi? Il sonno mi prende e per vincere monto in macchina, moschetto in mano e via nella notte scura. Mi sembra di sentire la musica i razzi sono chiarissimi e tricolori e non esito più arrivo così verso le 10 di sera a Lestans, la musica e i razzi sono del mio Genova Cavalleria si...
Il 4 novembre del 1918 ci troviamo a Lestans. La notte che ha preceduto la giornata del 4 l'abbiamo passata quasi all'aperto, sbandati, sbalorditi di vedere razzi di tutti i colori, il nostro compagno Rota ha anch'esso esaurito tutti i colpi della pistola Very, ma dunque la guerra è finita? Non sappiamo nulla. Il freddo è intenso e non si trova nulla da mangiare e né da bere.
Il Comando è in una misera casetta, il cafone aveva un po' di carne nascosta e l'ha tirata fuori cucinata e ci ha invitato, mangiamo la polenta cucinata nella gavetta e per far presto la portiamo a raffreddare all'abbeveratoio. Un elmetto di gallette deve essere abbastanza per 4 uomini. Passano per Lestans colonne di prigionieri italiani quindi la guerra è finita? Ritorna fra noi anche il Maresciallo Montruccoli che fu fatto prigioniero a Pozzuolo. Il 22 novembre del 1918 partiamo da Lestans e andiamo a Cordovado nella villa Fresco dove noi ci siamo già stesi. Qui assistiamo un bel giorno a un bel quadro: tornano i padroni e dopo aver preso misure e passi scavano una buca.

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