Disonestà

Arturo Busto
racconta dissenso, combattimenti, assalti, disciplina militare a Monte Mosciagh, Asiago (VI) il luglio 1916
La brigata Friuli dal carso viene spostata sull’altopiano di Asiago in vista dell’offensiva austro-ungarica prevista per l’inizio dell’estate del 1916. E’ la Strafexpedition sferrata il 15 maggio e che costò decine di migliaia di morti. Il 25 giugno gli austro ungarici si attestano su una nuova linea difensiva di cui fa parte il monte Mosciagh. L’88° fanteria è tra i reggimenti che devono attaccare in quel settore.
Giungemmo nel nuovo settore quando più infierivano le artiglierie nemiche, I reparti del 112° fanteria che le presidiavano stavano appiattiti dietro le rocce ed i ripiani naturali del monte. Quando noi comunicammo agli ufficiali l’ordine che avevamo di scavalcarli per attaccare ed avvolgere le posizioni nemiche, essi ci mostrarono i mucchi di cadaveri del loro reggimento caduti nello sfortunato e valoroso tentativo del giorno 30, e le formidabili posizioni nemiche.
Era semplicemente una pazzia pensare di scacciare il nemico da quella naturale cortina già protetta da robusti reticolati e di difesa di vigili e combattive truppe. L’ordine era tassativo e noi dovemmo iniziarne l’esecuzione che fù infausta fin dal principio con conseguenti dolorose perdite nostre e del 112°.
Il nostro morale naturalmente non poteva guadagnarne nulla da quell’impiego inutile ed inumano di reparti che mai avevano mancato al loro onore. La nostra via crucis, e quelle dei numerosi reggimenti uniti a noi dalla stessa sfortunata sorte, continuò ancora per diversi giorni, ripetendo con insistenza e con mezzi sempre meno adatti, i vari tentativi dei giorni 30 giugno e 1° di luglio. Con una rassegnazione che aveva dello stoico, eseguimmo come gli automi i numerosi ordini che ci provenivano dai comandi superiori, ordini tanto più insistenti quanto più ineseguibili.
E percorrevamo in lungo e in largo quel settore nel quale né allora, né mai fu possibile conseguire dei successi. Anche un profano di arte militare avrebbe compreso fin dal primo momento, e dopo un rapido sguardo l’impossibilità di conquistare quelle formidabili posizioni. Durante la guerra mi sono spesso domandato dove fosse la nostra [abilità] tanta decantata e che cosa ne era delle semplici quanto logiche regole di arte militare che si insegnano a qualunque sottotenente.
Il più elementare buon senso, la logica comune anche alle intelligenze più modeste era negletta, spesso vilipesa. Era incapacità o disonestà? Io propendo più per la seconda che per la prima, poiché sarebbe un torto alla vivace e pronta intelligenza della nostra razza l’ammettere che non si comprendessero certe difficoltà insormontabili e contro le quali aveva già cozzato il valore indiscusso, riconosciuto anche dal nemico dei nostri giovani ufficiali e soldati, di cui non si poteva mettere in dubbio né il patriottismo né altro sentimento del dovere. Ed allora quale la ragione delle spietate iniziative, gli ordini inumani, delle repressioni in caso di titubanza? Perché chiudere gli ordini di operazioni con contro gli ufficiali dei reparti nei quali si voleva ingiustamente addossare la responsabilità della non riuscita delle nostre azioni? Perché, come capitò in quei giorni, un ordine di attacco con le parole “passerò per le armi quegli ufficiali che non sapranno fare eseguire quest’ordine”? L’esperienza della vita mi permette oggi di rispondere, e forse senza timore di smentita, alle azioni comando di quei tempi fortunosi e sciagurati. Era l’animismo dei capi, la caccia ai gradi, l’ambizione delle ricompense che muovevano spesso illogici e disonesti gli ordini superiori la cui attuazione provocava l’inutile sacrificio di tante vite generose!

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