Il ritorno

Rosina Borgogno
 racconta famiglia, freddo, civili, cibo a Corropoli (TE) il 6 aprile 1919
Dopo un lungo periodo di sfollamento, Rosina con la madre e i suoi fratelli e sorelle, lascia Corropoli, in Abruzzo, per far ritorno a Telve di Sopra, in Trentino.
Al mattino presto era ancora buio eppure ricordo molta gente era sulla strada ad aspettarci per un ultimo saluto. Partimmo. Addio cara Corropoli. Addio addio nel ritorno al mio paese ti lascio un po’ del cuore mio. Addio cara Corropoli addio addio. E la gallinella rimase come ricordo a Corropoli da dei signori. Il viaggio fu un po’ lungo.
Una sosta a Firenze una a Padova dove anche furono ripetuti i cari 2 alla stazione e poi via. Passati i vecchi confini dove incominciano le montagne il treno andava adagio e dai confini e dai finestrini vedevamo i reticolati e le trincee i buchi delle bombe e le piante divelte e attraversando i paesi le case distrutte. Scesi dal treno a Castelnuovo, su un camion arrivammo all’ingresso di Telve di Sopra. Il camion non poteva entrare la strada era ostruita dalle macerie solo un piccolo e ineguale sentiero.
Incespicando nei sassi giungemmo alla chiesa. A braccia aperte il caro curato ci aspettava (Era il 6 aprile 1919). Ci azzarezzava noi bambini, e man mano arrivavamo ci faceva entrare in chiesa. Un  po’ alla volta ci assegnò un banco o 2 a seconda del numero! Chi fu sistemato sull’orchestra, chi nel battistero. Carlo dei dobasi che era capo coro nel coro. Il curato si sistemo in sacrestia, i giovani e i grandi nei soffitti della chiesa. Qualche famiglia fu sistemata nell’unico piano delle scuole e alcune ancora nella chiesetta di San Giovanni de sassetto dove però mancavano le porte e le finestre. Erano i unici edifici col tetto. Il resto del paese completamente distrutto. Dormire in  chiesa si ma cucinare no Così all’esterno sui muri della chiesa vennero piantati dei chiodi o ferri da reticolato e un filo di ferro e alcune pietre, formati tanti piccoli focolari. Quando il tempo era bello bene ma quando era brutto il fuoco si spegneva bisognava scappare in chiesa e saltare il pasto.
Ci venne dato del pane scuro e latte condensato più tardi caffè d’orzo. E arrivò il papa pover’uomo, sparuto, coi baffi, triste  stanco, povero papa, cosa avrà provato vedendo che io avevo timore? la sua Rosina ma passò solo che era sempre via a lavorare povero papa quanta fatica quanto soffrire e quanto lavorare. Solo il buon Dio potrà ripagarvi caro papa il lavoro fummo così poco insieme. Ma era bravo sapeva fare il muratore il falegname e aggiustava e aggiustava le drambette (scarpe con la suola di legno) faceva anche il contadino ci avete dato tanto papa voi con il vostro esempio di laboriosità e sacrificio. Il papa sempre assente nel lavoro per il governo a fare baracche con pochissimi mezzi la mamma a fare qualcosa in campagna ma bisognava stare molto attenti perché c’erano tante granate inesplose vi furono 4 mutilati alle mani e ai piedi un bambino resto ceco e mori presto. Perciò andavamo pochissimo in giro. […] si iniziò lo sgombero delle macerie coi miseri mezzi di allora e la ricostruzione del paese era lenta. Furono fatte delle baracche di legno e non si poteva fare il fuoco e perciò su un lungo muro che costeggiava la fila delle baracche si ripeteva cio che s’era fatto sul muro della chiesa, ma la bella stagione passa e viene l’inverno,  il freddo. Il governo ci aveva donata una coperta una coperta di lana, un lenzuolo di spugna pesante (lo conservo di ricordo anche se consumato) non c era la luce, e l’olio era prezioso.
C’era stata donata anche una pecora per il latte e la lana di giorno fuori al pascolo o fuori dalla baracca e di notte dentro. Si andava a letto presto e siccome non si dormiva subito la mamma anziché seduti attorno al tradizionale focolare tutti sotto le coperte solo le orecchie e il naso gelati fuori. La mamma dopo le serali preghiere incominciava il suo raccontare e noi attenti a non lasciarci prendere dal sono…

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