Costretti a resistere fino alla resa

Paolo Bielloni racconta disciplina militare, ritirata, resa, cattura di prigionieri a Lorenzago di Cadore (BL), dintorni il ottobre 1917.
La disfatta di Caporetto ha provocato la ritirata delle truppe italiane: alcune batterie di artiglieria, compresa quella in cui milita il tenente Paolo Bielloni, scendono dal Cadore sulla strada verso Longarone. Nella confusione un commilitone di Bielloni,  il tenente Bellini, viene incaricato dal maggiore di prendere ordini al comando di settore, nei pressi di Lorenzago.
Bellini col suo cavallo riuscì a stento a raggiungere il centro della piazza; dove aveva visto un gruppo di ufficiali con un generale,
Bellini si presentò: il generale chiese che cosa desiderasse: gli sembrava quasi impossibile che in mezzo a tata baraonda qualcuno chiedesse ordini e sopratutto avesse seria intenzione di obbedire a questi ordini.
Il nemico scendeva dalla Cimogliana a reparti inquadrati, passava il ponte sul fiume Piave e bloccava tutte le strade a sud isolando così tutti i reparti italiani che tentavano di ricongiungersi col grosso in ritirata.
Il gruppo d'Artigliera da montagna forte di tre batterie scendeva dalla strada nazionale e si metteva a disposizione.

- Quanti pezzi efficienti? “-Dodici”
“Quante munizioni? “Venti colpi per pezzo”
“Il maggiore? “a piedi in testa ai reparti”
“Disciplina? ”perfetta”
“Disertori? ”nessuno”
- Benissimo! Il generale squadrò Bellini dalla testa ai piedi. Quello si inrigidì sull'attenti.
Una pausa. La voce del generale squillò come una tromba.
LA SENTENZA
Tenente! Vada incontro al suo maggiore e gli dica di venire da me. Queste truppe sono destinate al sacrificio. Prenderanno posizione dove indicherò io. Spareranno fino all'ultimo colpo. Poi guasteranno gli otturatori e difenderanno i loro pezzi con la baionetta. Fino all'ultimo sangue. Nessuno si deve ritirare.”
Bellini chiese subordinatamente se, data la gravità dell'ordine, non fosse stato il caso di metterlo per iscritto.
Il generale diventò furente: “Io sono il generale XJ e declinò il suo nome. Vada!”
Bellini rimontò a cavallo e mosse incontro al suo maggiore. Le batterie dietro a lui ognuna con i propri ufficiali. In ordine.
[…]
Le batterie furono messe in posizione sul calar della sera. Avevano dinnanzi a sé un tratto di strada deserta nel cui mezzo a circa trecento metri si elevava la fiammata di un falò acceso dai piccoli posti nemici.
Attraverso questa fiamma si vedeva a tratti la sagoma di un soldato che, senz'armi, si arrendeva al nemico.
Si trattava per lo più di territoriali dispersi ed isolati. Qualcuno ritornava indietro e raccontava che il piccolo posto austriaco lasciava passare chi voleva arrendersi. Poi quello veniva perquisito e privato di tutto, anche del fazzoletto.
Infine veniva lasciato libero nelle loro linee per essere poi rastrellato ed incolonnato per l'inoltro ai campi di concentramento.
L'avvilimento dei comandanti di batteria e degli ufficiali era arrivato alla prostrazione.
I soldati, meno qualche eccezione di consapevolezza erano tranquilli e rassegnati. Per loro infine ciò rappresentava la fine della guerra.
Circolavano voci scaturite dalle fantasie più pessimistiche. Si parlava di resistenza al Po, dato che il Piave non avrebbe potuto resistere.
Si parlava nientemento che di uno sbarco austriaco ad Ancona e conseguente marcia su Roma!
Furono sparati tutti i colpi. I fuochi nemici sparivano spazzati dai nostri colpi. Il nemico si rimpiattava passivamente dietro il rocciato della scarpate stradale
Salvo a riaccendere quel falò quando la nostra sparatoria accennava a finire.
Credo che spiassero il momento che le nostre munizioni finissero per davvero.
Prima di mezzanotte il generale XJ accompagnato da una guida del paese con un seguito di tre ufficiali del comando, varcò la soglia del suo ufficio di fortuna dirigendosi verso la montagna.

Nell'uscire si imbatté in Bellini che cercava di farsi piccino per sfuggire all'incontro.
- “Cosa fa lei qui? Vada alle batterie e ripeta gli ordini che le ho dato: si ricordi che queste truppe non devono ritirasi. Se io la incontrassi in Italia la farei fucilare! - Chiaro?”
Corsi dal mio maggiore e riferii per filo e per segno le parole del generale.
Il mio maggiore sostò un momento pensieroso ma non protestò. Concluse: “Niente da fare, rimanere!"
Riandammo il pensiero al progetto di Quero, ma non me parlammo più. Il maggiore poi si volse a Bellini, paterno ed un po' commosso: leggeva sul suo viso tutta la disperazione dell'ora. Vedevo il mio Veneto calpestato dai selvaggi montanare della Croazia.
Vedevo la fuga desolata della  mia famiglia. I miei affari distrutti. Tutto da rifare. Ed io ancora vivo ma un giorno forse sotto l'accusa di resa al nemico
Il mio maggiore parlò: più per sfogare il suo animo che per convincere: Bellini! Con tutta l'amarezza che io provo in questo momento devo per contro concludere che noi non possiamo avere né rimorsi né recriminazioni. Chi ci ha dato gli ordini risponderà ai suoi superiori che avranno indubbiamente un più ampio orizzonte di vedute. Noi abbiamo eseguito alla lettera gli ordini ricevuti. Abbiamo fatto il nostro dovere.
Non dobbiamo avere né dubbi né rimpianti.
Verso il mattino, tre cadetti austriaci, muniti di un gran lenzuolo bianco infilato su di una pertica vennero verso le nostre linee.
Furono circondati. Chiesero del Comando.
Un maggiore di fanteria che aveva avuto pure ordine di rimanere col suo battaglione di territoriali si consultò col nostro maggiore e risultando questi più anziano, era a lui devoluto l'onere di l'onore di presiedere alle trattative.
Gli austriaci proponevano di cessare ogni ulteriore inutile spargimento di sangue. Tutte e quattro le strade che dai quattro punti cardinali convergevano sull'abitato erano bloccate da altrettante colonne nemiche, forti di uomini, mitragliartici, cannoni.
Ci veniva fatto un complimento, dicendo che noi avevamo fatto una resistenza più che eroica.
Adesso, continuare sarebbe stata pazzia.
Le truppe dovevano depositare le armi in mezzo a la piazza e passare alla spicciolata di là dei piccoli posti.
Gli ufficiali, senz'armi, avrebbero potuto adunarsi all'albergo Roma in attesa di internamento.
Sarebbe stato usato a loro un trattamento di riguardo.
I due maggiori si consultarono:
Con molta cavalleria fecero presente che, date le singole responsabilità, non si poteva venire ad una resa collettiva, ma tutt'al più cedere alla forza.
I cadetti ritornarono alle loro linee col loro lenzuolo bianco. Poco dopo si scatenava l'assalto degli arditi austriaci. Facce patibolari. Pugnali alla mano lanciavano il loro urrah! Risvegliando gli echi della montagna. I due maggiori si avviarono all'albergo Roma. I tre amici si ritrovarono come in sogno con le rivoltelle in mano, attorniati da duecento arditi.
Di sparare  non c'era né il tempo né il modo. Gettarono le rivoltelle lontano il che provocò una corsa di quasi tutti gli arditi per impadronirsene.
I tre furono lasciati liberi e proseguirono avviliti verso l'incerto destino. Poco dopo, dalle finestre dell'albergo assistevamo all'invasione delle quattro colonne nemiche. La piazza ne risultò gremita.
Tra la folla, qualche nostro soldato sperduto, fatto segno dai vincitori, più di simpatia che di risentimento.

Commenti

Post popolari in questo blog

Quota 126 del Vippacco

Perchè c'erano tanti falli nella Roma antica?

Scoperto in Germania il “filo spinato” usato da Cesare contro i Galli.