Corvi e cadaveri

Paolo Bielloni racconta orrori, morti a Clinaz (UD) il 1917.
Un giorno, il Comandante la batteria volle trattenermi fino al sopraggiungere della notte, dicendo che era inutile esporsi a dei rischi enormi mentre che la notte si poteva compiere il tragitto con un maggior margine di sicurezza.
Il fronte era tranquillo. Passammo cameratescamente la giornata ed a sera mi misi in cammino insieme a due soldati che venivano trasferiti al parco.
Eravamo in totale plenilunio e ci si vedeva quasi come di pieno giorno. Ma più ci avvicinavamo all'Judrio più si infittiva una nebbia densa ed opaca che non era rischiarata che dagli shrapnell ad intervalli regolari.
Arrivammo ad un punto in prossimità del fiume dove la strada era stata interrotta dalla difesa austriaca per dar luogo a tre; quattro sentieri che conducevano alle trincee lungo il fiume.
Ci fermammo indecisi in quanto sarebbe stato necessario imboccare giusto il sentiero che portasse al varco nei reticolati e conseguentemente al ponte.
Ma, nel mentre cercavamo un orientamento, la luna disparve sotto una cortina di nebbia fitta ed impenetrabile. Il buio lattiginoso non ci consentiva di vedere più in là di due passi davanti a noi. Un fetore di cadaveri rendeva l'aria quasi irrespirabile.
Subito dopo l'avanzata era stato istituito un Corpo speciali di territoriali che provvedeva a sotterrare le salme dei caduti, lungo tutto il fronte di combattimento. Ma il compito era sproporzionato al contingente  di personale addetto. Ed a distanza di circa quindici giorni dall'azione, i morti giacevano tutt'ora insepolti in parecchi tratti del fronte. Provvisoriamente si provvedeva col buttarvi sopra qualche manata di calce viva.
Prendemmo ognuno per suo conto, un sentiero diverso senza troppo discostarci e mantenendoci in collegamento con chiamate frequenti.
Ad un tratto ci trovammo nel pieno delle trincee sconvolte e subito dopo dai reticolati di ferro spinato spessi e quasi intatti. Una folata di vento, diradò per un attimo la spessa nebbia che ci avvolgeva.
Il chiarore del plenilunio non fece altro che renderci consapevoli della situazione in cui eravamo.
Ci trovavamo imbottigliati in uno dei punti più battuti dalle operazioni di attacco che avevano portato alo sfondamento.
I cadaveri austriaci coprivano letteralmente il terreno: Sparsi, a gruppi, a cumuli uno sull'altro, sui margini delle trincee evidentemente diventate inospitali, denotavano uno spostamento in massa stroncato da un volume di fuoco apocalittico.
Nel raggio della  nostra visuale se ne poteva calcolare a centinaia,tutti in uno stato di incipiente putrefazione. Ma sul momento non riuscivamo a renderci conto della macabra ecatombe.
Sui primi incontrati, che noi schivavamo nel nostro cammino vedevamo staccarsi qualche nero uccellaccio che fuggiva gracchiando sinistramente.
La nebbia ridiscendeva a folate sempre più dense. Ad un tratto ci trovammo davanti ad una superficie ondeggiante di piume nera iridescenti. Sostammo inorriditi.
Uno stormo denso di centinaia di corvi ricopriva compatto un mucchio di caduti, ammassati uno sull'altro evidentemente stretti insieme in un ultimo supremo momento di disperazione.
Il tropico ha le sue iene, i suoi sciacalli. Il nord ha i suoi corvi, gli alati vermi delle tenebre, direbbe Victor Hugo.
Tirai fuori la rivoltella e sparai un colpo, due, tre. Vedemmo lo stormo nero sollevarsi gracchiando e riprender terra qualche diecina di metri più in là.
“Urlare, fischiare, ruggire è vita", dice Victor Hugo.
"Ma il gracchiare è un'accettazione soddisfatta della putredine.”
Ci guardammo attorno: Tutti e tre eravamo immobilizzati dall'orrore. Nello chock che ci invadeva avevamo perduto l'orientamento ed ogni ulteriore passo non sapevamo se ci portasse ad uscire o ad inoltrarci in quel regno dei morti.
Soggiacevamo all'incubo di una tragedia infinita.
Istintivamente potei scorgere ai miei piedi un breve tratto di terreno libero. Ne approfittai per muovermi. Trovai la traccia di un sentiero e mi misi a correre disperatamente. I due soldati mi seguivano ansanti. I corvi ci sfioravamo nel loro volo disordinato. Il loro gracchiare sembrava un rimprovero per aver interrotto il loro orribile pasto.
La nebbia veniva intanto spezzata da folate di vento sempre più intenso. La luna illuminava a giorno il campo dell'orrore.
Ritrovammo il sentiero e poco dopo individuavamo il varco dei reticolati e con esso il ponte.
Pur sotto l'incombere degli scoppi di shrapnell che ad intervalli ci investivano rabbiosi, ci guardammo in viso sorridendo di un sorriso inebetito

Come quei che con lena affannata
Uscite fuori del pelago alla riva
Si volge all’onda perigliosa e guata. (Dante).


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