Fuoco amico

Ubaldo Baldinotti racconta assalti, combattimenti, morti, fuoco amico a Vippacco, quota 126, Nova Gorica, Slovenia il ottobre 1917.
In codesta posizione a protezione della nostra trincea non c'erano reticolati, perché data la poca distanza a cui era il nemico, avevano collocato i cosiddetti gabbioni di filo spinato, e qualche cavallo di frisia: una sera all'imbrunire ci fù ordinato di andare a piazzare, dei cavalli di frisia che dovevano servire per ostacolare un attacco del nemico, impedendole di approssimarsi verso le nostre trincee.
Ad ogni graduato ci consegnarono un biglietto nel quale ci assegnavano il compito circa al numero dei cavalli da collocare, e la distanza dove dovevano esser piazzati, questi cavalli di frisia, al sottotenente che mi aveva consegnato quest'ordine, io feci notare che era assolutamente impossibile, eseguire tale ordine poiché l'ordine diceva di andare a piazzare questi cavalletti, a oltre 250 metri dalle nostre trincee mentre sappiamo bene che il nemico e distante da noi nemmeno a 200 metri, e che i cavalletti si avrebbero potuti piazzare, solo che il nemico ce lo avesse permesso arretrando permettendo cosi a noi di eseguire l'ordine ricevuto, cosa assurda solamente il pensarla.
A queste mie giuste osservazioni egli mi rispose dicendomi che gli ordini sono ordini e non si discutono, ed io allora le dissi che io con la mia squadra agirò nel modo migliore che potrò, di questo ne riparleremo dopo, eseguito l'ordine.
 
Dopo poco si era gia fatto notte ed era una nottata molto scura, in cielo non c'era neppure una stella, e nemmeno il minimo chiarore della luna, forse sarebbe stata una nottata che ci avrebbe agevolato, circa ai movimenti che dovevamo fare, ed io insieme ai soldati e al sergente, si prese i cavalli di Frisia e li piazzammo appena distanti un'ottantina di metri dalla nostra trincea, e tornammo indietro perché il nemico aveva già principiato a sparare; e sarebbe stata una cosa inconveniente e disumana, l'andare ancora avanti perché non si sarebbe usciti vivi, da codesta manovra erroneamente comandata, oppure ci avrebbero catturati tutti prigionieri, ma la cosa più probabile sarebbe stata, che ci avrebbero uccisi tutti.
Facemmo appena in tempo a rientrare in trincea, che il nemico scatenò un attacco terribile, accompagnato da molti colpi di artiglieria, sparati sempre in numero crescente, e oltre la fucileria e le mitragliatrici, che sparavano senza sosta contro la nostra trincea, lanciava molte bombe a mano, e questo significava che il nemico, si era parecchio avvicinato verso la nostra posizione, e sembrava che tutto inciendasse da un momento all'altro. Ci raccomandavano di non sprecare le munizioni, perché i rifornimenti era impossibile averli, e non potevano giungere dato che il nemico, effettuava un gran tiro di sbarramento, con l'artiglieria sulle nostre retrovie impedendo su queste poter effettuare dei movimenti, i feriti e anche quelli molto gravi che erano su delle barelle, e altri in terra in attesa che la battaglia si calmasse, e permettere ai porta feriti di avvicinarsi e portarli, al più vicino posto di medicazione, cosa che per il momento era assolutamente impossibile poter eseguire.
I morti era impossibile calcolare quanti fossero, e la nostra situazione si faceva sempre più disperata, e si faceva sempre più difficile, e il numero dei difensori della trincea, si assottigliava e continuava sempre la tremenda battaglia.
Quando credevamo di esser giunti al punto di dover cedere la posizione, da un momento all'altro, dato il piccolo numero di uomini che si era rimasti a difesa, e data la grande preponderante forza del nemico, succese una cosa strana che mai nessuno di noi avrebbe potuto immaginare che accadesse, mentre la battaglia era sempre violenta.
 
Dal forte di Duino che era a difesa di Trieste, che era alla nostra destra, spararono a distanza di meno un minuto fra il primo e il secondo, due colpi da 420 e con i quali invece di colpire sulle nostre trincee, scoppiarono nel valloncello sottostante e presero in pieno i soldati che c'erano, che erano già pronti per attaccare alla baionetta, e avevano già principiato a gridare urrà urrà, come noi gridavamo Savoia quando attaccavamo alla baionetta. Questi soldati erano quasi tutti ungheresi, e con quei due colpi da 420 che gli aveva presi in pieno, pochi e forse punti rimasero in piedi e caddero come quando si fa il giochetto, rizzando le carte da gioco, che basta toccarne una che cadono tutte, quei due colpi sparati dal nemico, che doveva essere la nostra distruzione, furono invece la nostra salvezza, perché il combattimento cessò, e noi tirammo un sospiro di sollievo, erano circa le ore 24 quando ritornò la completa calma, e non si sentiva più sparare nemmeno un sol colpo di fucile.

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