La battaglia di Cividale del 27 ottobre 1917
Quella
che viene definita come battaglia di Cividale è in realtà un
insieme di scontri e manovre militari che i due eserciti, italiano ed
austroungarico, misero in atto nella zona a nord e a est di Cividale,
allo sbocco della vallata del Natisone sulla pianura friulana.
Assieme alla battaglia di Codroipo può essere considerata la
battaglia più importante della ritirata di Caporetto. Nei giorni
seguenti il 24 ottobre, giorno della rotta di Caporetto, l’esercito
Italiano si stava riorganizzando su posizioni più arretrate nel
tentativo di contenere l’avanzata nemica e permettere al grosso
dell’esercito di posizionarsi dietro il Tagliamento. Il comando
militare aveva ordinato che alcuni reparti dell’esercito di
posizionarsi sulle dorsali montuose che chiudevano la stretta di
Ponte San Quirino-Azzida dislocandosi verso nord sulla linea che
separa la valle del Natisone da quella di Torreano, sul monti Monte
dei Bovi , Mladasena e Spignon (brigate Jonio e Avellino), mentre a
sud, le truppe si erano attestate sui rilievi che separano il
cividalese dalla vallata dello Judrio, vale a dire il monte di
Purgessimo, Castelmonte (brigate Jonio, Avellino e Ferrara) ed il
monte Spig verso Stregna (brigate Elba, Taro, Spezia, Milano e
Puglie). Alle 3,50 del 27 ottobre il Comando Supremo, prima di
abbandonare Udine, ordinò di dislocare in questi punti strategici
quello che restava di queste brigate per rallentare l’avanzata
nemica. Si era stabilito che ogni Corpo d’Armata dovesse lasciare
10 battaglioni sulla nuova linea difensiva che si stava formando, da
Lusevera, Pujak, Le Zuffine, Joanaz, Mladasena, Purgessimo,
Castelmonte, Korada, Sabotino, Salcano, Gorizia. Si trattava di una
resistenza ad oltranza. L’intento militare era quello di guadagnare
tempo, di creare un linea di sosta, ovvero permettere alla II, alla
III e ciò che rimaneva della IV armata di mettersi al riparo nelle
retrovie friulane dietro il fiume Torre, dove sarebbero state
posizionate le retroguardie lasciate sulla linea cividalese.
Diventando questa la nuova prima linea il resto dell’esercito si
sarebbe ritirato dietro al fiume Tagliamento che in quei giorni si
era ingrossato fuori di misura per le piogge caute in quei giorni e
che quindi poteva svolgere un’ottima funzione di barriera e difesa
contro il nemico. In realtà divenne una linea di difesa oltranza. Le
brigate pur in inferiorità numerica e male equipaggiate (non avevano
cannoni ma solo mitragliatrici) e con poche munizioni riuscirono a
fermare l’avanzata di cinque divisioni austroungariche per quasi
tutta la giornata. Sui vari settori della linea mancavano i
rifornimenti. Cadorna aveva dato ordine che nella colonna di
ripiegamento dietro ai carreggi e le salmerie ci fossero anche le
munizioni. Questo comportò che quasi tutti i reparti sulla linea di
ripiegamento rimasero senza questi rifornimenti, soprattutto le
compagnie mitragliatrici. Questo fatto condannò a esito negativo la
resistenza ad oltranza dei soldati e forse fu uno degli errori
commessi dal Comando Supremo durante la ritirata di Caporetto. La
linea difensiva italiana non era stata organizzata con delle
retroguardie, con una profondità tale da riuscire ad arginare il
nemico in caso di perforazione della linea e questo fu l’altro
motivo del facile sfondamento della linea cividalese da parte
dell’esercito austroungarico. La ritirata era stata male
organizzata e mal diretta e di conseguenza l’esito non poteva che
essere negativo. Le brigate impegnate nel contenimento dell’offensiva
nemica erano soprattutto riserve; erano brigate a riposo in attesa di
ricostituirsi dopo le perdite subite sull’altopiano della Bainsizza
ed erano costituite per metà da rimpiazzi e complementi ed erano
mancanti degli effettivi (gli unici che aveva maturato esperienza di
combattimento) poiché quasi tutti in licenza. Si trattava di
difendere ad oltranza, con soldati poco esperti e male equipaggiati e
senza seconde linee, una fronte lunga 50 chilometri, quella che
doveva essere la linea di sosta per bloccare momentaneamente il
nemico per consentire all’esercito di riorganizzarsi dietro il
fiume Torre divenne, come ebbe modo di esprimere Cadorna, una linea
di difesa ad oltranza: Questa linea dev’essere difesa ad oltranza
fino all’ultimo uomo. Cederla significherebbe aprir le porte
all’invasione. Sopra di essa si deve vincere o morire. L’offensiva
austroungarica cominciò durante la notte tra il 26 ed il 27 ottobre.
Il 26 gli italiani avevano abbandonato la stretta di Stupizza,
lasciando dietro di loro incendi e devastazioni, su ordine del
Comando, affinché il nemico non trovasse nulla di utilizzabile. Alle
ore 5,30 gli austroungarici sferrarono un attacco volto a conquistare
il monte Joanaz, sopra Torreano, mentre altri reparti si diressero
verso sud, lungo la dorsale che conduceva allo sbocco di Ponte San
Quirino. Alle 8,30 il Monte dei Bovi era già in mano nemica mentre
il Mladasena venne conquistato verso mezzogiorno.
Quasi
contemporaneamente altri reparti avevano dato inizio all’attacco
del monte di Purgessino, Castelmonte e monte Spig. I primi due, dopo
una strenua resistenza italiana saranno conquistati solo nel primo
pomeriggio. Il giorno prima il 26 ottobre i reparti tedeschi avevano
sfondato ad est del Matajur e si erano incuneati nella stretta di
Luico (Livek) ed avevano conquistato il Kolovrat. Attraverso
Cepletischis e Savogna erano arrivati ad Azzida. Gli austroungarici
durante la notte riuscirono a conquistare S. Pietro e verso le due di
notte, arrivati allo sbocco delle valle del Natisone, tentarono di
prendere Azzida e dal monte di Purgessimo, dove nel frattempo si
erano attestate le postazioni italiane si udivano fucilate e si
videro spesso lampi di colpi nostri e del nemico. Già alle 17,30 del
giorno 26 c’era stato un primo attacco diretto verso il paese da
parte di quelle divisioni provenienti di Luico.
I
soldati italiani circondati da due lati resistettero per tutta la
mattinata seguente e stremati, verso le ore 14,00 dovettero ripiegare
dapprima verso il ponte di San Quirino, che preventivamente era già
stato fatto saltare. Qui non poterono resistere a lungo essendo
bersagliati anche da quelle divisioni nemiche che nel frattempo si
erano attestate sul monte dei Bovi e da dove, con i mortai, colpivano
tutta la piana sottostante. Poi ripiegarono sul monte di Purgessimo
dove si unirono alle altre brigate italiane. Le stesse divisioni
imperiali che li avevano sopraffatti ad Azzida diressero poi il
proprio attacco verso Castelmonte e il monte di Purgessimo dove si
trovavano i nostri. Salendo da san Leonardo dapprima raggiunsero il
monte Cum, sopra Tribil, e poi avanzando lungo la dorsale si
diressero verso Purgessimo. I nostri resistettero in queste
postazioni fino alla sera del 27 ottobre quando dovettero ritirarsi.
Da qui alcuni scesero verso Cividale e vennero fatti prigionieri;
altri che intrapresero la via verso Prepotto riuscirono a precedere
le truppe nemiche che scendevano lungo la vallata dello Judrio e
riuscirono a mettersi in salvo in pianura verso Manzano. Nel
pomeriggio il 14° reggimento Reserjaeger, era riuscito ad arrivare a
Cividale e ad occuparla avendo i nostri lasciato libera la stretta di
san Quirino. Durante la notte la città ducale era stata tenuta
costantemente sotto il fuoco di bombardamento nemico. Il Comando di
Cividale aveva dato incarico al giovane ufficiale del genio Francesco
Giorgi di far saltare i binari della stazione ferroviaria e il ponte
sul Natisone non appena il nemico fosse giunto in città, onde
rallentare la sua l’avanzata; mentre ad altri ufficiali fu dato il
compito di incendiare i depositi. Così che sia per i guasti ordinati
dal nostro esercito sia per gli incendi causati dalle bombe nemiche,
da lontano pareva che «tutta Cividale ardesse siccome un immane
fornace». Gli imperiali, scesi verso Prestento, durante la notte
precedente si erano già attestati sul monte dei Bovi e dalla mattina
iniziarono a colpire con i bombardamenti anche il centro cittadino.
Intanto i soldati italiani già dalla notte avevano cominciato a
ritirarsi chi con il treno chi più tardi a piedi verso Udine. Verso
le 10 del mattino gli ultimi addetti al comando di tappa lasciavano
Cividale mentre, dalla vicina collina di Zuccola, gli italiani
rispondevano al fuoco dei nemici appostati sul monte dei Bovi. Alle
15,45 i primi soldati imperiali entrarono in città trovando
solamente una piccola resistenza da parte dei soldati del genio che
si apprestavano a far saltare il ponte sul Natisone. Pochi minuti
dopo, venne fatto brillare. Cessarono le sparatorie ed iniziò il
saccheggio di Cividale. I poveri abitanti nulla poterono di fronte
alle soldataglie senza regole che oramai avevano invaso l’intero
l’abitato.
Dovettero
assistere impotenti mentre i nemici si apprestavano a sfondare porte
e finestre e rompere tutto ciò che capitava alla ricerca di preziosi
o di qualcosa di utile e questo veniva fatto «con tale cozzo di
colpi che pareva un nuovo terribile bombardamento».
Università
degli studi Cà Foscari di Venezia – Facoltà di Storia – La
Grande Guerra Italiana le battaglie – docente prof. Coglitore Mario
– partecipante come uditore -
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