La nona battaglia dell'Isonzo
Nei giorni successivi all' Ottava Battaglia dell'Isonzo i prigionieri russi ed i veterani delle milizie austro-ungariche proseguirono nella costruzione della nuova linea difensiva sul Monte Ermada. Il rischio corso ad inizio ottobre aveva allarmato i vertici militari asburgici: l'eventuale conquista di Trieste da parte dell'esercito italiano avrebbe cambiato molte cose sul fronte isontino.
Alla
fine del mese, approfittando di un miglioramento delle condizioni
meteorologiche, gli italiani ripresero il bombardamento verso le
linee nemiche che si intensificarono il 1° novembre nella zona di
Doberdò e Opacchiasella (oggi Opatje Selo). La Terza Armata, con una
concentrazione di 200 mila uomini in pochi chilometri, attaccò poco
prima di mezzogiorno riuscendo a far arretrare gli austro-ungarici di
alcuni chilometri.
Il
Dosso Faite, una collina di 430 metri e una delle principali alture
della zona, fu perso dagli uomini di Borojevic il 3 novembre grazie
all'azione della Brigata Toscana. Il generale austro-ungarico era
consapevole che se l'attacco fosse continuato lo sfondamento italiano
sarebbe stato inevitabile. L'ultimo battaglione di riserva venne
inviato sulla Quota 464, vicino al Faiti, per cercare di respingere
l'avanzata dei soldati italiani (sei volte più numerosi). Con una
tenace resistenza, la quota non fu presa e ancora una volta il fronte
non cadde.
Il
4 novembre Cadorna decise di sospendere immediatamente le operazioni.
I 39mila uomini fuori combattimento erano troppi per quei pochi
giorni di battaglia. Una scelta dettata anche a causa della
stanchezza e dal morale dei soldati che, in quei giorni, era
piuttosto basso. Dalla fine di agosto erano stati uccisi, feriti o
catturati almeno 130mila uomini. Da più parti ormai si levavano
proteste e aspre critiche sul modo di combattere e sul trattamento
riservato ai soldati..
Carlo
Salsa, futuro giornalista, in quei giorni era un tenente di fanteria
impegnato sul Carso. Scrisse: "La cosa più demoralizzante,
quello che ti abbatte, non è morire. La cosa peggiore è morire in
modo così inutile, per niente. Questo non è morire per la patria: è
morire per la stupidità di specifici ordini e per la codardia di
specifici ufficiali al comando." (Carlo Salsa, "Trincee.
Confidenze di un fante", in Mark Thompson, "La
Guerra Bianca", Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 240)
Dal
canto suo, Cadorna rispose intensificando la censura e infliggendo
pene sempre più severe a coloro che esprimevano giudizi negativi o
pessimistici sull'andamento della guerra.
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