Le dieci partite che sconvolsero il Venezia (VI partita)

16 Aprile 1967, Serie A
Venezia-Inter 2-3
Una partita epocale. Forse in assoluto, la partita più famosa di tutta la storia del Venezia. E uno dei più grandi furti del calcio, da parte dei potenti. Si è già visto come in quest'anno di serie A, l'ultimo prima del grande vuoto, ne siano successe di tutti i colori: dal 6-2 della Fiorentina, alla deprimente e, soprattutto, dittatoriale decisione della Lega di far giocare Cagliari-Venezia. Ovviamente manca il colpo di scena finale. Il 16 aprile arriva a Venezia l'Inter: i nerazzurri, trionfanti da tempo in Europa, arrivano a Sant'Elena da primi in classifica, 2 lunghezze avanti della Juve. I lagunari sono messi male: terzultimi con 17 punti. Mancano 7 giornate alla fine del campionato, la salvezza è difficile, ma possibile. Certo non è un pensiero saggio mettersi in testa di far punti contro l'Inter. Ma il calcio, a differenza di tutti gli altri sport di squadra, ammette i miracoli. Arbitra l'internazionale Sbardella, lanciato verso la fine della carriera. C'è il sole, ma soprattutto si contano 25.00 persone, una folla immensa che produce il record d'incasso: 33.059,200 lire.
Ma più che per un'impresa dei veneziani, molti accorrono per vedere la grande Inter: Sarti; Burgnich; Facchetti; Bedin; Guarneri; Picchi;Bicicli; Mazzola; Cappellini; Saurez; Corso. Che meraviglia. Una filastrocca che abbiamo imparato da bambini e mai dimenticata. L'estasi del calcio. L'Inter segna subito: Mancin e Cancian vanno in confusione su un pallone, arriva come un falco Mazzola, 1-0, nerazzurri già in volo. Ma Herrera ha dimenticato il paracadute negli spogliatoi: è vero che all'Inter non serve quasi mai, ma sarebbe meglio averlo comunque a disposizione. Manfredini lo spiega subito dopo: Bertogna gli regala una bella palla, lui di testa fredda Sarti:1-1. Va beh, può succedere. Anche l'Inter può distrarsi. Anche se non si festeggia ancora nel modo animale di cui oggi vanno fiere le curve, lo sconquasso del Penzo fa tremare tutta l'isola: schiacciati come mai stati, rischiamo di diventare un cartone animato.
Si rianima invece l'Inter, ma comincia a balenare l'idea che non sarà una domenica facile per gli dei. Herrera illustra a Bicicli e Suarez compinti più guardinghi: il mago sente che l'aria non è delle più salubri. Sbardella fischia una giusta punizione all'Inter: siamo ai vertici dell'area, più o meno davanti a me. Corso va sulla palla, lo stadio è in religioso silenzio. Le sue punizione fanno paura: la condanna arriva inevitabile, Bubacco parte quando il pallone è già praticamente dentro: 1-2. La legge del più forte. Ma ovviamente è destino che questo Venezia non muoia facilmente. Un lancio lungo di Beretta pesca egregiamente Bertogna. La sua azione sfiora il capolavoro: scarta due volte Facchetti, elude anche Picchi e, nonostante sia stretto tra i due, gira in rovesciata un diagonale che Sarti e Guarneri vedono, afflitti, insaccarsi: 2-2.
Il boato di Sant'Elena manda in frantumi l'Inter. Finisce il primo tempo. Walter Ravazzolo sul Gazzettino scrive: fin qui due gol manovrati per il Venezia, due gol trovati per l'Inter. Ma soprattutto gol regolari. Infatti la farsa inizia nel secondo tempo. Intanto si registra il rabbioso ritorno dell'Inter. Mancin salva sulla linea, Mazzola scheggia il palo, poi arriva il gol. C'è una punizione, sembrata eccessiva, sulla tre quarti, per un fallo di Spagni su Suarez: Corso, stavolta, imbecca Mazzola, che a sua volta consegna un pallone d'oro a Bicicli: 2-3. Malumori tra la gente: la punizione è sembrata un regalo. Ma è nulla rispetto a quello che sta per succedere. Il Venezia non ci sta, le forze lo sorreggono. Sente di poter scrivere un risultato importante, forse anche storico. A metà ripresa Beretta arriva in aerea nerazzurra, tira un paio di volte, sulla prima respinge Bedin, sulla seconda, in un tumulto di giocatori, Burgnich, ma con un braccio: la folla urla, vuole il rigore. Ma anzichè il fischio di Sbardella arriva Piedone Manfredini ed è gol: 3-3. Un delirio neroverde. A questo punto Sbardella fischia. Ma non il gol. Panico. Allora ha fischiato il rigore, pensa la gente. Peccato: il vantaggio ci stava tutto. Macchè: a 20' dalla fine, Sbardella inventa un fantomatico fallo in attacco di Manfredini, gol annullato. Succede il finimondo: Moratti padre è insultato in tribuna, tutta la dirigenza interista viene verbalmente aggredita, nel resto dello stadio è un grido unico: ladri, venduti.
Ma non è finita. Sbardella può fare di meglio. La rabbia scatena il Venezia: adesso l'Inter è in balia dell'avversario. A 5' dalla fine è l'apoteosi: cross di Pochissimo testa di Mancini, para Sarti ma non trattiene, la palla danza sulla linea, arriva, come prima, Piedone e la scaraventa dentro: 3-3, di nuovo. E di nuovo Sbardella fischia: il guardalinee, ben dopo che il pallone è entrato in gol, alza la bandierina. Si dirà: fuorigioco di Mencacci. Allora la moviola era un marchingegno sconosciuto, ma la sensazione di tutti è che il gol fosse regolare. Invece finisce 3-2 per l'Inter; la folla aspetta Sbardella che esce, ovviamente dalla parte dei Cantieri Celli. Torna a Roma tranquillo, diventerà prestissimo dirigente della Lazio che, in quella stagione, si salverà proprio ai danni del Venezia. Coincidenza, no?
Nonostante il mio aplomb e probabilmente già presagio di vestire a breve, pur per un tempo limitato, i panni dell'arbitro, ricordo di aver insultato anch'io a lungo il signor Sbardella, come allora si chiamava, con ossequioso zelo, il direttore di gara. Ma ero in rumorosa e numerosa compagnia. E non me ne sono mai pentito. Da quel giorno, curiosamente già ricco di avvenimenti con la conquista di Nino Benvenuti del titolo mondiale dei pesi medi, primo italiano a centrare simile risultato e i funerali del grandissimo Totò, si parlerà di "sudditanza psicologica", coniata dal commissario dell'Aia, il veneziano Piergiorgio Bertotto. Termine, purtroppo, sempre di moda. Con o senza Moggi.
Un secolo di calcio Venezia, pag.126,128,130

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