L'editto di Caracalla: un'estensione della cittadinanza o l'inizio del declino?

 
Nel 212 d.C., l’imperatore Caracalla promulgò la "Constitutio Antoniniana", con cui estese la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell’impero. Un gesto che, a prima vista, potrebbe sembrare rivoluzionario e progressista. Molti storici antichi e moderni, tuttavia, hanno visto in quell’editto non un’illuminata apertura, bensì l'inizio della caduta di Roma.
Edward Gibbon, nel suo "Declino e caduta dell’impero romano", vede nell’editto un chiaro esempio della decadenza imperiale: un atto cinico, privo di vero spirito civico, con cui Caracalla trasformò la cittadinanza in una formalità utile solo a tassare meglio i sudditi. Il prestigio di essere "romano" si dissolse, lasciando solo un’etichetta burocratica senza identità.
Anche autori come Cassio Dione oppure il più recente Mommsen giudicarono negativamente l'estensione della cittadinanza a coloro che non nutrivano stima nei confronti del mondo latino. Essi avrebbero continuato ad appartenere alla propria cultura, usando lo status di cittadino romano solo per convenienze personali.
Anche Giacomo Leopardi, nel suo "Zibaldone" e in altri scritti minori, esprime riflessioni che ci permettono di dedurre il suo giudizio non positivo. Secondo il poeta di Recanati, tale concessione fu un atto di appiattimento culturale, che svuotò di significato la cittadinanza, rendendola puramente formale.
Scrisse a tal proposito:
"Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe piú cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo: l’amor patrio di Roma divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo: e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu piú patria di nessuno, e i cittadini romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto.
La Locanda degli storici

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