La Grande Guerra sulle Quote del Carso Monfalconese

All’inizio del conflitto, durante il primo sbalzo offensivo dell’esercito italiano, la brigata “Messina”
 (93° e 94° reggimento fanteria) oltrepassa l'Isonzo il 5 giugno 1915,  mentre il giorno 9  entra a Monfalcone ed  occupa subito il colle della Rocca (abbandonato dagli austro-ungarici). Il 13 giugno, il VII Corpo d’Armata ordina alla 13ª Divisione d’iniziare l’attacco alla linea difensiva austriaca posta sulle  quote 98, 85 e 121. Lunghe file di reticolati e l'intenso tiro d’artiglieria impediscono qualsiasi tipo di progresso e nonostante le gravi perdite subite i fanti italiani riescono ad occupare solo la quota 98.
Successivamente durante la Prima battaglia dell'Isonzo (23 giugno-7 luglio), assieme alla Brigata Granatieri di Sardegna (1° e 2° reggimento) ha il compito di prendere le quote 121 e 85 nel settore di Monfalcone. Gli attacchi restano senza successo per la reazione degli austriaci, che fanno grande uso di mitragliatrici e lanciabombe. Anche la Seconda battaglia dell'Isonzo (18 luglio-3 agosto), non porta nessun successo italiano, la debole preparazione d'artiglieria non apre i varchi necessari nei reticolati, e non permette alle due brigate nessuna conquista sulle aride alture monfalconesi, nonostante le perdite siano elevatissime. Il 10 agosto la Brigata Granatieri si lancia di nuovo contro le quote 121 e 85; stroncato sul nascere l'attacco alla quota 85, le forze sono dirottate sulla q.121, che viene presa e perduta diverse volte in seguito ai contrattacchi avversari: a sera, un manipolo di granatieri che resisteva dentro alle trincee nemiche, 5 ufficiali e 152 soldati, non sorretto dall'arrivo di rinforzi, deve arrendersi agli austriaci. L’impreparazione e la mancata conoscenza del territorio, avevano comportato per l’esercito italiano soltanto insuccessi ed inutili massacri durante le prime due battaglie.
Per questo motivo la preparazione della Terza Battaglia dell'Isonzo (18 ottobre - 4 novembre 1915) fu condotta nei minimi particolari, il 18 ottobre 1915 più di 1300 cannoni iniziarono a martellare le linee austro-ungariche dalle Prealpi Giulie a Monfalcone. I primi assalti furono positivi ma dopo poche ore i durissimi contrattacchi costrinsero i soldati italiani a retrocedere alle posizioni di partenza. Ancora una volta la scelta della linea difensiva, sempre in posizioni dominanti sulla sinistra dell’Isonzo con soltanto le due robuste teste di ponte a destra (Tolmino e Gorizia), la modernità delle armi e l’esperienza della guerra di posizione (acquisita anche su altri fronti) avevano fatto pendere l’ago della vittoria in favore delle truppe austriache. Il numero dei caduti italiani assunse i caratteri di una tragedia: in dieci giorni le perdite furono di 67 mila uomini ed alcune brigate furono praticamente annientate (la Brigata Catanzaro sul Monte San Michele perse quasi tremila soldati). Sulle  Quota 85 e 121 di Monfalcone tutti i tentativi di conquistare le trincee austro-ungariche fallirono. L'unico piccolo successo da parte delle truppe italiane fu la conquista del sistema trincerato del Monte Sei Busi. 
Le spoglie pietraie carsiche delle alture monfalconesi, bagnate dal sangue di migliaia di combattenti, troveranno un po’ di pace soltanto dopo la Sesta battaglia dell'Isonzo (6-17 agosto 1916), quando con la caduta della roccaforte di Gorizia, l’esercito austroungarico arretro la linea difensiva. Dopo quattordici mesi di cruenti combattimenti, il 12 agosto, le quote 85 e 121 furono occupante dagli italiani. Ma la nuova linea difensiva austriaca distante soltanto alcune centinaia di metri sulle Quote 144 e 77 (Sablici), avrebbe continuato ad ostacolare l’avanzata italiana verso Trieste, chiedendo ancora un contributo di vite umane altissimo ed inutile. 
Prima di ritirarsi dalle Quote 85 e 121, a causa del cedimento della testa di ponte di Gorizia (Sabotino-Podgora-Oslavia), gli austo-ungarici difesero strenuamente le due alture durante i primi giorni della Sesta battaglia, ed in questo contesto si inserisce il famoso episodio della medaglia d’oro al valor militare, Enrico Toti. Nato in un quartiere di Roma, a 26 anni perse una gamba mentre lavorava per le Ferrovie dello Stato (stritolata dagli ingranaggi di una locomotiva). Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, presentò diverse domande di arruolamento che furono respinte. La sua volontà di partecipare comunque alla guerra, nonostante l’amputazione di una gamba, lo vide recarsi nelle retrovie del fronte in bicicletta dove fu accolto come civile volontario (Ricordiamo che nel 1911, pedalando in bicicletta con una gamba sola, raggiunse dapprima Parigi, il Belgio e la Danimarca, fino a raggiungere la Finlandia e la Lapponia, mentre nel 1913 da Alessandria d'Egitto raggiunse il confine con il Sudan). Nel gennaio 1916, anche grazie all'interessamento del Duca d'Aosta, fu assegnato al 3° battaglione bersaglieri ciclisti. Il 6 agosto 1916 Enrico Toti si lanciò con il suo reparto all'attacco di Quota 85, così ricorda l’episodio il compagno d’arme Ulderico Piferi: “fu ferito due volte dai colpi avversari durante il balzo iniziale, poi con un ultimo gesto eroico, scagliò la gruccia verso il nemico esclamando "Nun moro io!" (io non muoio!), poco prima di essere colpito a morte e di baciare il piumetto dell'elmetto. L'eroico gesto, simbolo di estremo sacrificio ed attaccamento alla patria, gli valse la medaglia d'oro alla memoria. Sarà l’affermazione del Duca D'Aosta comandante della 3ª Armata a definire l’importanza storica di quell’uomo, le dimensioni della sua figura: “Onorare Enrico Toti vuol dire onorare il popolo italiano”.
Riassunto conferenza-incontro Università popolare di Venezia


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