Il Vomitorium: gli antichi romani vomitavano davvero per rimangiare?
Sarà
capitato a tutti di aver sentito parlare del “vomitorium”, una
stanza dell’antica Roma dove i commensali si ritiravano durante i
banchetti per vomitare e tornare a tavola per continuare a mangiare.
Questa
immagine di decadenza e spreco è diventata così radicata nella
nostra cultura da essere citata in opere moderne come “The
Hunger Games” di
Suzanne Collins, dove i ricchi abitanti del Campidoglio bevono
pozioni per vomitare alle feste per poter consumare più cibo.
Ma
quanto c’è di vero in questa credenza? L’antica Roma ospitava
davvero questi luoghi dedicati al vomito? Un’indagine approfondita
delle fonti storiche rivela una realtà molto diversa.
Contrariamente
alla credenza popolare, il termine “vomitorium”
(al plurale “vomitoria”) nell’antica Roma si riferiva a
qualcosa di completamente diverso da una stanza per vomitare. I
vomitoria erano i passaggi o i corridoi situati negli anfiteatri e
nei teatri romani, progettati per consentire l’ingresso e l’uscita
rapida di una grande quantità di persone.
Il
termine deriva effettivamente dal verbo latino “vomo” (vomitare),
ma il suo uso era metaforico: questi passaggi “vomitavano” (cioè
facevano uscire) le folle nelle strade. L’efficienza di questi
corridoi era tale che il Colosseo, con i suoi 80 vomitoria, poteva
essere svuotato in soli 15 minuti, nonostante potesse ospitare fino a
50.000 spettatori.
La
prima menzione documentata del termine “vomitoria” appare solo
nel V secolo d.C. negli scritti di Macrobio, nella sua opera
“Saturnalia”. Macrobio usa questa parola riferendosi ai passaggi
attraverso i quali gli spettatori “si riversavano” nei loro posti
durante gli spettacoli pubblici:
“Et
Tiberis flumen vomit in mare salsum, unde et nunc vomitoria in
spectaculis dicimus, unde homines glomeratim ingredientes in sedilia
se fundunt”.
(E
il fiume Tevere vomita nel mare salato, da cui oggi chiamiamo
vomitoria nei luoghi di spettacolo, da dove le persone entrano in
massa e si riversano nei sedili).
È
interessante notare che Macrobio spiega che il suo uso del termine
deriva da un’espressione poetica di Ennio sul Tevere che “vomita”
nel mare, a sua volta ispirata dal poeta greco Apollonio di Rodi, il
che dimostra chiaramente che l’uso del termine era figurativo, non
tecnico.
Se il vomitorium come stanza per vomitare non esisteva,
da dove viene questa idea? Un esame attento delle fonti antiche
rivela che nessun testo romano menziona mai l’esistenza di stanze
specificamente designate per il vomito durante i banchetti.
Gli
scrittori romani come Seneca, Petronio e Svetonio, che descrivevano
spesso in dettaglio la vita quotidiana e talvolta gli eccessi dei
loro contemporanei, non fanno alcun riferimento a luoghi simili. Il
fatto che nemmeno questi autori, universalmente considerati come i
più “pettegoli” della storia romana, abbiano mai citato il
vomitorium è forse la prova migliore che una stanza del genere non è
mai esistita.
Questo non significa che i romani non praticassero
il vomito. Ci sono alcuni riferimenti al vomito nei testi romani, ma
in contesti diversi. Per esempio, Cicerone, nel suo “In difesa del
re Deiotaro”, menziona Cesare che vomita, ma specifica che lo fa
nel bagno, non in una stanza speciale. Altre fonti suggeriscono che
il vomito poteva avvenire per ragioni mediche o come conseguenza
dell’eccesso di cibo e bevande. In latino esisteva una ricca gamma
di parole associate all’atto del vomitare, dai verbi “vomo” (io
vomito) e “vomito” (continuo a vomitare) ai sostantivi “vomitor”
(colui che vomita) e “vomitus” e “vomitio”, termini che
potevano riferirsi sia all’atto di vomitare sia alla materia
vomitata. Ma nessuna fonte antica usa mai il termine “vomitorium”
per descrivere un luogo destinato al vomito dopo i pasti. Se non
esisteva nell’antica Roma, come è nato questo mito ormai radicato
nell’immaginario collettivo? L’origine sembra risalire al XIX
secolo, quando la percezione della decadenza romana iniziò a
prendere forma nella cultura occidentale. Una data importante è
il 1871, quando il giornalista e politico francese Felix Pyat,
descrivendo un pasto natalizio in Inghilterra, lo paragona a
“un’orgia rozza, pagana, mostruosa – una festa romana, in cui
non manca il vomitorium”. Nello stesso anno, anche lo scrittore
inglese Augustus Hare fa un riferimento simile nella sua
pubblicazione “Walks in Rome” L’idea continua a diffondersi nei
decenni successivi, con articoli sul Los Angeles Times nel 1927 e
1928 che menzionano il vomitorium con lo stesso significato errato.
Ma sembra che il vero e proprio “padre” dell’equivoco sia stato
Aldous Huxley, che lo usa nel suo romanzo “Antic Hay” del 1923 (o
1924, le fonti variano). Il romanzo, di grande successo, è
determinante nel “solidificare” questa interpretazione errata
nella cultura popolare. Nel romanzo, Huxley scrive: “Ma
il signor Mercaptan non avrebbe avuto tranquillità quel pomeriggio.
La porta del suo sacro boudoir fu rudemente spalancata, e vi entrò a
grandi passi, come un Goto nell’elegante vomitorium di marmo di
Petronio Arbitro, una persona stanca e disordinata…”. Questa
allusione letteraria fa riferimento a Petronio, autore del
“Satyricon”, che descrive effettivamente orge romane con i
partecipanti che vomitano durante il pasto, ma senza mai menzionare
una stanza specifica per quest’atto. Ad un certo punto del tardo
XIX o inizio XX secolo, si è verificato probabilmente un semplice
errore linguistico: “vomitorium” suona effettivamente come un
luogo dove le persone potrebbero andare a vomitare, e questa
interpretazione si è facilmente associata al preesistente stereotipo
dei romani golosi e decadenti.
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