I pasti dei Romani. Ientaculum, prandium, cena

Quando pensiamo al mondo romano, usualmente cadiamo nell’errore di pensare a un ambiente anche troppo simile al nostro, dimenticando invece che si tratta di un’altra cultura (per quanto ne abbiamo ereditato più di qualcosa) e di altri periodi storici.
Ciò si riflette anche in uno degli aspetti che forse maggiormente denotano una cultura: i pasti.
In questo breve articolo, vediamo i pasti dei Romani durante il periodo classico, in base a quello che le fonti della tarda repubblica e del primo secolo di impero permettono di ricostruire.
Sappiamo che inizialmente i pasti usuali dei Romani sono tre – dapprima 𝘪𝘦𝘯𝘵𝘢𝘤𝘶𝘭𝘶𝘮, 𝘤𝘦𝘯𝘢 e 𝘷𝘦𝘴𝘱𝘦𝘳𝘯𝘢, che infine saranno stabiliti invece in 𝘪𝘦𝘯𝘵𝘢𝘤𝘶𝘭𝘶𝘮, 𝘱𝘳𝘢𝘯𝘥𝘪𝘶𝘮 e 𝘤𝘦𝘯𝘢.
Lo 𝘪𝘦𝘯𝘵𝘢𝘤𝘶𝘭𝘶𝘮, che corrisponde alla nostra prima colazione, è concepito in modo decisamente diverso rispetto al nostro.
Se oggi si usa dire che “la colazione è il pasto più importante della giornata”, per la maggior parte dei Romani è invece un pasto quasi del tutto trascurabile (anche se molti Italiani potrebbero obiettare che è così anche per loro, quando magari prendono quando semplicemente un caffé!).
Per esempio, i militari spesso, a seconda delle mansioni che possono esserci, saltano lo 𝘪𝘦𝘯𝘵𝘢𝘤𝘶𝘭𝘶𝘮 per passare direttamente al 𝘱𝘳𝘢𝘯𝘥𝘪𝘶𝘮. Molti Romani, del resto, a colazione bevono un bicchiere d’acqua e saltano proprio uno dei primi due pasti della giornata.
Anche il medico Galeno, da quanto sappiamo, consuma un frugale 𝘪𝘦𝘯𝘵𝘢𝘤𝘶𝘭𝘶𝘮 solo verso l’ora quarta – ca. le 9 del mattino; i Romani si alzavano piuttosto presto, per cui è un momento già avanzato della mattinata.
Del resto, né lo 𝘪𝘦𝘯𝘵𝘢𝘤𝘶𝘭𝘶𝘮 né il 𝘱𝘳𝘢𝘯𝘥𝘪𝘶𝘮 sono pasti nutrienti, anzi: si tratta usualmente di frugali porzioni di cibo freddo, da consumare anche abbastanza in fretta, tanto da non necessitare di apparecchiare una tavola (𝘴𝘪𝘯𝘦 𝘮𝘦𝘯𝘴𝘢).
Marziale per esempio descrive un frugale 𝘪𝘦𝘯𝘵𝘢𝘤𝘶𝘭𝘶𝘮 fatto di semplice pane e formaggio, mentre quello di Plinio il Vecchio è un piccolo pasto senza pretese (𝘤𝘪𝘣𝘶𝘮 𝘭𝘦𝘷𝘦𝘮 𝘦𝘵 𝘧𝘢𝘤𝘪𝘭𝘦𝘮).
Dello stesso tenore, come accennato, è il 𝘱𝘳𝘢𝘯𝘥𝘪𝘶𝘮: da Seneca e Marziale sappiamo che un tipico 𝘱𝘳𝘢𝘯𝘥𝘪𝘶𝘮 poteva limitarsi a un pezzo di pane con carne fredda, verdura, frutta e un bicchiere di vino.
Considerando che i Romani passano usualmente molto tempo fuori casa, in un contesto cittadino è assai probabile che il 𝘱𝘳𝘢𝘯𝘥𝘪𝘶𝘮 sia usualmente consumato in un locale simile a una taverna, detto 𝘱𝘰𝘱𝘪𝘯𝘢 (oggi invece indicato col termine 𝘵𝘩𝘦𝘳𝘮𝘰𝘱𝘰𝘭𝘪𝘶𝘮), nel quale si può mangiare seduti.
In alternativa, si può consumare qualcosa di molto veloce, accompagnato da una coppa di vino, in piedi, presso una taverna (𝘵𝘢𝘣𝘦𝘳𝘯𝘢 𝘷𝘪𝘯𝘢𝘳𝘪𝘢).
Vista la frugalità e velocità di 𝘪𝘦𝘯𝘵𝘢𝘤𝘶𝘭𝘶𝘮 e 𝘱𝘳𝘢𝘯𝘥𝘪𝘶𝘮 (e spesso, ricordiamo, uno dei due pasti nemmeno veniva consumato), non stupisce che il pasto più importante, allo stesso tempo anche un rilevante momento sociale, è la 𝘤𝘦𝘯𝘢, l’ultimo pasto della giornata e l’unico consumato, come ormai lo stereotipo ce lo fa immaginare, su triclini.
Un orario usuale per iniziare la 𝘤𝘦𝘯𝘢 è usualmente tra l’ora ottava, in inverno, e la nona in estate – per noi molto inusuali, considerando che corrispondono circa alle 14.00 e alle 15.00.
Quello che cambiava è del resto l’orario di conclusione del pasto, che può dipendere dalla presenza o meno di ospiti, dal loro numero, se si è stati invitati a una cena semplice o a un vero e proprio banchetto in pompa magna – i casi più estremi finiscono addirittura a notte fatta, mentre un più morigerato Plinio il Vecchio terminava la sua 𝘤𝘦𝘯𝘢, probabilmente in compagnia, che è ancora giorno e non è ancora passata la 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘢 𝘷𝘪𝘨𝘪𝘭𝘪𝘢 𝘯𝘰𝘤𝘵𝘪𝘴 (18.00-21.00)
Come si evince leggendo fonti come Giovenale o Marziale, il tipico Romano è desideroso di ricevere un invito a cena, poiché si tratta di un momento sociale importante e il mangiare da soli non è certo un momento da celebrare.
Infatti, se una 𝘤𝘦𝘯𝘢 in solitudine prevede un pasto magari caldo, ma certamente molto frugale – Orazio menziona un “piatto di porri, ceci e fritelle”, accompagnato da una coppia di vino -, questo ultimo pasto della giornata usualmente è quello dedicato ai cibi migliori, diversi, dove possibile di lusso.
Senza qui addentrarci nei fastosi banchetti patrizi che affollano il nostro immaginario, preferiamo invece dare uno sguardo diverso, guardando al cittadino romano più comune e umile: in piccolo, infatti, il concetto è esattamente lo stesso anche per le famiglie romane più modeste.
In questo caso, una famiglia contadina potrà così per esempio arricchire la sua zuppa di verdure con olio, un osso di prosciutto o del lardo. Il pane si potrà gustare con formaggio stagionato, olio, aglio, erbe aromatiche. Si aggiungono uova sode e olive.
Nei casi in cui l’occasione lo richieda (un ospite straniero, una festa, una celebrazione), si potrà “esagerare” e darsi al lardo, noci e fichi secchi, o addirittura si potrà preparare della carne (pollo, capretto, agnello, nei casi veramente più importanti addirittura il maiale, che sia carne fresca o stagionata).
Il tutto, naturalmente, accompagnato da del buon vino invecchiato.
Bibliografia essenziale



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