Dal libro "Piave e dintorni" di Sergio Tazzer.
Il
6 novembre i genieri fecero saltare in aria tutti i ponti sul Piave.
Quello di Vidor rimase in piedi ancora per poche ore. Sprezzante del
ridicolo, il generale Graziani il 7 novembre fece pubblicare il bando
di sgombero della popolazione del territorio della Sinistra Piave.
L'ultimo reparto a passare il fiume a Ponte della Priula fu un
battaglione del 152º reggimento della brigata Sassari, inquadrato
per quattro, fucile a bilanc'arm ed al passo, comandato da un piccolo
ufficiale di Thiesi, un paese del Meilogu in provincia di Sassari, il
capitano Giuseppe Musinu, futuro generale di corpo d'armata. «Gli
austriaci - ricordò il generale Musinu - cercarono di fermarci in
ogni modo, ma non osavano attaccare frontalmente e allora mandavano
pattuglie a disturbare la nostra marcia. Il battaglione procedeva in
perfetto ordine, rispondevamo al fuoco con le nostre pattuglie che ci
proteggevano i fianchi e ci precedevano. Io stesso sparavo con il mio
91. Mi dissero che stavano per far saltare il ponte: temevano che gli
austriaci riuscissero a passare il Piave. Mandai avanti un
sottufficiale per dire di aspettare. Arrivammo appena in tempo. Io
ero in retroguardia, per proteggere la ritirata. Quando l'ultimo dei
nostri fu dall'altra parte del Piave, passammo anche noi. E il ponte
fu fatto saltare». In effetti un colonnello del genio stava per dare
l'ordine di far brillare le cariche che avrebbero distrutto il
manufatto, quando uno squillo di tromba avvertì che stava giungendo
un reparto, inquadrato perfettamente e comandato da un piccolo e
impettito ufficiale: era Musinu, che fu anche fra i primi, l'anno
successivo, a far balzare i suoi uomini dalle trincee per ripassare
il fiume Piave. La vicenda del passaggio del ponte del battaglione di
Musinu fu raccontata dal comandante della compagnia d'assalto della
Sassari, capitano Leonardo Motzo: «Passa mezzogiorno, passa l'una e
ancora il battaglione non si vede. Finalmente, lontano, avanza una
colonna. Sono i nostri! Sotto il fuoco nemico la colonna ondeggia,
esita, si scompone. Finalmente imbocca il ponte: sottogola abbassato,
passo cadenzato. Il comandante è in testa. Arrivato all'altezza del
gruppo dei generali grida: Attenti a destra! Il battaglione rende gli
onori». «Forza paris!», avanti insieme, fu - ed è ancora - la
parola d'ordine dei sassarini, quelli delle mostrine bianche e rosse,
il cui inno termina proprio così: «Sa fide nostra no la pagat
dinari/ ajò! dimonios!/ avanti forza paris!», la nostra fedeltà/
non la si può comprare/ andiamo! diavoli!/ avanti, forza insieme!
Giuseppe Musinu fu, con Emilio Lussu, uno degli ufficiali più amati
dai fanti della Sassari, composta interamente da sardi; ferito cinque
volte, fu protagonista in decine di azioni che gli crearono la fama
dell'eroe. Assieme ai suoi sassarini partecipava ai colpi di mano con
«sa guspinesa», un coltello affilatissimo, e con il «fogu aintru»,
con il tizzone dentro la bocca: così tenevano il sigaro, per non
essere individuati nel buio della notte e poter dare fuoco alle micce
degli esplosivi, cortissime, in modo da sorprendere il nemico. Le
sentinelle nei settori affidati alla Sassari avevano l'ordine di
sparare contro chiunque, al «chi va là?», non rispondesse in
sardo: fra gli imperial-regi non erano pochi quelli che parlavano
italiano. E così i sassarini si cautelavano: «Se sese italianu,
faedda in sardu!», se sei italiano, parla in sardo. Le promozioni di
Musinu furono guadagnate sul campo: a 26 anni era il più giovane
maggiore dell'esercito. Morì nel 1992 alla bella età di 101 anni.
©
Kellermann Editore 2011
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