Che mappe usavano gli antichi romani?
Nessun popolo dell’antichità ebbe un rapporto così profondo con la misura, lo spazio, il confine come i Romani. Dove arrivavano le legioni, seguivano i gromatici, agrimensori imperiali armati di strumenti antichi, pronti a trasformare territori sconosciuti in terre da governare. Le mappe dell’antica Roma erano molto più che rappresentazioni: erano strumenti di conquista, documenti di governo, manifesti di civiltà.
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Fin dai tempi della Repubblica, ma ancor più con l’avvento dell’Impero, Roma comprese che per dominare il mondo era necessario conoscerlo, rappresentarlo, renderlo leggibile e amministrabile.
Le mappe incise su pietra o su lastre di bronzo, servivano a suddividere le terre con rigore geometrico: nasceva così la centuriazione, con campi divisi in rettangoli regolari come una scacchiera, ordinati attorno alle nuove colonie romane. Ogni appezzamento veniva registrato, ogni confine tracciato con cura.
Il massimo esempio di questa precisione topografica fu la Forma Urbis Romae, un’opera monumentale realizzata sotto l’imperatore Settimio Severo, tra il 203 e il 211 d.C. Si trattava di una gigantesca mappa marmorea che copriva un'intera parete del Templum Pacis, nel Foro. Lunga circa 18 metri e alta 13, la mappa mostrava l’intera città di Roma in scala 1:240, con un livello di dettaglio straordinario: templi, domus, terme, strade, perfino le latrine pubbliche erano raffigurate.
Di essa oggi restano circa 1.200 frammenti, ma anche solo questi bastano per cogliere l’ambizione visionaria del progetto.
Oltre alla precisione catastale, Roma sviluppò una tradizione di cartografia funzionale, adatta al movimento. Le carte itinerarie erano pensate per i viaggiatori dell’Impero: non per mostrare il territorio, ma per navigarlo, attraversarlo, conquistarne le distanze.
La più celebre è la Tabula Peutingeriana, copia medievale di un originale romano, lunga più di sei metri, che rappresenta l’intera rete stradale imperiale: dalle coste atlantiche dell’Iberia fino all’India e alla Cina. Non una mappa nel senso moderno, ma un diagramma del potere romano, con le sue città, porti, stazioni di posta e le distanze segnate in miglia.
E infine, a testimoniare la visione globale dell’Impero, c’era l’Orbis pictus voluto da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto e geniale organizzatore del potere. Esposta nel Portico di Agrippa, nel Campo Marzio, era una carta circolare del mondo conosciuto. Nulla di essa è rimasto, se non i riferimenti letterari, ma sappiamo che servì da base per le descrizioni geografiche di Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia.
Tutto in Roma era mappa: le strade dritte come assi, le città nate da planimetrie ideali, le frontiere sorvegliate da pietre miliari e confini registrati con rigore giuridico. Le mappe erano simboli di civiltà, strumenti politici, espressioni di un ordine che Roma imponeva al mondo.
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