20 luglio 1915 – 110 anni fa
I primi ad avventurarsi verso le trincee austriache sono gli esploratori del I/55° guidati dal sottotenente Paolo Ruini e le truppe del Genio agli ordini del capitano Chimirri che piazzano 6 tubi esplosivi sotto i reticolati, riuscendo a non farsi scorgere dai soldati austriaci impegnati nella loro sistemazione. Il maggiore Gavagnin, che si aspettava lo scatto delle fanterie al segnale del razzo, per oltre due ore non scorge alcun movimento e decide di inviare l’ordine di sospensione dell’attacco, che però giunge solo al 1° gruppo, quello del capitano Mortara che deve attaccare l’ala destra della difesa austriaca.
Alle 03:57 (l’orario è riportato con precisione nella relazione del capitano Sammartino della 6ª/56°) l’esplosione dei tubi provoca un varco largo 8 metri e profondo 2 attraverso il quale si lanciano il 1° ed il 2° plotone della 6ª/56°, gli alpini della 96ª e gli allievi ufficiali. Nel frattempo l’artiglieria italiana ha costretto gli austriaci a sgombrare le trincee avanzate ed a rifugiarsi sotto il ciglio del margine settentrionale di Monte Piana, lasciando solo pochi avamposti presidiati. L’irruzione degli italiani avviene con successo, un plotone di alpini riesce addirittura a tagliare il camminamento che univa la ridotta alla trincea che batte la forcella ed a catturarne il presidio. Qui però si vengono ad arrestare gli attaccanti, in quanto sull’altro lato non c’è stata l’irruzione del gruppo Mortara. A questo punto il capitano Rossi ordina al Mortara di iniziare l’attacco contro l’ala destra austriaca ed al Meneghetti (che, su iniziativa personale del capitano di Lena, si ritrova a disposizione anche la 12ª pur se decimata e con il solo sottotenente Capuzzo come ufficiale) di mandare all’assalto i rincalzi, previsti inizialmente unicamente per difendere il tergo degli alpini da attacchi provenienti dalle Forcellette.
Mortara invia la 7ª (al comando di un sottotenente) ma questa avanza contro la trincea già occupata dagli alpini; stesso percorso segue poco dopo anche la 1ª/55° guidata dal tenente Puttini. Due cannoni della Feldkanonenregimentes 6/41 sparano sugli attaccanti che cercano di impossessarsene, ma la tenace resistenza degli artiglieri (tra i quali si distinguono il caposezione Leixner, il caporale Feistenauer, il caposquadra Schwarz e l’artigliere Schragl) e dei landesschützen impedisce il colpo di mano, lasciando ampi vuoti tra gli italiani.
Sull’altro fronte il Meneghetti cede il 1° plotone della 10ª alla 2ª e con queste
si lancia contro l’estrema sinistra della difesa austriaca. Ma anche qui i cannoni da montagna della sezione della Gebirgsartillerieregimentes 6/8 ed i landesschützen usciti dalle baracche e dai ricoveri al termine del bombardamento, disponendosi sui fianchi degli attaccanti, riescono ad arrestarne l’impeto. Alle 04:30, al grido di battaglia "Mir nach! Vierzehner!” (Seguitemi! Quattordici!) le truppe del 14.IR guidate dal tenente Fritz Hasenöhrl (che rimane ferito nello scontro ma rifiuta di abbandonare la posizione) e dal sacrificio del sergente Guttenberger piombano sugli alpini e con il fondamentale supporto delle due mitragliatrici iniziano a mietere ampi varchi nelle fila degli attaccanti; il plotone allievi ufficiali lamenta 20 uomini fuori combattimento su 45 effettivi! Gli italiani si trovano nel giro di mezz’ora bloccati lungo tutte le direttrici dell’attacco: fucili, bombe a mano, mitragliatrici e cannoni austriaci sparano da vicino (2-300 metri) e ben protetti. L’artiglieria italiana, dopo avere adeguatamente preparato l’attacco, non riesce a supportarlo in modo efficace. A tal proposito, scrive Berti: “Per l’artiglieria avversaria non si tratta che di concentrare il tiro sopra un bersaglio facile, ben determinato, ben visibile, ed a portata di tutti i pezzi, dei quali alcuni a distanze minime: un piccolo angolo del pianoro nord del monte. Per le artiglierie italiane si tratta invece di individuare le batterie nemiche annidate in ogni piega, abilmente dissimulate, e di ripartire su di esse il tiro”. Davanti al gran numero di caduti e di feriti, il capitano Rossi, che a sua volta è stato ferito, non può far altro che ordinare il ripiegamento.
In contemporanea all’azione sul monte, in Val Rinbianco, il I/56° si lanciava in un attacco dimostrativo per impegnare eventuali rinforzi austriaci: passando per i varchi che aveva aperto in precedenza, il battaglione si affida all’esperienza ed al carisma del soldato Libero Zugni Tauro che assieme ai suoi compagni arriva fin dentro alle prime trincee ma viene abbattuto assieme al sottotenente Giacomo Sisto ed al caporalmaggiore Vittorio Rosset. Il loro sacrificio risulterà del tutto inutile.
Alle 06:30 inizia il ripiegamento da Monte Piana per il Vallon dei Castrati e per il pianoro meridionale verso Forcella Bassa. Le compagnie di Puttini e Meneghetti coprono la ritirata dei due gruppi d’assalto, evitando che si trasformi in fuga disordinata ed alleggerendo il bilancio delle perdite.
Alle 07:00 del mattino del 20 luglio è tutto finito: i caduti italiani sono più di 100, quasi 600 (per alcune fonti più di 800) i feriti ed altri 150 dispersi.
Tra gli irriducibili difensori si contano invece 20 morti e 60 feriti.
da Il Fronte Dolomitico
Commenti
Posta un commento