Roma: l'importanza dell'olio d'oliva

Nell’antica Roma, l’importanza dell’olio di oliva derivava dai molteplici usi che questa preziosa sostanza aveva nella vita di tutti i giorni. Oggi noi la usiamo prevalentemente per condire gli alimenti, ma in epoca antica veniva utilizzato anche per illuminare le case o per la propria igiene personale.
Per quanto riguarda l’importanza dell’olio d’oliva, Plinio il Vecchio dice che: «Ci sono due liquidi che sono particolarmente gradevoli per il corpo umano: il vino all’interno e l’olio all’esterno. Entrambi sono eccellenti prodotti naturali, ma l’olio è assolutamente necessario, e l’uomo non ha sbagliato a dedicare i suoi sforzi ad ottenerlo».  Da queste poche parole si intuisce subito la grande rilevanza che questa sostanza aveva all’interno della società romana, che non solo la utilizzava, come noi oggi, per condire le pietanze, ma anche come combustibile per le lanterne o come unguento per la cura della pelle. E’ dunque naturale che in tutto il corso della storia siano sorte tutta una serie di infrastrutture dedicate alla sua produzione, alla commercializzazione e al suo trasporto. D’altra parte sulla commercializzazione dell’olio, i romani non fecero altro che seguire quello che fenici e greci facevano già da secoli, ma ai romani va senza dubbio dato il merito di aver reso l’olio d’oliva, una sostanza comunemente utilizzata da tutte le classi sociali, e non solo a disposizione dei più ricchi come invece avveniva in tempi più remoti. 
Subito dopo la raccolta, le olive venivano conservate in un ambiente chiamato “tabulatum”, una stanza dal pavimento impermeabilizzato e in leggera pendenza, affinchè le olive deposte, perdessero gradualmente tutta la loro acqua di vegetazione, Il liquido maleodorante che ne scaturiva, non veniva però gettato, sempre Plinio infatti, ci informa che poteva essere usato efficaciemente come valido insetticida. Dopo questo passaggio si provvedeva alla frangitura per mezzo di alcune attrezzature che macinavano le olive, senza però romperne il nocciolo, poichè si pensava che danneggiandolo, si trasferisse nell’olio un cattivo sapore. Tradizionalmente per macinare le olive si utilizzava il “trapetum”, una grande macina, costituita da una parte fissa chiamata “mortarium” e di due calotte mobili in pietra chiamate “orbis”. Aziondando il mortarium, si otteneva così una pasta di olive che poi veniva portata in un altro ambiente chiamato “torcularium” cioè la stanza del torchio, una macchina dal complesso meccanismo, in grado di esercitare una fortissima pressione sulle olive macinate e di far fuoriuscire l’olio che poi veniva raccolto all’interno dei famosi dolia, i grossi recipienti interrati nel quale veniva conservato. Dopo un certo tempo di conservazione l’olio d’oliva veniva poi travasato all’interno delle anfore e immagazzinato nelle cosiddette celle olearie. 
Essenzialmente l’olio d’oliva si divideva in tre principali varietà, l’oleum omphacium era quello di qualità migliore ed estratto dalle olive ancora verdi, e la cui produzione avveniva nel mese di settembre, esso veniva utilizzato per le offerte religiose e per la produzione dei profumi. Poi c’era l’oleum viride, di qualità intermedia, e prodotto nel mese di dicembre da olive ormai tendenti al colore nero, molto utilizzato in cucina era un olio dal sapore più morbido e fruttato. Infine c’era l’oleum acerbum, ottenuto dalle olive già cadute a terra e quindi di qualità molto più bassa. Vale la pena soffermarsi particolarmente sull’oleum viride, il quale si può a sua volta suddividere in altre tre categorie in base alla qualità delle olive. Dalla prima spremitura di dicembre si otteneva l’oleum flos, che oggi potremmo equiparare al nostro extravergine, poi c’era l’oleum sequens, ottenuto da una seconda e più forte spremitura, e quindi di qualità inferiore, e infine, da altre lavorazioni successive scaturiva l’oleum cibarium, il più comune e il più scadente fra i tre. 
Naturalmente l’utilizzo principale di un buon olio di oliva, era in tavola, non a caso  il celebre cuoco romano Apicio, nel suo “De Re Coquinaria”, lo cita in più di trecento ricette. L’olio veniva utilizzato per condire, per friggere, e per preparare diverse salse, insomma, ogni piatto che usciva dalle cucine, non poteva dirsi completo se prima non era stato irrorato con un filo di questa preziosissima sostanza. La sua grande versatilità poi gli consentiva di essere utlizzato non solo nei piatti salati, ma anche in quelli dolci, sempre Apicio, per esempio, ci suggerisce di utilizzarlo mescolandolo a pinoli tostati, noci, miele, pepe, latte, uova,e un goccio di vino puro. Per avere un’idea di quanto fosse importante l’olio d’oliva nella dieta degli antichi romani, basti pensare che Giulio Cesare lo annoverò nell’annona, cioè nella fornitura di grano che lo stato elargiva all’esercito per il proprio sostentamento. Da quel momento in poi, la richiesta d’olio conobbe un’impennata notevole, i soldati infatti, apprezzandolo molto, e portandolo con loro fin verso i confini più lontani, lo fecero conoscere anche alle popolazioni autoctone, facendolo entrare gradualmente anche nelle loro diete. 
L’importanza dell’olio d’oliva non si fermava però alla cucina,  veniva usato  per creare unguenti e profumi, oppure anche come combustibile per lanterne, utilizzando naturalmente le qualità più scadenti. L’olio costituiva un prezioso unguento per chi praticava attività fisica nelle palestre o alle terme. Prima dell’esercizio ci si cospargeva il corpo con l’olio d’oliva per le sue proprietà idratanti e di protezione della pelle. Dopo l’allenamento ci si ripuliva, rimuovendo sudore e polvere con un attrezzo ricurvo in bronzo, chiamato strigile. Naturalmente anche in questo caso si trovò l’occasione per commercializzare il tutto, non era infatti raro trovare alcune persone facoltose che al di fuori di questi luoghi cercassero di vendere flaconi di olio agli avventori. Anche chi gestiva le palestre ne raccomandava l’uso agli atleti, anche per fini medici. Come al giorno d’oggi vediamo chi va in palestra con il suo zaino, anche allora avremmo trovato gli sportivi di allora con il loro necessario, costituito da alcuni strigili e dall’immancabile bottiglietta di olio. 
Gli atleti non erano gli unici ad utilizzarlo, come detto anche in ambito medico poteva essere molto utile, in particolare come unguento per curare alcune ferite, ma anche per il trattamento di ulcere, coliche o febbre. Vi era poi anche un tipo di olio profumato che veniva utilizzato in cosmesi e in profumeria, in particolar modo a partire dal II secolo a.C., molto apprezzati erano quelli a base di olio di mandorle o rose. Anche i defunti venivano profumati con questi oli, ecco perchè gli unguentari costituivano una parte molto importante in ogni corredo funebre.

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