L’assalto in pallone a quota 3152
L’obiettivo
principale delle truppe italiane sulla Marmolada erano le postazioni
a quota 3153, incombenti sulla cosiddetta “Forcella a Vu”,
all’inizio della cresta per Punta Rocca, che erano state
trasformate dagli austriaci in un vero e proprio fortilizio.
I
vari tentativi di attacco frontale si erano dimostrati
impraticabili, mentre l’accesso dalla parete sud rappresentava
un’impresa alpinistica non indifferente, trattandosi di una parete
a strapiombo di ~ 500 m, con difficoltà alpinistiche di V-VI grado.
“Per
salire fin lassù ci vorrebbero le ali”, sembra abbia concluso un
ufficiale superiore, in ispezione all’Ombretta. Forse questa
fortuita considerazione fu alla base del progetto di attacco alla
Marmolada con un pallone aerostatico frenato.
Nonostante
le perplessità degli ufficiali del Battaglione Alpini Val Cordevole,
che avrebbe dovuto fornire gli alpini per l’impresa, ed il parere
sfavorevole del Corpo Aerostieri, il Colonnello Peppino Garibaldi,
che era al comando delle truppe nel settore della Marmolada, decise
di portare avanti il progetto ed invitò in zona un esperto aviatore,
tale Giuseppe Colombo, il quale concluse che l’impresa era
possibile.
Poiché
il Comando della IV Armata, si rifiutava di fornire i materiali
necessari, Peppino Garibaldi parlò del progetto ad un corrispondente
di guerra, tale Filippo Naldi, che a sua volta ne parlò ad un
industriale, tale commendator Cobianchi, che all’epoca produceva
spolette per proiettili d’artiglieria per il nostro esercito. Il
Cobianchi si assunse l’onere dell’impresa; visti i fatti, e
finalmente anche il Comando del Genio della IV Armata, nella persona
del Generale Maurizio Morris, diede il “placet”.
Il
piano prevedeva la risalita notturna della parete sud da parte di
cinque alpini a bordo del pallone aerostatico; raggiunta la cengia
sottostante quota 3.153, gli alpini sarebbero sbarcati e avrebbero
preso posizione in attesa dei rinforzi muniti di mitragliatrice. La
squadra d’assalto avrebbe risalito il canalone sovrastante per
sorprendere gli Austriaci.
A
Milano il Cantiere Aeronautico Usuelli realizzò il pallone,
opportunamente mimetizzato, della capacità di quasi 900 metri cubi.
I primi giorni di ottobre il pallone assieme ad una novantina di
bombole d’idrogeno ed alle lunghissime funi per frenarlo fu
trasportato al Pian d’Ombretta. All’improvviso
giunse, però, l’ordine di ritirata al Piave e tutta l’attrezzatura
fu riportata a valle.
Il
che, probabilmente, fu un bene....
Infatti,
il pallone salendo lungo una parete non verticale, si sarebbe trovato
al termine dell’ascensione a circa 380 metri di distanza dalla
cengia, con la conseguente impossibilità di far sbarcare la squadra
d’assalto.
Il
pallone aerostatico sarebbe stato, infine, un facile bersaglio per la
guarnigione austriaca: pochi proiettili sarebbero bastati per far
esplodere l’involucro gonfiato di idrogeno, gas molto infiammabile.
Conferenze
sulla Prima Guerra Mondiale, Università Popolare di Mestre
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