L' imperatore Teodosio e il divieto dei riti pagani

Il 24 febbraio dell'anno 391 d.C., l'imperatore Teodosio, con mano ferma e volontà di ferro, scagliò un decreto che squarciò il velo millenario dei culti pagani, decretando la loro fine definitiva. Ordinò che nessuno osasse più profanare la propria purezza con sacrifici di vittime innocenti, né avvicinarsi ai templi, quei santuari un tempo colmi di divinità scolpite da mani mortali. Fu proibito persino volgere lo sguardo a
quelle statue, simboli di un mondo che doveva essere spazzato via, perché chiunque trasgredisse avrebbe subito sanzioni divine e umane, severe e inesorabili.
Il decreto, rivolto al prefetto Albino, impose pene gravose: chiunque, anche in viaggio o nella propria città, si fosse avventurato nei templi con l’intento di pregare secondo i riti antichi, sarebbe stato costretto a versare immediatamente quindici libbre d’oro, senza possibilità di estinguere la pena se non davanti a un giudice, con pubblica attestazione. Sei governatori consolari, quattro presidi e i loro subordinati furono incaricati di vigilare con rigore sull’applicazione di questa legge, affinché nessuna trasgressione rimanesse impunita.
Ma non fu un solo colpo a segnare la fine di un’era. L’11 maggio dello stesso anno, un secondo decreto regolamentò le pene per i lapsi, quei cristiani caduti che avevano osato tornare ai culti pagani, mentre il 16 giugno ribadì con fermezza il divieto di avvicinarsi ai templi o di osservarli, sigillando con un’ulteriore stretta la condanna di ogni forma di paganesimo.
Così, l’ombra del paganesimo fu schiacciata dal potere imperiale, e i templi, un tempo fulcro di fede e mistero, divennero luoghi proibiti, testimoni muti di un mondo che tramontava per sempre.

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