Chiave della conquista e macchine d’assedio sul Sabotino
I
primi colpi di artiglieria italiana caddero sul Sabotino già dal
pomeriggio del 24 maggio 1915, mentre reparti di fanteria, risaliti i
rilievi del Collio, attaccarono la dorsale da nord ovest verso sud
est, venendo respinti dalle forze Austro–Ungariche ivi attestate.
Gli attacchi lungo questa direzione si ripeterono per quindici mesi
(Galante, 1939), ma, come si è visto, ad un certo punto si ebbe un
cambio di metodo che determinerò, l’attesa svolta. Dall’inizio
della guerra al novembre 1915 (e cioè nel primo sbalzo offensivo e
nelle prime quattro battaglie dell’Isonzo) (Galante, 1939) le
fanterie italiane sul Sabotino non andavano a combattere, ma a farsi
massacrare (Sema, 1995): un’inutile sequenza assalti in massa, in
cui gli attaccanti non potevano contare che su difese improvvisate,
trincee protette da muri a secco, e dovevano percorrere diverse
centinaia di metri su un terreno completamente scoperto prima di
raggiungere il Trincerone nemico, protetto da reticolati che
avrebbero dovuto essere neutralizzati con poco efficaci pinze
tagliafili, visto che il fuoco delle artiglierie non riusciva a
debellarli completamente (Marras, 1933). Nel novembre 1915, dopo la
quarta battaglia, che vide alcuni reparti italiani raggiungere le
linee austriache per essere subito neutralizzati, i Comandi italiani
si resero conto che era necessario affrontare la situazione più
organicamente. Il generale Montuori, comandante della 4° Divisione,
che presidiava il Sabotino, promosse la realizzazione di uno
strutturato sistema di opere offensive, ideate e proposte dal suo
Capo di Stato Maggiore il tenente colonnello Pietro Badoglio. Per
realizzare tutto ciò, venne chiamato sul posto appunto il Gavotti,
evidentemente già considerato uno dei migliori specialisti nella
realizzazione di opere ossidionali per la nuova guerra di posizione
(Gavotti N. 1925; Scrimali 1997). I lavori iniziarono alla fine del
1915, coordinati direttamente da Badoglio: il piano, prevedeva un
avvicinamento progressivo alle linee austriache. Vennero scavate una
fitta rete di
trincee, profondi camminamenti coperti, e soprattutto caverne e
gallerie: le due più lunghe a quota 513 (“prima e seconda galleria
Badoglio” Gavotti, N. cit.), che vennero ribattezzate dai soldati
il “Castello Incantato” ed il “Duomo” per la loro complessità
e tortuosità (Scrimali, 1997). Gli italiani erano così giunti a
pochissime decine di metri dalla trincea avversaria dell’alto
Sabotino, con ricoveri sotterranei capaci di due battaglioni a
ridosso del nemico. Un’ulteriore galleria, trincee e camminamenti
vennero scavati anche più a valle, nella località detta dei “Massi
rocciosi” (Marras, 1933; Scrimali, 1997). Accanto a ciò, una
minuziosa osservazione e raccolta di informazioni aveva permesso di
ricostruire le posizioni nemiche, con la precisa ubicazione delle
caverne. Il tutto fu completato dall’addestramento delle fanterie
ad avanzare contemporaneamente al fuoco di sbarramento
dell’artiglieria (Marras, 1933): la nuova tattica prevedeva che
quest’ultima, contrariamente a quanto fatto sino ad allora, non
rallentasse il tiro al momento dell’attacco.
Così
non si lasciavano tempi morti nell’assalto, nei quali gli Austriaci
avrebbero potuto prendere posizione nelle trincee, facendo invece in
modo di “intrappolare i difensori colti di sorpresa” (Sema,
1995). Si sarebbe anche utilizzata per la prima volta massicciamente
la bombarda, arma a tiro curvo che si rivelò risolutiva nel demolire
in maniera finalmente efficace i fili spinati. Tutto era ormai pronto
per la sesta battaglia dell’Isonzo, che cominciò il 4 agosto del
1916: lo schieramento italiano vedeva dislocata sul Sabotino la 45°
Divisione. L’attacco al Monte venne organizzato in tre distinte
colonne: una, al comando del colonnello Badoglio, doveva procedere
lungo la linea di cresta; la seconda al centro (gen. Gagliani, poi,
ferito, sostituito da De Bono) e la terza alle falde del Monte
(comandante Boetti). Da parte austriaca, il Sabotino era presidiato
dal III battaglione del 37° reggimento Landwehr (Marras 1933; Lodi,
2005) di stanza a Gruž – Gravosa, nella Dalmazia meridionale
(Croazia) nei pressi di Dubrovnik (Ragusa), regione nella quale
venivano reclutati i militari che lo componevano, di nazionalità
quasi totalmente serbo - croata (Offelli, 2001). Questo reparto aveva
avvicendato i precedenti qui stanziati, e, data la delicatezza delle
posizioni da presidiare, la scelta dei difensori non era stata fatta
a caso. I soldati dalmati erano rinomati per il loro spirito
combattivo, tanto che nell’esercito I.R. “il termine dalmata,
Dalmatiner, divenne sinonimo di tenacia e resistenza nonché di
singolare accanimento difensivo” (Acerbi, 1991), e tanto più se il
nemico da combattere era l’Italia. Si aggiunga a ciò, che il 37°
Landwehr, anche se era considerato a tutti gli effetti un’unità di
fanteria, in caso di guerra era impiegato come reparto da montagna
(Acerbi, 1991). L’attacco italiano scattò alle quattro del
pomeriggio del sei agosto 1916, dopo otto ore di devastante
bombardamento, che aveva fra gli obiettivi più importanti gli
imbocchi delle caverne (Marras, 1933). Per espugnare la cima del
Monte, era previsto che l’assalto delle fanterie di Badoglio doveva
compiersi in due ondate ravvicinate: la prima doveva “provvedere a
bloccare caverne e camminamenti, paralizzarne la difesa ed
annientarla”; la seconda doveva procedere lungo la cresta
scavalcare il primo nucleo d’assalto e procedere fino all’Isonzo
passando per il S. Valentino e S. Mauro (Gariboldi, 1927). Il piano
riuscì perfettamente e con una velocità impressionante: in soli
quaranta minuti la vetta venne
raggiunta e i soldati italiani, proseguirono per gli obiettivi
prefissati: come previsto, gli Austriaci non ebbero nemmeno il tempo
e il modo di uscire dalle formidabili caverne, dove rimasero bloccati
e vennero sopraffatti. Diversa la situazione delle altre due colonne
d’assalto al Sabotino: se quella centrale, anche se più lenta
raggiunse i suoi obiettivi, congiungendosi con la prima al costone
che dal San Valentino scendeva a San Mauro, (Scrimali, 1997), la
terza, a valle, non riuscì a sfondare, incontrando “gravi
difficoltà” (Galante, 1939). Alla sera del 6 agosto, gli Italiani
controllavano tutta la cresta del monte, ma il versante nord era
ancora minacciato dal nemico, che manteneva alcune posizioni presso
il gruppo di caverne del Dente (il nucleo principale degli ipogei
prima descritto), compresa una delle gallerie. Il giorno successivo
le truppe austro – ungariche sferrarono due disperati
contrattacchi, che non ebbero esito e l’8 agosto ripiegarono oltre
l’Isonzo, sulla seconda linea difensiva. Avvenne che un nucleo di
soldati austro – ungarici era rimasto asserragliato in una delle
gallerie passanti del sistema difensivo della vetta, e continuava a
resistere. Si riporta qui un passo del volume La conquista del
Sabotino, del generale Giuseppe Venturi, comandante della 45°
Divisione3 : «Nell'alto Sabotino però rimaneva ancora la galleria
del 609 in possesso degli austriaci che vi si difendevano tenacemente
fino dal giorno 6 [agosto, n.d.a.]. Essi trinceratisi entro la
caverna tortuosa, che rendeva inutile il tiro di una mitragliatrice
posta all'imbocco, fulminavano chiunque si avvicinasse. Fu possibile
snidarli solamente il giorno 8 accendendo bidoni di petrolio
all'ingresso orientale della galleria che fu invasa da un fumo
asfissiante. Per qualche ora gli austriaci resistettero, ma poi
uscirono, prima gli ufficiali e poi la truppa, ad uno ad uno con le
mani alzate ed erano tanti che non sembrava possibile potesse
contenerli la galleria». L’episodio, viene narrato in toni
decisamente più drammatici da Fritz Weber4 , che dà per morti
nell’incendio tutti gli occupanti delle caverne, ma sembra più
plausibile il resoconto di Venturi, che, essendo fra uno degli attori
protagonisti della conquista del Sabotino ebbe di certo a sua
disposizione rapporti dettagliati ed informazioni dirette.
La
resistenza nelle gallerie del Sabotino può dimostrare l’ostinazione
ed il valore dei soldati Dalmati dell’Impero asburgico, e come
questi cedettero sopraffatti dal terribile cannoneggiamento italiano
e dal fattore sorpresa piuttosto che dalla loro scarsa combattività.
Un evento analogo, ma caratterizzato da una resistenza più breve,
viene riportato anche per l’avanzata nel basso Sabotino, ai “Massi
rocciosi”, dove gli Austriaci bloccati nelle caverne, furono
debellati dagli Italiani con i “lanciafiamme” che costrinsero “il
nemico ad arrendersi” (Marras, 1933 cit. p. 74). Una volta
raggiunte le nuove posizioni, gli Italiani non persero tempo a
fortificarle a loro vantaggio, sfruttando quanto già predisposto
dagli Austriaci. Il Sabotino era diventato una posizione dominante
sui nuovi obiettivi da raggiungere, oltre l’Isonzo: il Kuk 611, il
Monte Vodice, il Monte Santo, il San Gabriele e la Bainsizza, ovvero
la seconda linea difensiva dove si era attestato l’esercito
asburgico dopo la ritirata da Gorizia. Austriaci ed Italiani si
trovarono così dirimpetto, a cavallo della valle dell’Isonzo, e
questo fu lo scenario delle successive cinque cruente offensive
italiane e della drammatica ritirata dopo lo sfondamento di
Caporetto. Dopo la conquista italiana, quindi, il Sabotino andava
fortificato per due motivi: innanzitutto per dislocare in maniera
ottimale il maggior numero di artiglierie possibili, nonchè, per
creare una seconda linea difensiva lungo tutto il fronte dell’Isonzo,
per arginare un eventuale contrattacco nemico. Per fare tutto questo,
c’era la persona giusta, dotata di “fattiva genialità”
(Gavotti G.M., 2008) che non attendeva altro se non di mettersi in
moto: Nicolò Gavotti effettuò un primo sopralluogo sul terreno
appena conquistato, da solo, già il sette agosto del 1916, con una
situazione ancora non del tutto stabilizzata, e si mise
immediatamente e febbrilmente all’opera, con tutto il suo “Gruppo
Lavoratori”. Nel suo volume di memorie, egli elenca espressamente
tredici cavità principali da lui realizzate sul Sabotino, per un
totale di cinquantasei pezzi di artiglieria incavernati, e due
chilometri e mezzo di gallerie, compresi gli ampliamenti e modifiche
di quelle realizzate dagli Austriaci e dagli Italiani prima della
conquista. In totale, le cavità sono moltissime di più, considerato
sia quelle minori che altre di cui non vi è chiaro riscontro in
quanto scritto dal medesimo, e che dovrebbe essere oggetto di una ben
più approfondita analisi. Venne anche realizzato un camminamento in
trincea, dal Dente fino al San Valentino, lungo il quale vennero
scavate numerosi ricoveri e caverne passanti (Gavotti N., 1925) per
la fanteria. Gavotti diede alle singole caverne i nomi dei suoi
subalterni incaricati di realizzarle: Rosan, Baraldi, Veronese,
Bianchi, Picetti, Gaffuri e Baraldi, Baù, Marolla, riportandone, sul
suo libro di memorie, le planimetrie che però appaiono spesso
discordanti con la realtà, come avviene, ad esempio, per la Galleria
delle Otto Cannoniere (SA46), associata da Gavotti ai nomi di
Gaffuri, Bellorio e Baraldi. Addirittura intere importanti gallerie
sembrano essere del tutto ignorate, come la “Caverna Armata”
(SA49 fig. 25), o la “Galleria dei Piccoli Calibri” (SA51), fra
le più importanti dell’intera area. Queste discrepanze possono
essere spiegate con il fatto che il progetto iniziale di Gavotti, che
il medesimo riproduce nel suo volume, in realtà subì delle varianti
in corso d’opera: lo stesso suo modus operandi si ritiene fosse
slegato da schemi rigidi, per seguire piuttosto un progetto di
massima suscettibile di variazioni a seconda delle mutate esigenze
tattiche, della situazione operativa e dei mezzi a disposizione per
scavare. Si può supporre che le modifiche vennero apportate dai
diretti esecutori dei lavori, ai quali lo stesso comandante lasciava
larghi margini di autonomia (Gavotti, 1925, cit. p. 104), oppure
furono dovute ad ordini diversi ricevuti da altri ufficiali in loco,
di grado superiore o direttamente competenti, ad esempio,
nell’impiego dell’artiglieria.
diatamente
e febbrilmente all’opera, con tutto il suo “Gruppo Lavoratori”.
Nel suo volume di memorie, egli elenca espressamente tredici cavità
principali da lui realizzate sul Sabotino, per un totale di
cinquantasei pezzi di artiglieria incavernati, e due chilometri e
mezzo di gallerie, compresi gli ampliamenti e modifiche di quelle
realizzate dagli Austriaci e dagli Italiani prima della conquista. In
totale, le cavità sono moltissime di più, considerato sia quelle
minori che altre di cui non vi è chiaro riscontro in quanto scritto
dal medesimo, e che dovrebbe essere oggetto di una ben più
approfondita analisi. Venne anche realizzato un camminamento in
trincea, dal Dente fino al San Valentino, lungo il quale vennero
scavate numerosi ricoveri e caverne passanti (Gavotti N., 1925) per
la fanteria. Gavotti diede alle singole caverne i nomi dei suoi
subalterni incaricati di realizzarle: Rosan, Baraldi, Veronese,
Bianchi, Picetti, Gaffuri e Baraldi, Baù, Marolla, riportandone, sul
suo libro di memorie, le planimetrie che però appaiono spesso
discordanti con la realtà, come avviene, ad esempio, per la Galleria
delle Otto Cannoniere (SA46), associata da Gavotti ai nomi di
Gaffuri, Bellorio e Baraldi. Addirittura intere importanti gallerie
sembrano essere del tutto ignorate, come la “Caverna Armata”
(SA49 fig. 25), o la “Galleria dei Piccoli Calibri” (SA51), fra
le più importanti dell’intera area. Queste discrepanze possono
essere spiegate con il fatto che il progetto iniziale di Gavotti, che
il medesimo riproduce nel suo volume, in realtà subì delle varianti
in corso d’opera: lo stesso suo modus operandi si ritiene fosse
slegato da schemi rigidi, per seguire piuttosto un progetto di
massima suscettibile di variazioni a seconda delle mutate esigenze
tattiche, della situazione operativa e dei mezzi a disposizione per
scavare. Si può supporre che le modifiche vennero apportate dai
diretti esecutori dei lavori, ai quali lo stesso comandante lasciava
larghi margini di autonomia (Gavotti, 1925, cit. p. 104), oppure
furono dovute ad ordini diversi ricevuti da altri ufficiali in loco,
di grado superiore o direttamente competenti, ad esempio,
nell’impiego dell’artiglieria
Si
aggiunga a ciò che Gavotti, nel 1917 divenne Responsabile
dell’Ufficio Lavori basso Isonzo, stanziando il suo quartier
generale alla sella di Dol (oltre l’Isonzo, fra le pendici del
Monte Santo e del San Gabriele), da dove seguiva anche i lavori di
fortificazione dei siti che venivano man mano conquistati, in
particolare del Vodice e del Kuk, e che quindi la sua diretta
presenza sul Sabotino si ridusse senz’altro di molto, se non del
tutto. Le maggiori realizzazioni ipogee dopo la conquista italiana
furono eseguite lungo il crinale in direzione nord – ovest, in
particolare concentrandosi in un tratto di circa un chilometro, da
quota 507 alla vetta a quota 609 (ci si trova in territorio sloveno).
In questo tratto di cresta le opere sono poderose, con sviluppi che
arrivano ai 650 metri della cannoniera detta “Picetti”, risultato
della trasformazione della “prima galleria Badoglio”: gallerie
lunghe, dagli ambienti articolati ed ampi ma soprattutto complete. Si
evidenzia una notevole differenza fra le gallerie della porzione di
cresta a nord – ovest della vetta e di quelle del tratto fra la
quota 609 e l’eremo del San Valentino. Queste ultime, cheoggi
si trovano a metà fra Italia e Slovenia, sono meno sviluppate e
presentano in alcuni casi le sezioni interne dei cunicoli molto
strette, segno evidente che diverse non furono completate. Per
questioni di tempo e di risorse, vennero evidentemente date altre
priorità, ed i lavori furono bruscamente interrotti dalla ritirata
dopo l’offensiva austro - tedesca di Caporetto (Gavotti, 1925).
Gavotti, aveva affidato i lavori attorno alla vetta e fino al San
Valentino, a degli ufficiali particolarmente fidati, in particolare
il tenente Marolla ed il sottotenente Giolli, che si resero talmente
autonomi da costituire, un “ente autonomo o semi indipendente”,
autonominatosi “Gruppo Alto Sabotino”, con il beneplacito, del
tutto fuori dagli schemi formali del Regio Esercito, del comandante
medesimo. Il reparto, che lavorava sempre di giorno sotto il tiro di
artiglieria nemico, a detta di Gavotti, operò con particolare
perizia, grazie alla capacità di comando dei suoi ufficiali. Esso
era formato da elementi della 305° compagnia del 1° Reggimento
Genio, che lasciò una targa in una delle gallerie sotto i ruderi
dell’eremo del San Valentino (Scrimali, 1997), e da alcune Centurie
della Milizia Territoriale. Questi ultimi vennero addestrati all’uso
delle mine per scavare in roccia, di solito di competenza dei
genieri. E fu proprio questa la causa dell’unico militare caduto
del “Gruppo Alto Sabotino”, un centurione della territoriale che,
caricando una mina, la fece inavvertitamente esplodere. In ogni caso
anche in questo tratto di vetta furono dislocate artiglierie, con
postazioni in perfetta efficienza, e soprattutto degli osservatori:
uno con posto telefonico nella SA3 (CA333 FVG GO, “Galleria
dell’Osservatorio”), ricostruito negli anni ’20 e compreso nel
percorso della Zona Sacra che venne realizzata in seguito.
Un’importante cavità di quest’area è la SA6 (CA336 FVG GO –
“1° Galleria italiana sul Monte Sabotino”), particolarmente
complessa, ampia e addirittura molto ben rifinita con elementi
decorativi in cemento al suo interno. La sua funzione di comando con
osservatorio è chiara, viste le caratteristiche, ed un’epigrafe a
pavimento “8° Divisione” dà un chiaro indizio di come potesse
essere stata il centro da dove venivano dirette le operazioni di
attacco al Monte Santo: un settore affidato, nel 1917, a questa
grande unità.
Assieme
alle fortificazioni dell’alto Sabotino, furono costruite due
cannoniere più in basso, che puntavano a sud est, sul monte San
Marco e sulle alture del Carso dove si erano spostate le nuove linee
austro – ungariche. Una di queste è la SA42 (CA807 FVG GO 7°
Cannoniera italiana sul monte Sabotino), presso il III tornante della
nuova strada militare italiana, detta “batteria Baù” (Gavotti,
1925), realizzata per il 2° Rgt. Artiglieria Pesante Campale dotato
di quattro cannoni da 105 mm. Un’altra cavità per quattro pezzi da
105 (Batteria Rosan), scavata in loc. Villa Vasi a San Mauro (pendici
del Sabotino), venne con ogni probabilità ritombata nel corso dei
lavori di costruzione della cosiddetta “strada di Osimo” 5 . Le
offensive italiane continuarono con la settima, ottava e nona
battaglia dell’Isonzo, fra il settembre e l’ottobre del 1916, con
attacchi che interessarono le alture a sud della città, (San Marco e
dorsale Fajti – Trsteli). In seguito, con la decima offensiva
(maggio 1917) che vide la presa del Vodice ed il Kuk 611, e con
l’undicesima (conquista del Monte Santo e dell’Altopiano della
Bainsizza), si verificò la massima penetrazione italiana nel
territorio dell’impero austro – ungarico. Il contributo delle
batterie del Sabotino fu sicuramente determinante nei successi
italiani, anche in settori che non erano immediatamente vicini, come
ad esempio il Carso.
Corso
di storia storia Contemporanea – Università Popolare di Mestre,
doc. Fusaro Franco
Commenti
Posta un commento