Val Travenànzes e il "Sasso del Mistero"
Il
Sasso Misterioso è un masso erratico di proporzioni colossali che
sbarra la Val Travenànzes al di sotto del gradino roccioso che
scende da Forcella Bos. In guerra, per la sua forma, gli Austriaci lo
chiamavano “Gespaltener Fels”, il “Sasso Spaccato”. Vero
rebus di pietra che aumentò il già oscuro fascino della valle in
quanto nelle sue immediate vicinanze interi plotoni sparivano come
fossero inghiottiti dalla Terra. La fantasia, poi, in quei momenti
drammatici, ingigantiva le insidie del groviglio di rocce, facendone
a poco a poco una leggenda: cos’era mai quella diavoleria perché
intere compagnie scomparissero come fossero inghiottite dal cuore
della Terra? Nessuno, dopo avervi messo piede, aveva fatto ritorno.
Per di più la fantasia ingigantiva le insidie di quel masso fra le
cui pareti sembrava ci fosse una immane ragnatela che invischiava
chiunque arrivasse a tiro.
Dopo
che il fumigante enigma del Castelletto fu risolto da quegli uomini
semplici: “… dai visi di Santi usati soltanto alla passione del
lavoro …” (P. Jahier), il capitano austriaco von Raschin, fautore
di insidie in Val Travenànzes, fece abbandonare la linea austriaca a
nord del torrione distrutto rendendosi conto che non avrebbe più
offerto possibilità di resistenza. Dal 17 luglio 1916, l’artiglieria
italiana cominciò a battere senza pietà e senza tregua queste
posizioni sulle quali, ormai, si trovavano pochissimi difensori. Fra
questi, il presidio di 22 uomini dislocato al Sasso Misterioso. Il
termine “diavolerie” era familiare in quel luogo: “Gola del
Diavolo” era il Cadin di Fànis; “Valle dell’Inferno” era la
stessa Val Travenànzes; si combatteva poi scavando diaboliche
gallerie … E ora una nuova insidia si stava preparando. La coltre
violacea della notte incombente faceva scudo e riparo agli Austriaci
che lavoravano e tramavano in silenzio: erano riusciti ad organizzare
una nuova linea che sbarrava la valle, linea che dalla parete
occidentale della Tofana di Ròzes si spingeva sino al greto del Rio
Travenànzes. Era la famosa “α-greca”, una sorta di “cul de
sac”, una trappola, una nuova insidia con cui imprigionare chiunque
avesse tentato di forzare le porte della “Valle Proibita”.
Gli
Austriaci non costruirono né ricoveri, né camminamenti, né
trincee, ma stesero ed organizzarono incredibili quanto potentissimi
reticolati d’inciampo. E mentre i nostri avversari tessevano
inaudite trame, nei Comandi Italiani maturava l’idea di un potente
attacco con cui raggiungere Forcella Grande e - da lì - minacciare
lo sbarramento della Val Parola. Avrebbero dovuto essere coinvolti
ben sei battaglioni alpini e uno di fanteria: il Btg. “Val
Chisone”, il “Monte Antelao”, il “Pieve di Cadore”, il
“Belluno”, il “Monte Albergian”, il “Monte Pelmo” e il
III° Battaglione del 45° Reggimento di Fanteria. L’incarico di
studiare le modalità d’attacco fu affidato al Cap. Carlo Rossi
della 96ª Compagnia del Btg. “Monte Antelao”. Ma nessuno aveva
subodorato la trappola. I reparti impiegati nell’azione, che
avrebbero dovuto attaccare in modo travolgente, non riuscirono a
coordinarsi. Il 29 luglio, il fuoco di artiglieria si intensificò
davanti al Col dei Bos, spostandosi lentamente sulle posizioni
retrostanti e su Forcella Fànis. Verso l’imbrunire, tutto si
calmò. Trascorsero ore lunghe, pesanti come stillicidio di piombo
fuso mentre i nostri soldati sembravano percepire a fior di pelle
l’insufficiente preparazione e l’inesistente
coordinamento nell’azione. Ma alle ore 22, come fissato, la 96ª
Compagnia, con il Cap. Rossi in testa e le Sezioni di Mitragliatrici
dei Sten. Pimpinato (29ª Sezione MTT Fiat) e Jahier (con una
Schwarzlöse) iniziarono la salita all’interno della nuova galleria
per piombare alle spalle degli avversari. Entrarono uno alla volta
nello stretto budello fino a raggiungere il bordo del cratere. Ma
impiegarono troppo, troppo tempo e gli Austriaci scaricarono loro
addosso il fuoco micidiale di proiettili esplosivi. “Avanti
Savoia!”, urlò egualmente il Cap. Rossi.
Gli
Austriaci si ritirarono. Sulle rocce, alcuni Alpini, silenziosi,
avevano già fatto tutto ciò che si poteva, con quello che avevano e
senza preoccuparsi d’altro: erano andati verso la morte come
attraversando una strada senza bugie. Era l’una, forse le due
quando si sviluppò l’azione del Sasso Misterioso ad opera dei due
plotoni del Ten. Fortini. Gli ultimi difensori austriaci si
dileguarono. Ma era una mossa già prevista dal Cap. von Raschin per
far scattare la famosa trappola del “cul de sac”. La confusione
regnava sovrana. Fortini cadde, probabilmente per fuoco amico. Il
Sten. Polin, del Btg. “Belluno”, con la sua sezione di
mitragliatrici, aspettava il proprio momento e intanto osservava
impotente l’agonia del suo battaglione. Nella confusione, i nostri
soldati “si erano sparati addosso” mentre il cielo vomitava
piombo. Tutte le artiglierie austriache - dalla Val Parola al Monte
Castello - presero di mira le posizioni italiane completamente
scoperte su Cima e Forcella Bos paralizzando i movimenti del
Btg.”Pelmo” e dell’Albergian le cui direttive di marcia -
paradossalmente - coincidevano con i punti di maggiore forza dello
sbarramento austriaco. Intanto Polin, con i suoi uomini, cominciava
ad avanzare verso il Gasser Depot presidiato dai Landsturmer del Ten.
Obrist. Il giovane ufficiale avanzò sospettoso senza incontrare
anima viva e, solo dopo avere
attraversato il Rio Travenànzes, si trovò improvvisamente di fronte
ad un tratto di trincee austriache dalle quali vennero lanciati razzi
che illuminavano sinistramente la valle. Il Sasso del Mistero era più
fosco che mai. Polin ordinò ai suoi uomini di gettarsi a terra e
restare immobili. Erano troppo pochi per affrontare il nemico. Decise
allora di ripiegare sulla destra per ricongiungersi ai plotoni della
77ª e della 79ª Compagnia. Ormai albeggiava. I primi raggi di sole
comparvero come imponenti canne d’organo ad illuminare i corpi
senza vita di molti compagni, corpi avvolti da divise sbiadite da
mesi e mesi di Tofana. I rinforzi non arrivavano, mentre sgomenti gli
Alpini si accorgevano di essere soltanto a cinquanta metri dal
nemico. Polin ripiegò verso il contorcersi di pietre di quel masso
che appariva come la materializzazione della sofferenza: il Sasso
Piramidale. Qui, i nostri soldati, costruirono in fretta una ridotta
di pietre contro cui gli Austriaci si gettarono con inaudita
violenza. Erano vicinissimi! Ma furono respinti. Attaccanti e
difensori erano esausti. Tutto intorno solo morti e feriti, dolore,
sangue, gemiti e grida d’aiuto. Un portaordini, in quel caos, fu
inviato a Forcella Bos per informare il diretto superiore - il Magg.
Grandolfi - di quello che accadeva. Il soldatino fu colpito ad un
piede e - a fatica - riuscì a nascondersi dietro un masso. Il Cap.
Augusto Baccon era stato ferito e fatto prigioniero. Polin approfittò
allora per portare i suoi uomini a riunirsi con i superstiti del Btg.
“Belluno”, del Btg. “Pelmo” e della 96ª Compagnia che
strenuamente tenevano il Sasso del Mistero. Ma erano troppi e troppo
adunghiati a quella posizione ormai bersaglio sicuro per i cecchini
austriaci. Ma non si poteva fare altro. Bisognava resistere. Ad ogni
costo. La “96” lavorava alacremente per rafforzare il grosso
masso. Il suo capitano, il Cap. Rossi, era ferito, ma non abbandonò
il proprio posto, non abbandonò il “mistero svelato” che ormai
era in mano italiana.
Questa
azione portò gli Italiani in Val Travenànzes dando un po’ di
respiro e sicurezza alla malsicura linea del Castelletto e sfatò le
leggende che alleggiavano intorno al Sasso Misterioso che, da allora,
si chiamò Sasso della Vittoria. Ma a quale prezzo: 500 furono le
perdite fra i nostri soldati. Di quella notte, i sopravvissuti
ricordavano qualcosa che era loro servito per esorcizzare il dolore:
la FANFARA! Sì, la Fanfara del Btg. “Antelao” che anche in
quella notte di odio non mancò di intonare la famosa Marcia Alpina
delle Tofane, musica semplice e nostalgica che arrivava al cuore più
di qualsiasi “Savoia!”. Il Sten. Alberto Polin del 7° Reggimento
Alpini ebbe la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Non è quella
che ne fece un eroe …
Università
popolare di Mestre, conferenze La Grande Guerra in montagna
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