Di là dell’Isonzo, dinanzi a Sagrado
«Mi
ricordo la prima strage. Eravamo ancora di là dell'Isonzo, dinanzi a
Sagrado, in attesa. Una notte arriva l'ordine di tentare il passaggio
del fiume. Approfittando dell'oscurità, su una passerella
improvvisata, tutto un battaglione al completo riesce a sfilare alla
chetichella. Gli austriaci, nemmeno un segno di vita: pareva che non
ci fosse nessuno laggiù. Un portaordini ritorna, comunica che il
reparto sta prendendo posizione, infiltrandosi attraverso la
boscaglia. Tutto è facile, semplice, primitivo. Scaglionati lungo la
riva destra, nella notte, aspettavamo di passare anche noi.
D'improvviso scoppia una sparatoria, serrata, rabbiosa, che si
propaga nel buio come un fuoco di paglia: l'artiglieria nemica si
sveglia di soprassalto, sbuca con vampe subitanee da ogni dove.
L'Isonzo zampilla di cannonate. Corre l'ordine di passare anche noi
sull'altra riva, in soccorso. Non si può. La passerella è saltata,
viene trascinata via dalla corrente. Abbiamo dovuto assistere, senza
poter far nulla, alla tragedia che si svolgeva di là. La fucileria
durò parecchio: poi, a poco a poco, si diradò; giungevano fino a
noi urla, invocazioni disperate, clamori, lamenti laceranti di
feriti. Che si poteva fare? Sparare? E dove? Nella mischia, a
casaccio? Furono massacrati, tutti»
«Passato
l’Isonzo, i reggimenti furono scagliati contro questa barriera del
Carso. Falangi di giovani entusiasti, ignari, generosi, contro questa
muraglia di pietre e fango. Dopo le bassure dell’Isonzo,
cominciarono ad arginarci. Imboscate, trincee provvisorie, trappole,
nidi di mitragliatrici che cominciarono a seminarci sul terreno
scoperto. Man mano che si saliva su, verso il bordo del Carso, la
resistenza si faceva più tenace: urtammo contro le prime trincee
protette da reticolati.»
«Il
coraggio nulla può contro questa misera e terribile cosa: la massa
non può nulla. Eravamo sprovvisti di tutto: e le ondate si
impigliavano in queste ragnatele di ferro…Dovunque, sul San
Michele, a San Martino, al monte Sei Busi, all’altopiano di
Doberdò, lungo le alture di Selz, questa marea di uomini fu
avventata ciecamente contro la ferocia del nemico e delle sue difese,
su per la pietraia ostile…e dovunque l’urlo dell’assalto fu
soverchiato dal freddo balbettamento delle mitragliatrici. Si
giunse fin sotto l’orlo del Carso…il terreno conquistato era
stato coperto di morti; quasi tutti i reggimenti vennero pressoché
annientati: non si poteva andare più oltre, senza artiglieria
sufficiente, senza bombarde, senza nulla.»
«Ma
i comandi sembravano impazziti. Avanti! Non si può! Che importa?
Avanti lo stesso. Ma ci sono i reticolati intatti! Che ragione! I
reticolati si sfondano coi petti o coi denti o con le vanghette.
Avanti! Era un'ubriacatura. Coloro che confezionavano gli ordini li
spedivano da lontano; e lo spettacolo della fanteria che avanzava,
visto al binocolo, doveva essere esaltante. Non erano con noi, i
generali; il reticolato non l'avevano mai veduto se non negli angoli
dei loro uffici territoriali, e non si capacitavano che potesse
essere un ostacolo. Arrangiatevi, ma andate avanti, perdio! Che si
fa, si scherza? »
«Imbottivamo
alla meglio i vuoti che ogni azione apriva, giorno per giorno,
spaventosi, nei reggimenti. E su, fanteria pelandrona, all'attacco. "
i nostri soldati si fecero ammazzare così a migliaia, eroicamente,
in questi attacchi assurdi che si ripetevano ogni giorno, ogni ora,
contro le stesse posizioni.»
«Il
fango impasta uomini e cose assieme. Nel camminamento basso i soldati
devono rimanere accovacciati nel fango per non offrire bersaglio: i
bordi ineguali del riparo radono appena le teste. Non ci si può
muovere. Questa fossa in cui siamo è ingombra di corpi pigiati, di
gambe ritratte, di fucili, di cassette di munizioni che
s'affastellano, di immondizie dilaganti. - tutto è conflitto nel
fango tenace come un vischio
rosso.»
TRATTO
DA: Trincee. Confidenze di un fante, C. Salsa
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