Nel cuore del Carso. Opacchiasella, Opatje Selo, Slovenia il 24 maggio 1917, quote 238, 247, 237
24
maggio - Ieri sul Carso, dopo dieci ore di violentissimo bombardamento, le valorose
truppe della III^ armata, assalirono e sfondarono le forti linee
nemiche, da Castagnevizza al mare. Mentre all'ala sinistra le nostre
fanterie, con energiche puntate, impegnavano fortemente l'avversario,
al centro ed all'ala destra, superati risolutamente gli antistanti
trinceramenti nemici, occupavano un tratto della zona a sud della
strada tra Castagnevizza e Bosco Malo (Hudi Log), oltrepassavano
Lukatic..…
Non
si deve ritenere, che il nemico non si fosse premunito. Dieci
divisioni, con ventuno brigate e più di cento battaglioni (quasi la
quarta parte delle forze austriache dislocate sul fronte italiano),
s'addensavano tra il Frigido ed il mare. La sistemazione difensiva
del terreno non era meno formidabile; quasi dovunque un triplice
ordine di trincee, protette da profondi reticolati saldissimi e da
cavalli di Frisia ancorati al suolo. Nei capisaldi della linea, come
nel saliente espugnato di Lukatic, i trinceramenti formavano
labirinti e grovigli, nei quali un'accorta disposizione di tutti gli
elementi, consentiva la più tenace, la più disperata, la più
efficiente difesa. La sistemazione era integrata da una paziente,
elaborata organizzazione di doline, di caverne, nelle quali si
appostavano artiglierie e bombarde, s'accumulavano materiali,
munizioni, viveri e si tenevano raccolte, in condizioni di relativa
sicurezza, le riserve. I nostri progressi in profondità variano da
uno a due chilometri e sono assai notevoli, data la natura del
terreno da percorrere e la molteplicità delle linee nemiche, che in
questo settore si succedono ad intervalli brevissimi. Il possesso del
groviglio di Lukatic, l'avanzata verso il monte Hermada....... sono
fatti di grande importanza, per lo sviluppo della battaglia che si è
impegnata sul Carso.
25
maggio –
Sul
fronte Giulio, la battaglia è continuata ieri sul Carso, aspra e
violenta. Al centro ed all'ala destra, l'avanzata nostra è
proseguita vigorosamente.....
Il
nemico, oltre alle linee continue di trinceramenti, aveva preparato e
sfruttato il terreno negli intervalli. Quà e là, mitragliatrici
nascoste nelle infinite buche, riparate e dissimulate dietro le
asperità del terreno, o dietro cumuli di sassi, accortamente
disposti, in maniera da non far sospettare l'insidia e da cui partono
improvvisamente raffiche di fuoco. Tali nidi sono bersagli minimi e
difficilmente individuabili, talché non potendosi ricorrere alle
artiglierie di medio calibro, si è dovuto procedere molto
cautamente, per distruggerli. Tuttavia anche questi ostacoli, e
queste insidie, non hanno arrestato l'impeto delle truppe attaccanti.
26
maggio –
Perdura
violenta la lotta sul Carso.... Il centro ha completato l'occupazione
dell'altura di quota 241 ed ha progredito sulla quota 219...…
27
maggio –
Nella
quarta giornata dell'aspra battaglia sul Carso, le nostre truppe, con
nuovi tenaci sforzi, hanno ampliato il possesso delle posizioni
occupate, e raggiunto l'abitato di Selo. La lotta si è attenuata
all'ala sinistra...... La linea da Castagnevizza al mare è stata
portata avanti dai quattro ai cinque chilometri...... I prigionieri
assommano a 50.176, fra cui 1045 ufficiali; il bottino risulta di 58
cannoni di tutti i calibri, un numero imprecisato di mitragliatrici e
bombarde, oltre materiali di ogni genere. Si calcola infine, che il
nemico abbia avuto più di 100.000 uomini fuori combattimento.
Questi
in breve, i resoconti ufficiali. Veniamo ora a quello che posso
rammentare personalmente.
Alle
ore 16.10 del 23 maggio, scattammo all'attacco e scavalcato il
parapetto della trincera, l'intera compagnia in linea di fronte,
avanzò facilmente fino a dove erano una volta i reticolati e la
prima linea nemica, ma dove non trovammo più nulla, perché sotto il
fuoco delle bombe e dei proietti di artiglieria, dei reticolati non
rimaneva se non una traccia di polvere di ferro ed in quanto alla
trincera, era talmente sconvolta, da non potersi riconoscere neppure.
Trovammo,
un poco più indietro, profonde caverne, dove erano rintanati, nel
più completo abbruttimento, ufficiali e militari austriaci che,
gettate le armi, si arresero subito ed inquadrati sommariamente,
vennero avviati, senza nessuna scorta, verso le retrovie. La strada
la conoscevano meglio di noi e non vi era timore, che tornassero
indietro, perché si vedeva chiaramente che non vedevano l'ora di
fuggire lontano da quell'inferno.
Cominciò
poi una confusione indescrivibile e da questo punto i miei ricordi
cominciano ad essere frammentari e confusi.
Oltrepassate
di poco le macerie di Lukatic e la dolina del Pane, vidi morto in
terra, colpito alla fronte da pallottola, il capitano Chef della
prima compagnia e con raccapriccio notai, come non avesse più il
dito anulare della mano sinistra, dove era solito portare un anello
d'oro, con un grosso brillante. Qualche sciacallo umano, certamente
della sua stessa compagnia, per impossessarsi dell'anello, aveva
trovato più semplice e sbrigativo, tagliargli addirittura il dito!
Non
so per quanto tempo, ma certo fino a notte, continuammo ad avanzare,
ma più lentamente, perché trovammo molti nidi di resistenza e
qualche mitragliatrice che fu necessario eliminare, ma non essendo
sufficienti le bombe a mano ed i mortai che avevamo con noi, dovemmo
impiegare l'artiglieria da montagna, che avanzava insieme con noi,
portando a spalla i pezzi smontati. Normalmente bastarono pochi colpi
bene aggiustati, per indurre il nemico alla resa, ma in qualche caso,
la resistenza fu più lunga. Rammento che tali nidi corrispondevano
per solito, con l'imbocco di profonde caverne, nell'interno delle
quali erano sistemate intere compagnie e dove gli ufficiali erano
alloggiati sempre nella parte più interna. Tutti i combattimenti si
sono svolti prevalentemente a distanza, ad opera delle contrapposte
artiglierie e non vi sono stati mai notevoli corpo a corpo, perché
gli austriaci, una volta raggiunti nelle loro tane, si sono sempre
arresi senza eccessiva resistenza. Un collega ha riferito poi, di
aver veduto in una delle caverne più grandi e profonde, dove era un
alto comando, anche delle donne, ma a me non è mai capitato.
Come
e dove passai la prima notte, non lo ricordo affatto e neppure come
trascorsi le notti seguenti.
Quando
tornò il giorno, continuammo ad avanzare in un terreno irto di
pietre sconvolte, in mezzo a buche e trincee
distrutte. In una di queste, mezzo sepolto fra i rottami, trovai un
capitano austriaco, con una ferita orribile, che gli aveva maciullato
una coscia. Si lamentava per il dolore lancinante e per la sete che
lo ardeva. Mi fece pietà e non potendo dargli altro aiuto, tornai un
poco indietro ed in una caverna, che avevo visitata poco prima, presi
due bottiglie di acqua minerale, che gli portai. Lo lasciai al suo
destino, mentre, con le lacrime agli occhi, mi diceva delle parole,
che credo fossero ringraziamenti.
Continuando
ad avanzare, mi imbattei in una postazione di mitragliatrici pesanti,
abbandonata, dove oltre alle armi erano una quantità di strumenti
ottici. Raccolsi un cannocchiale prismatico, un periscopio da
trincera, una macchina fotografica, che riposi in un sacco alpino e
lo consegnai al mio attendente, ma del bottino non ho fatto alcun
profitto, perché non ho mai riveduto né l’attendente né il
sacco.
Mi
pare, che in un certo momento trovassi un reparto di granatieri senza
ufficiali e sbandato e di averlo aggregato alla mia compagnia, già
ridotta di numero.
Rammento
che in seguito l’avanzata si rese più difficile, perché il
nemico, riavutosi dallo stordimento, si era riorganizzato su
posizioni arretrate e da queste ci bersagliava con un fuoco
indiavolato.
L’ultimo
giorno arrivai, con pochi superstiti, sulle rovine di un grosso
paese, che seppi poi essere quello di Selo, ma qui fui costretto a
fermarmi, perché eravamo talmente esausti, che ogni sforzo ulteriore
sarebbe stato impossibile. Ma la sosta fu dovuta anche ad una misura
precauzionale, poiché, nella impossibilità di riconoscere il
terreno in base alle carte, non sapevo se fossi sulla direttiva
giusta ed ignoravo se i reparti laterali avessero avanzato di pari
passo, o se invece mi fossi venuto a trovare con i fianchi scoperti.
Infatti,
mi venne poi l’ordine di retrocedere in una linea più arretrata,
ma molti dei miei uomini, di classi anziane ed ex riformati, non
riuscirono a muoversi e fui costretto a lasciarli sul posto.
Sopraggiunti
nuovi reparti, che ci diedero il cambio sulle posizioni conquistate,
cominciò il movimento di ritorno, in mezzo ad un pandemonio
indescrivibile, perché ai tiri di interdizione delle batterie
nemiche, per ostacolare l’affluire dei rincalzi, si aggiungevano i
nostri, che li controbattevano e non essendo la linea ancora ben
definita, eravamo presi spesso, fra due fuochi.
Giunto
alla nostra vecchia linea, da dove avevamo iniziata l’avanzata,
stentai a riconoscerla, tanto era stata demolita e sconvolta, ma
quello che maggiormente mi impressionò, fu il vedere le trincere ed
i camminamenti pieni zeppi di cadaveri, appartenenti a coloro, che
formavano i reparti di seconda e terza ondata, perché pur sembrando
un paradosso, sta di fatto che nelle operazioni che si svolgono su
questo terreno, hanno più probabilità di salvare la pelle coloro
che avanzano per primi, che non quelli di rincalzo. La ragione c’è
e consiste nel fatto che, se l’opera di distruzione e abbrutimento
delle artiglierie e delle bombarde ha raggiunto lo scopo, non si
trova valida resistenza e si avanza; in caso contrario l’azione
fallisce e si ritorna sulle posizioni di partenza. I reparti invece,
che seguono a distanza, intervengono in un tempo successivo, quando
il nemico, riavutosi ed attestato su posizioni nuove, inizia il tiro
di sbarramento.
Il
luogo di adunata era stato fissato a Case Bonetti, al Vallone e
quindi molto lontano dalla zona battuta, dove ognuno cercò di
arrivare come meglio potè, ma prima che tutti i superstiti fossero
rientrati, occorsero parecchi giorni.
Particolare
sintomatico, che può dare una idea delle circostanze in cui ho
vissuto questi giorni, è che, partito per l’azione con tutti i
denti a posto, sono tornato con un incisivo di meno e non so dove
l’abbia perduto!
Ora
che mi trovo in luogo sicuro e tranquillo, lontano dalla linea del
fronte, ho l’impressione di aver fatto un sogno orribile, di essere
uscito da un incubo tremendo, ma a richiamarmi alla realtà, sta il
numero impressionante di coloro che non sono tornati e parecchi
segni, per fortuna non gravi, sul mio corpo.
Ho
saputo che anche il 90° fanteria, che operava immediatamente alla
nostra sinistra, ha avuto perdite gravissime e che nella zona di Hudi
Log il maggiore Mischi, colpito da schegge di granata, è rimasto
molto malconcio, ma vivo.
Giuseppe
Mimmi, militare,
90° reggimento fanteria, brigata Salerno. Poi 142° fanteria,
brigata Catanzaro, sottotenente
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