9 Giugno 1915 – Monfalcone
Un
alba grigia, coi resti della notte piovosa nelle nuvole a brandelli,
pendenti da per tutto per il cielo basso […] A ogni nuovo sibilo
che s’avvicina, i corpi si raggricciano ancor più; le teste si
ritirano dentro le spalle, sotto lo zaino, cercano riparo tra i corpi
dei compagni, frugano
nel terreno come per entrarvi; vi è una sospensione che toglie il
respiro: senza difesa, ogni schiena sente piombarsi addosso la
granata. Soltanto dopo lo scoppio è concesso un breve sollievo; si
scoprono qua e là facce spaventate, visi
stupiti,
interroganti. La gioia del pericolo scampato si mesce, nell’attimo
seguente, con lo spavento di una visione di sfragello.
Un
rombo terribile s’abbatte e schianta più in là, alla nostra
destra, seguito come da un ronzio, poi un silenzio tetro. Il nostro
capitano è sceso – avanti! – e si muove camminando curvo lungo
l’argine; lo seguiamo rasentando il riparo e cercando di esserne
tutti coperti. Dopo cento passi vedo nella fila, davanti a me,
sollevvarsi una testa, oi un’altra, e così di seguito, come se
fosse passata la parola d’ordine, giunti a quel punto, di guardar
da quella parte.
Guardo
anch’io. Nell’argine c’è un’enorme buca, come un bacino, e
dentro zaini
e fucili e brandelli di stoffa; confuso con questi ci sono anche dei
granatieri […] Pochi minuti di sosta. Dopo la sosta passa l’ordine
di avanzare uno per volta, alla distanza di dieci metri, di corsa.
Tocca a me; ho visto scantonare il piemontese che mi precedeva, ho
visto il suo zaino traballare oltre l’argine; mi pare di avere
davanti il vuoto, come se fossi solo contro il nemico; i pochi
secondi di attesa perché si formi la distanza, mi sembrano senza
fine; ho la sensazione di essere irrigidito e temo quasi che nel
momento giusto non saprò staccarmi. Ecco, mi muovo, sono allo
scoperto, l’argine non c’è più, davanti a me non c’è più la
verde campagna, ma, sotto un cielo basso e grigio, una collina
sassosa e deserta: il Carso
L.
Bartolini, Il ritorno sul Carso, p.49
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