La prima battaglia dell'Isonzo [vissuta dagli austriaci – parte VI]

Per quattro giorni la battaglia della fanteria si spostò ondeggiando sull'altopiano, senza portare ad altro risultato se non a uno sfinimento sempre più accentuato da entrambe le parti. A volte, la catena della difesa minacciava di spezzarsi sotto gli incessanti assalti nemici, ma l'eroismo dei singoli battaglioni riuscì sempre a ristabilire l'equilibrio. Il pomeriggio del 3 luglio appoggiate da una possente preparazione di artiglieria, due divisioni al completo, di cui facevano parte fra l'altro le brigate “Bologna” e “Siena”, avanzarono contro il settore Polazzo-Selz. Dopo combattimenti disperati, parve che la fortuna dovesse arridere anche qui ai difensori, allorchè al centro al centro della posizione minacciata, presso Redipuglia, spuntarono tre reggimenti italiani delle brigate “Cagliari” e “Sardegna”, scaglionati l'uno dopo l'altro. L'attacco era stato condotto talmente di sorpresa che l'artiglieria potè a malapena dirigere il fuoco contro l'ultima parte delle colonne nemiche avanzanti. Ma era troppo tardi. Il nemico aveva già coronato vittoriosamente l'assalto e raggiunto la posizione.
Il colonello Mitlacher, allora, raccolse, tutte le riserve ancora disponibili: cinque battaglioni, numericamente metà delle forze italiane attaccanti, e si gettò con essi al contrattacco. La lotta oscillò per lunghe ore fra il successo e la sconfitta. Soltanto due dei cinque battaglioni erano completamente addestrati e possedevano mitragliatrici, gli altri erano battaglioni di marcia, gettati in questo caos sotto la spinta inesorabile della necessità estrema. Senza esperienza di guerra, inebriati soltanto dal sangue in tumukto compirono un'impresa immane, respingendo il nemico fino ai piedi dell'altura e ricacciandolo sotto il fuoco d'inseguimento dell'artiglieria che gli inflisse nuove perdite. Mentre cinque reggimenti italiani tentavano di mettere piede sull'altopiano a sud di Sagrado, i quattro reggimenti delle brigate “Regina” e “Pisa” si lanciarono all'assalto a nord, contro il pilastro angolare di tutta la posizione del Carso, il San Michele. Anche questo attacco s'infranse contro il valore degli stiriani e dei carnioli, che mantennero senza cedere di un palmo i loro muretti di protezione sui fianchi del monte.
Sul campanile della chiesa di Turriaco c'era il re Vittorio Emanuele, venuto qui da Udine per assistere alla conquista dei punti chiave del Carso, il quale vide i battaglioni che scendevano le pendici dell'altopiano, le nuvole di fumo dell'artiglieria che raggiungevano la cresta e la battaglia che pareva avanzare. Ma, poi, si ebbe il rovesciamento, di nuovo la posizione già conquistata fu avvolta nel fumo e nel polverone delle nostre granate, e il gioco ricominciò da capo. Lontano dal teatro vero e proprio della battaglia, nel settore del monte Nero, presso Tolmino e Plava, gli italiani tentarono alcuni attacchi isolati, che evidentemente erano stati intrapresi per alleggerire l'armata del duca d'Aosta, impegnata in una lotta senza soste. Il diversivo non ottenne alcun effetto, perchè non un solo uomo venne ritirato dalle posizioni del Carso. Durante lo svolgimento delle prima battaglia dell'Isonzo, la vittoria pendeva sempre più chiaramente dalla parte dei difensori.
Le dodici battaglie dell'Isonzo di Fritz Weber – edizioni Mursia

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