La prima battaglia dell'Isonzo [vissuta dagli austriaci parte V]

La preparazione di artiglieria durò sette giorni e sette notti, prima che cominciasse la lotta decisiva delle fanterie. I difensori della linea più avanzata erano quasi allo stremo delle forze. La calura opprimente, la pioggia e poi di nuovo il sole a picco, il fracasso infernale delle esplosioni delle granate, la mancanza d'acqua e di sonno avevano ridotto gli uomini a una massa di nevropatici, schiumanti di rabbia. Ma, nonostante le fronti corrugate e gli occhi socchiusi, insofferenti la luce, la febbrile speranza nell'ora che avrebbe visto la rivincita, ripagandoli di tutto, accendeva il sangue.
Nella notte tra il 29 e 30 giugno, si sviluppò il primo combattimento in grande stile sostenuto dalle fanterie. Il fuoco, che fin verso mezzogiorno era stato più intenso che nei giorni precedenti, andava aumentando di ora in ora. Da Sagrado a Monfalcone, il margine dell'altopiano era avvolto in una spessa cortina di fumo. Al calare della notte, cominciò a piovere. Nelle tenebre fitte, erano visibili soltanto le vampate delle artiglierie italiane e il bagliore giallo degli scoppi. Con il favore dell'oscurità e dell'ondata continua di fuoco che avanzava lentamente, circa seimila uomini della 14° divisione italiana si gettarono all'assalto del dosso di Redipuglia. I primi fanti arrivarono di sorpresa davanti ai resti dei reticolati e al terreno crivellato dalle granate; schioccarono spari isolati; nessuno sapeva se fossero fucilate nostre o italiane. Ma, d'un tratto, la zona fu tutto un sibilare di razzi illuminanti e un biancheggiare di scoppi. Una mitragliatrice prese a gracchiare. Gli attaccanti si buttarono a terra. Sulle loro teste fischiava il piombo di quelli che presumibilmente erano gli ultimi combattenti di questo martoriato deserto di sassi.
Fra le pietre rotolanti si udirono improvvisi un calpestio precipitoso, uno strepito, urla, un “urrà” ripetuto cento voci. Grovigli di uomini per terra, spari, bombe a mano, gemiti di dolore. Nel corpo a corpo selvaggio, le prime file degli italiani arretrarono, urtarono contro quelli che li seguivano, li travolsero. Oltre duecento morti e numerosi feriti gravi rimasero sul terreno, sotto il fuoco nemico che aveva ripreso a infuriare. Anche quest'ultima e più violenta puntata di ricognizione avversaria era fallita di fronte al valore degli uomini del Burgenland e degli erzegovesi. Ciò nonostante la battaglia della fanteria proseguì, interrotta costantemente da ore di intensi bombardamenti, e battaglioni, reggimenti, brigate avversari attaccarono qua e la lungo tutto l'altopiano di Doberdò fino al monte Cosich e più giù, sulla Quota 121 presso Monfalcone, e per la maggior parte furono respinti fin dall'inizio dal fuoco di sbarramento.
La tattica della fanteria italiana rivelava caratteristiche incomprensibili, analoghe a quelle che caratterizzavano anche l'azione dell'artiglieria: si logorava in attacchi parziali, a volte con un coraggio non comune, e correva all'assalto ora di questa, ora di quella posizione, subendo gravi perdite ma senza concentrare mai lo sforzo in un attacco massiccio. La morte mieteva una messe paurosamente abbondante di combattenti. Il fuoco di sbarramento della nostra artiglieria decimava gli attaccanti ancor prima che sferrassero l'assalto. Vicino a Redipuglia, sulle pendici del Sei Busi, fanti della brigata “Sardegna” riuscirono a penetrare nelle nostre linee. Ma gli uomini del 70° reggimento di fanteria, composto da magiari e da sirmi, che avevano respinto fino allora sette attacchi, non rinunciarono alla lotta. In una mischia che va oltre ogni descrizione, spinsero i sardi giù dal pendio, fino alla profonda incassatura della linea ferroviaria, il cui muraglione orientale era alto in questo punto un venti metri. A passo a passo, gli ungheresi, che si difendevano disperatamente, dovettero arretrare. La rabbia dei soldati del 70# reggimento si era trasformata in un accanimento che somigliava ad un attacco di pazzia furiosa, dove più non esistono né misericordia né barlume di ragione.
Il battaglione italiano fu spinto fino all'ultimo uomo, giù dal muraglione, con i calci dei fucili, con le bombe a mano, in feroci scontri, finchè tutti giacquero sui binari: un mucchio di corpi scossi dagli ultimi sussulti.
Le dodici battaglie dell'Isonzo di Fritz Weber – edizioni Mursia

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