(Il “Giornale” d’una maestra della provincia di Udine) ESTRATTO: dal “CORRIERE DELLE MAESTRE”, anno XXII (1919), n. 9 - 10 – 11 – 12 – 13 – 14. [II]

6 novembre 1917 Tutta notte rimasi desta, in attesa che qualche autocarro mi trasportasse al di là del Piave. Ma, per mia somma disgrazia, non ne passò neppure uno. Sul mattino mi recai a Polcenigo nella speranza d’essere più fortunata. Giunta, trovai la piazza ingombra dalla cavalleria. Mi viene detto che fra poche ore vi sarà il bombardamento per dar tempo alle nostre truppe di porsi in salvo giacché il nemico è poco distante. Rimango sbalordita. Tutte le autorità di Polcenigo, eccettuato il Direttore delle scuole e suo figlio, sono fuggite. Mi affretto a tornare al mio paesello. Vi sono quasi giunta, ed ecco che un ufficiale mi intima di non proseguire. Supplico, scongiuro che mi lasci passare: ho in camera mia i miei oggetti d’oro, nella valigetta, con altro bagaglio. Le mie insistenze sono in utili! Ricorro al colonnello, al generale, ma mi viene risposto che ordini tassativi proibiscono di muoversi. Cerco perciò ricovero presso una famiglia di Polcenigo e con essa ci rechiamo dal Parroco. Sono le ore 9. Alle 14 cominciano le prime scariche di mitraglia. Siamo in 30 persone, tutte oltremodo spaventate. I colpi di cannone si succedono ai colpi. Pare che la casa voglia crollare. Alle quattordici e mezzo un rimbombo più forte ci atterrisce: i tedeschi sono giunti e i nostri hanno fatto saltare il ponte per ritardare l’avanzata. Poi i colpi si allontanano a poco a poco finché cessano. Alle 19, dagli spiragli delle finestre, si vedono le pattugli tedesche: Ah!, tristissima vista!...La loro cavalleria avanza. Mi risolvo a uscire per tornare a casa. Devo fare un giro vizioso per la mancanza dei ponti. Ogni tanto, con una ragazza ch’è in mia compagnia, devo ripararmi in qualche casa, perché si ode il fischio delle palle e c’è pericolo di essere colpite. Incontro in piazza il Direttore delle scuole che mi accompagna per un tratto di strada. Che orribile spettacolo! Automobili blindate con entro nostri soldati morti stecchiti, munizioni, zaini, fucili, giberne coprono molta parte del suolo. Giungo a casa. Vedo la mia collega venirmi incontro, mentre le prime pattuglie germaniche mettono a soqquadro la bottega della famiglia dove abitiamo. Mi si avverte che un predone tedesco è salito nelle camere. Salgo col cuore che mi batte in gola; ma egli aveva già scassinato la porta, tagliata con la baionetta la mia valigetta e intascata la scatola dei miei pochi oggetti preziosi: un orologio d’oro con catena e medaglione, un paio di orecchini d’oro con diamante, un anello con diamante, un ferma - anello, una catenella con medaglietta, un orologio d’argento con catena. Tutto il resto del contenuto della borsetta è sparso sul pavimento. Mentre sto per entrare nella camera, egli esce a precipizio. Grido, scendo le scale, esco nella strada: ma il predone è fuggito in bicicletta. Ah, i miei poveri oggetti! Gli unici di valore che possedevo e che mi servirono più volte a far fronte ai miei impegni.
7 Novembre 1917
La mia camera viene occupata per oggi da due ufficiali coi quali mi lamento del furto patito. Uno di essi è germanico e mi risponde: Deploro come gentiluomo. I saccheggi sono proibiti, ma non si possono evitare. (Che razza di gentiluomo!). Un altro ufficiale, austriaco, segnando sulla carta geografica Trieste, mi dice, guardandomi con aria trionfante: Trieste italiana? Trieste italiana?! Siamo noi i vincitori, e ora andremo a Venezia, a Milano, a Roma. Lo guardo e gli rispondo: Buon viaggio! E fra me aggiungo: Non le vedrete nemmeno col cannocchiale quelle città! Che atroce dolore nell’anima mia!
15 Novembre 1917
I furti si succedono ai furti. La civiltà germanica, tanto vantata, si manifesta dappertutto e in tutto. Le case sono messe a sacco; ogni angolo viene frugato; ciò che vi è da godere e da portar via, sparisce; il rimanente viene distrutto o rovinato. I mobili, i pavimenti, le porte, le finestre diventano legna da ardere; le case sono trasformate in stalle. Nel passaggio, i germanici esalano un tanfo ripugnante e quando lasciano il luogo dove si sono fermati bisogna studiare dove mettere i piedi per scansare quanto è possibile la porcheria che copre ogni angolo. Non rimane nulla di intero: avanzi e frammenti dovunque; cocci di pentole e di piatti: sul focolare, dai tizzoni avanzati, si arguisce che braccioli di seggiole, gambe di tavolini, sportelli di armadi han servito per alimentare il fuoco. Quando questi soldati germanici sono ben pasciuti si servono dei letti come di latrine. Ubriachi, lasciano che il vino corra per la cantina. Un cavallo vi è morto affogato. Anche nel locale scolastico, questi barbari lasciano il segno della loro civiltà!

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