Il fiume della memoria - Ricordi di famiglia -

Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati. Ernest Hemingway

Soldati
Gli austriaci La dualità della monarchia austro-ungarica risaliva al 1867, allorché, col riconoscimento dell’autonomia ungherese, i territori dell’Impero furono divisi in due parti: la Cisleitania, sotto l’amministrazione austriaca, e la Transleitania, sotto l’amministrazione ungherese. Rimanevano distinti i governi e i presidenti dei consigli, due erano le capitali, Vienna e Budapest, mentre il sovrano era unico con i titoli di imperatore d’Austria e re d’Ungheria, come pure unici erano i ministeri degli esteri, delle finanze e della guerra, con sede a Vienna. Al ministero della guerra faceva capo l’imperiale e regio (Kaiserlich und Königlich) Esercito (Heer), cosiddetto comune, e la marina da guerra, che reclutavano in tutti i territori della duplice monarchia. Ognuna delle due metà della duplice monarchia aveva a sua volta un ministero della difesa, dal quale dipendeva un proprio esercito nazionale: la k.k. Landwher con, in tempo di guerra, l’esercito territoriale austriaco, k.k. Landsturm, per la parte tedesca. Per la Transleitania, ovvero per il magyar király (m.k.) regio ungarico si reclutava l’esercito nazionale ungherese (m.k. Honvédség) e, in caso di guerra, l’ esercito territoriale ungherese (m.k. Népfelkelöség). Mentre i reparti dell’esercito comune si spostavano spesso di guarnigione e venivano dislocati lontano dal loro distretto di reclutamento, i reparti dei due eserciti nazionali avevano guarnigione fissa nel loro distretto di reclutamento. In tal contesto, i giovani che vivevano nella Principesca Contea di Gorizia e Gradisca potevano essere reclutati sia nell’esercito comune che in quello nazionale austriaco. Per la maggior parte venivano inseriti nel 97° reggimento di fanteria austro-ungarica che reclutava in tutto il litorale austriaco. Proclamata alla fine di luglio del 1914 la mobilitazione generale a causa della guerra contro la Serbia, le compagnie lasciarono queste località per riunirsi nelle proprie guarnigioni e prepararsi agli eventi, ma l’apertura delle ostilità con la Russia, il 5 agosto, attivò il piano di radunata previsto per il fronte orientale. I fanti partirono anche da Trieste l’11 agosto 1914, diretti sul fronte della Galizia. In totale, nei quattro anni di guerra, furono circa 35.000. Nell’esercito austriaco, il 27° reggimento di fanteria della Landwher (LIR n.27 o k.k. Landwerhrinfanterieregiment Laibach) reclutava, dal 1901, numerosi giovani dell’Isontino, anche se la maggioranza era di lingua slovena. La sede dei battaglioni, appartenenti al reggimento, era così disposta: il 1° e il 2° a Lubiana, mentre il 3° aveva sede a Gorizia. A marzo 1911 fu classificato come reggimento da montagna (Landwehrgebirgsregiment). Nel gennaio 1917 venne ridenominato Gebirgsschützenregiment n.2 (2° reggimento schützen da montagna). Con lo scoppio delle ostilità anche il 3° battaglione lasciò Gorizia, il 14 agosto, dalla stazione della Transalpina, per raggrupparsi a Lubiana e da lì partire poi per i campi di Galizia. Ulteriori sudditi isontini della duplice monarchia furono inseriti in altre unità militari, quali quella del k.k. Tiroler Kaiserjäger Regiment n.2 o in unità di cavalleria, quali ufficiali di carriera, e combatterono dapprima sul fronte russo e poi anche su quello italiano.
Gli italiani 
Nel materiale raccolto ci è pervenuta anche documentazione relativa ai soldati del Regio Esercito che furono coinvolti nelle battaglie combattute lungo l’Isonzo. Visto l’enorme spiegamento lungo il corso del fiume, si può dire che tutte le regioni d’Italia hanno dato il loro contributo di vite per la bandiera dei Savoia. Alla Grande Guerra parteciparono gli italiani di sesso maschile, nati tra il 1874 e il 1899, che vennero inquadrati nell’esercito permanente effettivo, nella Milizia Mobile (età compresa tra 29 e 32 anni) e nella Milizia Territoriale oltre i 32 anni di età). Le varie brigate, composte dapprima da due reggimenti poi alcune anche da tre, reclutavano a livello nazionale poi, con il prolungarsi del conflitto e specialmente per la Milizia Mobile, soprattutto a livello regionale. Molti soldati, sopravvissuti alla guerra, assieme alle famiglie dei caduti ritornarono sui campi di battaglia e talvolta, divenuti civili, si stabilirono nelle nostre terre. Anche i friulani, passati al Regno d’Italia dal 1866, si trovarono a combattere, prima sul fronte isontino e poi su quello veneto del Piave.
Prigionieri
Dopo la “rotta di Caporetto”, dodicesima battaglia sull’Isonzo, circa 300.000 soldati italiani furono fatti prigionieri. A seconda se catturati dai tedeschi o dagli austriaci o dagli ungheresi, finirono nei rispettivi campi di prigionia dove, tra stenti e malattie ne morirono circa 100.000. Gli stenti, la fame, il freddo e le malattie (prima fra tutte la tubercolosi) furono le principali cause di questo grande numero di decessi. Si stima che i soldati catturati, tra il 1915 e il 1918, furono circa 600.000. La maggior parte venne portata a Mauthausen (località tristemente famosa anche durante la Seconda Guerra Mondiale), a Theresienstadt (Boemia), a Rastatt (Germania meridionale) ed a Celle (vicino Hannover). Nel complesso, le condizioni nelle decine e decine di campi di prigionia erano estremamente difficili, perché l’Italia fu l’unica nazione a non voler inviare aiuti di sostentamento per propri soldati, a differenza di tutti gli altri paesi belligeranti. La sopravvivenza nei campi, specialmente per i graduati e la truppa, era condizionata dall’arrivo dei pacchi che, tramite la Croce Rossa, vari enti e comitati assistenziali e le stesse famiglie inviavano periodicamente ai prigionieri. Il trattamento per gli ufficiali era lievemente più favorevole, anche perché non erano costretti al lavoro forzoso e alle pene corporali, cui erano sottoposti gli altri soldati. Lo stesso Baruzzi, catturato il 19 giugno dagli ungheresi durante la “battaglia del Solstizio”, fu avviato in prigionia a Dunaszerdahelj nel Regno d’Ungheria e poi a Bad Geltscheberg da dove tentò inutilmente la fuga, evadendo per due volte e rientrando infine in patria al termine del conflitto, precisamente il 16 novembre 1918. Con il crollo dell’impero austro-ungarico i prigionieri vennero pressoché abbandonati a sé stessi e, dai primi di novembre del 1918, iniziò il lento e caotico rientro dai campi di prigionia del nemico sconfitto. Per i prigionieri in mano tedesca, nonostante la cessazione delle ostilità l’11 novembre, il ritorno fu più lungo e maggiormente ordinato. Nella documentazione raccolta vi sono anche testimonianze, datate 20 e 21 novembre 1918, relative alla sistemazione degli ufficiali italiani nel campo tedesco di Halle (Offizierslager), situato nella Sassonia, sul fiume Saal non distante da Berlino. Il campo, che accolse fino a 900 ufficiali per lo più italiani, fu soggetto a una rigida disciplina imposta da un attempato colonnello prussiano che vessava gli italiani. Servì l’intervento dell’allora nunzio apostolico in Baviera, Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, a ristabilire un comportamento quantomeno umanitario nei confronti dei prigionieri.
Profughi e internati
La profuganza e l’internamento furono eventi che coinvolsero quasi tutta la popolazione distribuita lungo il corso dell’Isonzo. Nel capitolo relativo a Gorizia nel 1918 si sono già riassunte le loro dimensioni e durata. Se il materiale relativo alla vita nei campi profughi austriaci, quali Wagna, Pottendorf e altri ubicati tra la Stira e la Boemia, è cospicuo e già analizzato dai ricercatori storici, quello relativo alla profuganza in terre italiane è di problematica reperibilità, per mancanza di fonti archivistiche organizzate. In Italia infatti non si crearono grossi centri di raccolta e permanenza dei profughi che invece vennero distribuiti in gruppi anche di modeste entità in centri grandi e minori. Pure il loro rientro, lento e coordinato dalle autorità civili, avvenne in maniera ben diversa da quello proveniente dai campi austriaci. Per decenni gli aspetti della profuganza dei sudditi delle “nuove province redente” non furono oggetto di approfondimenti e studi sistematici, in quanto la problematica non costituiva interesse per le autorità dell’epoca tese a celebrare la grande vittoria e le virtù del Regio Esercito. È interessante quindi poter disporre di materiale conservato dalle famiglie goriziane, fatte sfollare dalle autorità militari italiane poco prima dell’arrivo degli austriaci, alcuni giorni dopo Caporetto. Carte di identità, attestazioni dello stato di profuganza e in particolare elenchi delle dotazioni per i profughi, spesso privi anche del necessario vestiario di ricambio. Un puntiglioso e preciso registro dei beni, ricevuti come dote per lo stato di profuganza, ci fa scoprire come venissero concessi anche sussidi per gli studi dei figli minori. Un insieme di documenti che ci permettono di intravedere alcuni aspetti poco noti della vita da profughi nelle terre italiane, in questo caso toscane e laziali. Parallela alla profuganza si snoda la storia degli internati, ovvero di quei cittadini, politicamente inaffidabili (Politisch unverlässlich) trentini e giuliani, prelevati e trasferiti in varie località in particolare dell’Austria inferiore, quali Göllersdorf, Mittergrabern, Oberhollabrunn, Katzenau, Raschalaa. Si trattava di cittadini appartenenti a tutte le classi sociali, con buona prevalenza di intellettuali. Lo stesso podestà di Gorizia, Bombi, subì l’internamento già nel 1915. Anche i giovani, non ancora in età da essere chiamati sotto le armi, di quelle famiglie nel cui nucleo risultavano persone renitenti alla leva o fuggite in Italia, subirono l’esperienza dell’internamento. Raggiunta l’età utile per fare i soldati venivano arruolati e inviati a delle unità militari “speciali”, non combattenti o inviate sul fronte orientale con compiti non di prima linea. Nei campi di internamento si doveva lavorare, spesso all’esterno degli stessi, in fabbriche e cantieri di costruzioni di strade e ferrovie. L’uscita dai campi era ammessa solo con apposito lasciapassare e sottostava a continui controlli da parte della gendarmeria. Solo ad inizi del 1917, l’imperatore Carlo parificò lo status di internato a quello di profugo.
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