Venezia FC: Il Gazzettino - Niederaurer, americano il laguna: "Il segreto? Siamo una famiglia" - Una notte in delirio sfidando il coprifuoco - Il tifoso-goleador profeta in patria La notte magica di Riccardo Bocalon

Nel ramo della finanza è un autentico guru Duncan Niederauer, per quasi 7 anni nientemeno che Ceo della Borsa di New York. Tuttavia, parlando di calcio e di un Venezia retrocesso sei mesi prima in Serie C, più di qualche dubbio l'aveva sollevato, nel febbraio 2020, il suo benservito al vulcanico Joe Tacopina per mettersi in prima persona al volante del club. Risultato? Battendo sul suo motto «parlo poco, faccio molto» Niederauer ha riportato il Venezia in quella Serie A dalla quale si era congedato nel 2001/02 e, il prossimo 13 agosto, si presenterà al cospetto di tutte le big del calcio nostrano. «Prima di questo campionato gli esperti si aspettavano che lottassimo per la salvezza, ora invece siamo in Serie A ricorda con orgoglio . Per tutta la stagione abbiamo creduto nei nostri ragazzi, li abbiamo sostenuti e facendo del nostro meglio per far sì che potessero raggiungere gli obiettivi prefissati».
ORGOGLIO
Parole di gioia e fierezza sufficienti a far percepire tutta la sua diversità caratteriale rispetto al predecessore Tacopina. Anche se a promozione conquistata Niederauer si è concesso un tuffo nel canale all'esterno del Penzo, mentre oggi pomeriggio si godrà il corteo acqueo in Canal Grande simbolo del trionfo. «Sono rimasto accanto alla squadra nei momenti belli e difficili. Il 17 aprile a Salerno hanno subìto un risultato duro da digerire (dall'1-0 all'1-2 nel recupero con palesi errori arbitrali, ndr) e forse ingiusto, ma dopo quella delusione non hanno più perso in 9 gare. È grazie a questa tenacia se il Venezia giocherà in Serie A».
Il numero uno lagunare è dal 2015 nel pool di finanziatori statunitensi del club (al fianco dei quali c'è pure l'ex bandiera dell'Inter, Ivan Cordoba con una piccola quota) e l'anno prima aveva collaborato come consigliere e consulente del colosso calzaturiero montebellunese Geox. Nato a New York il 7 settembre 1959, nell'agosto 2014 aveva concluso il suo mandato più prestigioso di amministratore delegato (Ceo) dello Stock Exchange più famoso del pianeta, la Borsa di Wall Street, dov'era approdato con l'incarico di contrastare la concorrenza dei grandi rivali del Nasdaq. Laureatosi nel 1981 in economia e commercio alla Colgate University, nel 1985 l'approdo alla Goldman Sachs con in mezzo un triennio a Tokyo occupandosi di derivati e prodotti giapponesi. Dopo tanta finanza il suo prossimo, gravoso impegno, sarà quello di strappare una deroga per l'ultracentenario e vetusto stadio Penzo, affinché il suo Venezia non debba giocare in esilio la Serie A ritrovata. «In una stagione ricca di successi, tutti i ragazzi si sono distinti per raggiungere quello che hanno realizzato giovedì - sottolinea-. Hanno capito sin dall'inizio che passare in Serie A avrebbe assicurato ai loro nomi di essere per sempre legati alla storia del calcio nella città di Venezia, e si sono dimostrati all'altezza della sfida. Per tutto l'anno abbiamo parlato di costruire una famiglia, di sostenerci a vicenda e tutti hanno visto questa mentalità. Col Cittadella abbiamo giocato con un uomo in meno per un'ora, ma questo Venezia era destinato a non fallire».
Marco De Lazzari
L'irresistibile ascesa del "giochista" Zanetti: ora voglio le big
Se c'è un destino già scritto dentro ad ogni uomo, come spiega James Hillman nella sua teoria degli archetipi che governano le scelte di ciascuno oltre la nostra consapevolezza, allora quello di Paolo Zanetti è fare l'allenatore di calcio. Certo il tecnico del Venezia, 38 anni, vicentino di Valdagno, con il pallone tra i piedi ha sempre dimostrato di saperci fare. Testa alta, visione di gioco, tocco morbido, lancio verticale. Fu questo che lo portò ragazzino dal Ponte Nori, la squadra del paesino dove aveva mosso i primi passi, direttamente al settore giovanile del Lanerossi Vicenza. Dove bastò poco a Edi Reja per decidere di farlo debuttare in serie A, a soli 19 anni. È quello l'inizio della sua parabola di calciatore, undici stagioni tra serie A e B (dopo i biancorossi, Empoli, Ascoli, Torino e Atalanta) di onorevole militanza a dirigere il traffico a centrocampo, conclusa alla Reggiana in C a 32 anni. Da allenatore si fa le ossa nel settore giovanile della Reggiana, matura esperienza come secondo e quando ha messo le ali si lancia nell'avventura da tecnico di prima squadra. Parte col piede giusto, perché nel Sudtirol agguanta il secondo posto in C1, annusando il profumo della serie B, sfumato in semifinale playoff contro il Cosenza. Si arena agli spareggi anche l'anno successivo (sesto in regular season), stoppato solo dal Monza. Ma il suo nome comincia a circolare alla voce giovani promesse della panchina e ci pensa l'Ascoli a dargli la prima chance in B. Salvo interromperla incomprensibilmente a metà strada, con la squadra a tre punti dalla zona playoff. Un esonero che per il Venezia è una benedizione, perché, appena rimasto orfano di Dionisi, si fionda subito a metterlo sotto contratto, nonostante sia il più giovane allenatore di tutta la B. E in laguna trova l'ambiente giusto per realizzare il calcio che gli piace, lui che appartiene alla scuola dei giochisti: costruzione dal basso, possesso palla, pressing, uso delle corsie laterali: un Venezia bello da vedere, probabilmente il più spettacolare del campionato. Ma capace di mettersi l'elmetto e di soffrire, quando è il caso.
MOTIVATORE
Si era arrabbiato a inizio stagione, quando un quotidiano sportivo dava il Venezia già per retrocesso: ma ha trasformato la rabbia in motivazione. Sa anche alzare la voce, se serve: come l'altra sera, quando ha strigliato i suoi per scacciare la paura con cui avevano giocato il primo tempo. «Come legge la partita lui, non c'è nessuno» diceva ancora trasognato a fine gara Bocalon, il Doge che ha spezzato l'incubo. E soprattutto è uno di parola: aveva promesso di regalare ad Aramu un orologio importante in caso di promozione, e lo ha fatto subito. Appena venuto su dal canale davanti al Penzo, dove si era tuffato per festeggiare la serie A appena conquistata. Adesso attorno a Zanetti si è levato il canto delle sirene, perché uno così fa gola a molti: Verona, Udinese ma soprattutto Sampdoria, che gli sta facendo una corte spietata. Lui non si sottrae: «Non ho ancora deciso, ci siederemo al tavolo con il presidente e discuteremo del futuro». Venezia lo aspetta. Perché senza Zanetti non sarà la stessa cosa.
Marco Bampa
La sfida (non solo sportiva) da vincere
Roba che solo Milano, su ben altri palcoscenici e ben altri livelli, si sta godendo.
Tanto l'Umana Reyer (maschile e femminile) è frutto di programmazione, fiducia e talento, così il ritorno in A del Venezia Calcio è figlio della competenza, del cuore, dell'umiltà, della tenacia. In serie B se non hai queste doti, non vai da nessuna parte. Le vicende societarie di Reyer e Venezia sono diverse, eppure il segreto è condiviso: la scelta delle persone giuste al posto giusto. Nella dirigenza e nella squadra, soprattutto nei tecnici. Tanto Walter De Raffaele è riuscìto laddove coach più acclamati avevano fallito, così Paolo Zanetti, il vicentino calato in laguna da Valdagno, ha centrato l'obiettivo al primo colpo e non a caso: lo si è visto l'altra sera con scelte tattiche vincenti pur in 10 contro 11.
Tanto dunque è bastato per riaccendere nel calcio un tifo mai sopito, tifo che fa rima con passione. E un simile patrimonio non va sprecato. Lo diciamo da tempo, lo dicono in tanti: servono impianti sportivi degni di queste imprese (sportive, ma anche economiche).
La serie A nel calcio è una sfida rischiosa: se non programmi, se non hai impianti, se non crei vivaio, resta un fuoco di paglia. Puoi avere tutti i soldi che vuoi, ma non crei valori. Viceversa, se il miracolo si consolida attorno alla pianificazione, ecco che nascono fenomeni come il Chievo di un tempo, l'Udinese, il Sassuolo, l'Atalanta, ultimamente lo Spezia. Il Venezia ha bisogno di uno stadio da A così come la Reyer ha bisogno di un palasport. Ed evitiamo che tutto si impaludi sul dove: riammodernare il Penzo, lo stadio del Venezia in pieno centro storico? È una scelta di cuore, unica, una sfida suggestiva. Costruirlo in terraferma? È quello che suggerirebbe il business dello sviluppo urbano. Ma non è detto che i due aspetti non si possano invertire, che il cuore del Venezia non possa battere in terraferma o che un nuovo sviluppo non si possa realizzare a Sant'Elena con una riqualificazione attorno allo stadio. Non può essere quindi il dove la questione dei nuovi impianti sportivi (il Sassuolo gioca a Reggio Emilia): deve essere il come e il quando. Evitiamo di vedere pochi chilometri di laguna come un ostacolo, un muro. L'acqua non è un muro, nè fisico nè tantomeno mentale. Milano è una metropoli-capitale che accentra, Venezia è un'area metropolitana policentrica. Stiamo dimostrando con lo sport di non avere nulla da invidiare alle città italiane più all'avanguardia. Abbiamo un'occasione storica: no, non dimostrare di essere tornati ai vertici dello sport nazionale. Ma di essere capaci di fare quel salto di approccio che ai successi sportivi può affiancare quelli di un'intera area dove ogni giorno nell'arco temporale di mezz'ora, possono muoversi, con i loro vari interessi, migliaia di persone. E tra questi interessi ci sono anche una partita di calcio o una partita di basket.
Davide Scalzotto
Una notte in delirio sfidando il coprifuoco
Piazza San Marco: una sorta di zona franca, in pieno coprifuoco notturno, a celebrare la promozione in serie A del Venezia. Le ragioni del tifo, l'entusiasmo di centinaia di tifosi, hanno prevalso l'altra sera sulle regole rigide imposte per il Covid. Era già successo in altre piazze calcistiche d'Italia: alla fine si è lasciato fare. E a posteriori stride ancora di più la decisione della Lega B di anticipare solo di 15 minuti l'inizio della partita tra Venezia e Cittadella, a fronte di ben altre richieste del prefetto e dei tifosi stessi, di giocarla al pomeriggio, per evitare sforamenti notturni in pieno coprifuoco.
IL PREFETTO
Vittorio Zappalorto non infierisce. Si limita a sottolineare: «Si doveva essere più flessibili - spiega il prefetto - e non per un mio capriccio, bisognava comprendere le esigenze della città e dei tifosi. Per fortuna è andato tutto bene, ma era inevitabile che dopo una partita del genere partissero i festeggiamenti per una storica promozione in Serie A». Centinaia di tifosi a occupare calli e campielli in centro storico, ma con altre feste diffuse anche a Mestre e Marghera in terraferma. A quel punto le forze dell'ordine hanno dovuto scegliere: rischiare di creare problemi di ordine pubblico e sicurezza sanzionando chi sforava il coprifuoco o chiudere un occhio limitandosi a vigilare che tutto filasse liscio senza incidenti. Per buonsenso si è deciso di seguire la seconda strada.
LA GIORNATA
Una notte pazza in tutti i sensi, insomma, vissuta e iniziata giovedì fin dal pomeriggio, quando sono calati al Penzo, dalla terraferma, dalle isole, Pellestrina inclusa, centinaia di tifosi. Interdetto, sempre causa Covid, l'ingresso allo stadio, ultras e appassionati di ogni età, si sono dovuti accontentare di uno schermo, neanche tanto maxi, allestito nel plateatico da un locale in via Garibaldi.
Ma la giornata della tifoseria organizzata e degli aficionados è cominciata molto prima. Già alle 17, lungo le vie di Castello, direzione stadio, s'incontravano drappelli sempre più nutriti e compatti di tifosi, quello più numeroso guidato da un capo ultrà con megafono. Il serpentone si è poi dipanato lungo Riva degli Schiavoni e Riva dei sette Martiri, mentre alle spalle di San Marco cominciava a scorgersi un fronte di nuvole sempre più scure e minacciose che, di lì a qualche minuto, avrebbero portato a un improvviso quanto, per fortuna, breve acquazzone. Molti ultras hanno scelto di rimanere a fare il tifo fuori dallo stadio tra cori, petardi e palloncini arancioneroverdi. C'era anche qualche ragazza che si dilettava a dipingere con i colori d'ordinanza i volti dei tifosi, dai più piccoli ai più anziani. Il club Alta Marea si era organizzato per un ritrovo pre partita alla trattoria Diporto di Sant'Elena. Il programma prevedeva frittura mista di pesce e vino, saluto alla squadra in arrivo al Penzo dal Lido, ritorno al Diporto per vedere la partita alla tv allestita fuori dal locale. Ma non è stato così. Al drappello dei tifosi Alta Marea non è rimasta quindi altra scelta che dirigersi verso via Garibaldi e appostarsi davanti allo schermo allestito all'aperto. Il primo tempo, per chi riuscito a vedere qualcosa, è stato una sofferenza.
DALLA SFIDUCIA ALLA FESTA
Il cartellino rosso di Mazzocchi è stato accolto con un urlo di disapprovazione, poi è arrivato il secondo tempo e il Venezia è pian piano risorto. Il gol del Doge Bocalon, castellano, doc, è stato accolto con grida liberatorie. Il delirio collettivo e l'esultanza della folla si sono spostati quindi in direzione San Marco, nonostante il coprifuoco. Il serpentone arancioneroverde ha raggiunto la Piazza. Vicino a Palazzo Ducale era appostata la polizia che lasciava passare il corteo tutto sommato tranquillo, a parte molte mascherine abbassate. Cori, canti, fumogeni e qualche fuoco d'artificio davanti alla Basilica sono stati il degno coronamento di una notte speciale, in attesa dei festeggiamenti ufficiali che, come ha anticipato Paolo Poggi, si svolgeranno sia a Mestre che nella città storica.
Claudia Meschini
«In laguna tifosi liberi di violare tutte le regole»
La richiesta del prefetto Vittorio Zappalorto per evitare il connubio di festeggiamenti e coprifuoco. La Lega di B che cede di un quarto d'ora non accontentando nessuno e i tifosi che festeggiano la ritrovata serie A fino all'1 di notte, come se si fosse già - anche nella forma - in zona bianca. Un atteggiamento che se dal versante dell'ordine pubblico non ha causato alcun problema (impossibile multare chiunque) ha scatenato le accuse del sindaco ospite, Luca Pierobon, primo cittadino di Cittadella e giovedì sera sugli spalti del Penzo assieme all'assessore allo Sport cittadellese, Diego Galli.
DUE PESI, DUE MISURE
E dalle tribune a Sant'Elena il sindaco ha notato una situazione ben diversa da quanto successo domenica all'esterno delle mura di Cittadella. «Mi ha sorpreso, in negativo, che a Venezia si sia usato un peso diverso rispetto all'andata a Cittadella - tuona Pierobon - Premetto che secondo me i tifosi, contingentati e in sicurezza, avrebbero dovuto entrare allo stadio. A Cittadella niente maxi-schermo in piazza come pure tifosi all'esterno del Tombolato. Quelli che ci hanno provato domenica scorsa sono stati allontanati. A Venezia per tutta la partita sono rimasti a tifare fuori dallo stadio e senza mascherine. Non mi risulta siano stati allontanati. In Italia le regole sono uguali o ci sono privilegi? Anche dentro lo stadio a Venezia tanta gente rispetto all'andata. Quindi ancor più si poteva aprire ai tifosi».
IL COPRIFUOCO VIOLATO
«Per quanto riguarda il dopo partita era impossibile non ci fosse nessuno che festeggiasse, lo abbiamo visto fare anche per altri trofei calcistici in queste settimane è quindi comprensibile seppur fuori dall'orario fissato per il rientro», continua Pierobon che senza tanti giri di parole, confrontando le due partite, per i padovani una sorta di presa in giro considerato che non ci sono state le pari condizioni.
Può influire sul risultato? Non si può dire con certezza, ed anche si potesse, indietro non si può tornare.
LA SICUREZZA
Al di là delle polemiche e della diversità di trattamenti per i tifosi che il sindaco cittadellese avrebbe visto tra la finale d'andata e di ritorno dei playoff della cadetteria, dal punto di vista dell'ordine pubblico a Venezia la soddisfazione è alta per com'è stato gestito un veneto non semplice in tempi di pandemia e dopo che la Lega di B non aveva accettato di anticipare al pomeriggio la partita per permettere i festeggiamenti in caso di promozione, come poi accaduto.
Incidenti o atti vandalici non ci sono stati. Il coprifuoco, quello sì, è stato violato per salutare la serie A e non ci sono state conseguenze né tantomeno disguidi: era oggettivamente impossibile per le forze dell'ordine in campo identificare tutti i partecipanti alla gioia arancioneroverde.
Michelangelo Cecchetto
Il tifoso-goleador profeta in patria La notte magica di Riccardo Bocalon
«Ma avrei voluto correre ad esultare fin sotto la Curva Sud, quella che fin da bambino è la mia casa». L'eroe della porta accanto non si smentisce mai. Perché l'uomo del destino Riccardo Bocalon, anche dopo aver segnato il gol più importante della sua carriera e della storia recente del suo Venezia, non dimentica per un solo istante quelle origini che legittimano in pieno il soprannome di doge. Mai così meritato dopo aver suggellato l'addio alla Serie B con il tocco di classe dell'1-1 al 93' contro il Cittadella. «Ho sempre avuto grande fiducia, ho sempre sognato e sperato in un epilogo del genere la meritata copertina del 32enne attaccante veneziano doc Non ho mai smesso di credere in questa Serie A, da quanto abbiamo intrapreso un grande percorso nei playoff dopo che avevamo già dimostrato poter competere contro chiunque. Nelle gare decisive qualche episodio fortunato è andato a compensare quelli che ci erano mancati in stagione regolare, siamo in Serie A e devo ancora rendermene conto».
LA CARRIERA
Il Boca è ormai nel ristretto novero dei campioni profeti in patria che, in maglia arancioneroverde, hanno pianto sia di delusione sia di gioia. «Sono nato a Castello in Rio de la Tana, fin da bambino ho frequentato il Penzo con nonno, papà e zio. I primi calci li ricordo bene a Malamocco, al Lido dove ora potrei andare un po' in vacanza, in Zona A ovviamente la voglia di scherzare del bomber classe '89 Poi il Venexia ai Bacini e gli Allievi professionisti al Favaro, da lì prima il Treviso poi la Primavera dell'Inter e il prestito al PortoSummaga in C da esordiente tra i professionisti». Dove le sembianze dell'uomo decisivo nelle finali iniziò a prendere forma. «A 21 anni segnare il gol decisivo per la storica promozione in B del Porto fu qualcosa di eccezionale. A Verona entrai nel secondo tempo, proprio come l'altra sera contro il Cittadella, segnando una rete che non scorderò mai. Al Bentegodi all'89', proprio a Portogruaro col Venezia all'84' contro il Monza nella finale per la promozione in C1 del 2013. Stavolta al 93', sono semplicemente felice. Queste emozioni non hanno prezzo, non ci sono soldi che tengano, restano dentro nel cuore di chi gioca e soprattutto della gente».
LA SPINTA DEL PUBBLICO
Un veneziano a Venezia, uno status però non facile. «Già, ma ripeto, giochiamo per questo. Per vedere tutte quelle persone fuori dallo stadio come giovedì sera, ci hanno dato una spinta enorme prima della partita, senza di loro non avremmo disputato quel secondo tempo in inferiorità numerica. Per forza poi è stato fantastico uscire trionfanti e doveroso tuffarsi in canale. Certo, vivo a Cannaregio, conosco tutti e ho respirato gli umori. Mi sono estraniato da tutto, ho cercato di non leggere niente, percepivo un po' di negatività nei miei confronti e ho evitato esternazioni pubbliche per rispondere sul campo. Non ci poteva essere occasione migliore». Dunque sarà Serie A, d'accordo il sogno di bambino, ma Riky ha sempre avuto la testa sulle spalle. «Mi sono diplomato all'Algarotti, volevo fare il calciatore ma era difficile e incerto. Volevo crearmi delle basi, avevo scelto il turistico per imparare le lingue e trovare lavoro in città. Adesso a 32 anni dico che spero di rimanere in questo mondo a fine carriera, credo di aver dato un piccolo contributo e di poter trasmettere qualcosa». D'accordo, insistiamo, ma il contratto del doge scadrà al termine della prossima stagione «Al mio ritorno nel gennaio 2019 dissi che ero qui per far volare il Venezia. Tutti assieme abbiamo realizzato un'impresa gigantesca, ovviamente sogno di rimanere e segnare gol ancora più importanti. Come si affronta una Serie A? Servirà gente di esperienza e che l'ha fatta, ma sarà molto importante non spaccare questo gruppo che lavora alla grande da due anni per il lavoro fatto ieri da Lupo e Dionisi, oggi da Collauto e Poggi. Per non parlare di mister Zanetti, sarebbe bello rimanesse perché ha grandi valore». «Poi ognuno fa le sue scelte che non necessariamente sono solo economiche conclude Io spero si trovi una quadratura, tutta la società sta dimostrando idee chiare su campo. Anche nei progetti in itinere per gli impianti e non solo, perché con l'arancioneroverde uniamo tutti insieme un grande territorio».
Marco De Lazzari
La squadra costa come la buonuscita di Conte
Si scrive Serie A e si legge altro pianeta. Ovviamente per le spese che lieviteranno esponenzialmente, confortate però da una pioggia di denari freschi per le casse di un Venezia che, giocoforza, alzerà e non di poco la propria asticella sul piano economico. La promozione per il club del presidente Duncan Niederauer è un affare da 40-45 milioni di euro, cifra che somma i circa 35 a stagione derivanti dai diritti televisivi, più quelli (gli scongiuri sono ammessi) del paracadute in caso di immediata retrocessione. Le mutualità, infatti, prevedono di aiutare con 10 milioni chi rimarrà in A un solo anno, 15 per le squadre con due anni di anzianità (o 2 negli ultimi 3) e ben 25 per chi è sceso dopo un triennio (o 3 nelle ultime 4). Numeri da fantascienza per l'ancora giovane società rifondata nell'estate 2015 all'insegna del made in Usa, partendo dal dilettantismo della Serie D e conquistando tre promozioni in sei campionati.
IL PARAGONE
Un esempio di stretta attualità aiuta a farsi un'idea del volo che il Venezia si è appena garantito. Nei giorni scorsi il tecnico campione d'Italia, Antonio Conte, ha salutato l'Inter con una buonuscita di 7 milioni di euro (più della metà del suo ingaggio annuale), vale a dire uno soltanto in meno rispetto all'intero monte ingaggi 2020/21 degli arancioneroverdi. Nella stagione cadetta appena conclusa, infatti, la proprietà americana ha sborsato un totale comprensivo di emolumenti fissi e premi di 8.025.287 euro (fonte Cosenza Channel) aumentando di poco meno di due milioni il budget che nella Serie B 2019/20 (6.048.857 euro) aveva fruttato una salvezza all'ultima giornata, dopo che quello più elevato del torneo 2018/19 (7.790.000) non era bastato per evitare la retrocessione in Serie C cancellata a tavolino dal flop-Palermo. Con i già citati 8 milioni e poco più il neopromosso Venezia targato Collauto-Poggi rappresenta un esempio virtuoso e vincente, avendo avuto a disposizione l'undicesimo tesoretto tra i 20 club di Serie B. Uno smacco clamoroso a tutte le grandi, a partire dal Monza del tandem Berlusconi-Galliani che ha fallito la promozione pur avendo speso quasi 19 milioni (18.938.435), ben 6 in più dell'altra semifinalista Lecce (13.353.849) e comunque molti meno del mastodontico esborso di una Spal (22.263.975) rimasta addirittura esclusa dai playoff. Come sempre magico il Cittadella, sconfitto sì in finale per la seconda volta nelle ultime tre stagioni, ma partendo dal budget più basso (3.245.027) dell'intera cadetteria.
I GIGANTI
Pur in mancanza di dati ufficiali, il giocatore lagunare più pagato è lo squalo Francesco Forte con circa 350 mila euro lordi. Tutti i contratti degli arancioneroverdi sono però modulari e progressivi, ovvero con clausole già nero su bianco che a fronte di scadenze pluriennali (30 giugno 2023 quella del bomber romano) al fine di spalmare gli ingaggi, prevedono in partenza l'aumento o la diminuzione degli stipendi a seconda del balzo in Serie A o della discesa in C. Quindi, in vista del ritorno tra i grandi, è fin d'ora scontato che il monte ingaggi del Venezia salirà in automatico avvicinandosi presumibilmente dagli 8 ai 10 milioni. E sempre per calarsi nel futuro prossimo, Max Allegri ne percepirà 9 dalla Juventus che lo ha appena richiamato al suo capezzale. Proprio il club che ha da poco abdicato dopo nove scudetti di fila ha speso quest'anno 236 milioni di euro 31 solo per Cristiano Ronaldo per i suoi giocatori (fonte Gazzetta della Sport-Calcio e Finanza), seguita lontanissima da un'Inter in difficoltà nel rispettare i propri contratti. A completare il podio la Roma (112) davanti a Napoli (105), Milan (90), Lazio (83) e Fiorentina (55) con l'Atalanta dei miracoli solo decima (42.6). Il Verona ha disputato un ottimo campionato seppur terz'ultimo con 24 milioni, alle spalle dell'Udinese (31). Quanto alle matricole promosse la scorsa estate dalla B, lo Spezia (ultimo con 22) si è salvato quasi in carrozza, mentre Crotone (23) e Benevento (32) sono retrocesse subito assieme al Parma (34). (mdl)

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