La difesa di Monte Festa (30 ottobre – 7 novembre 1917 )

Il monte Festa è un dosso alpestre staccantesi a circa 1000 m dalle pendici settentrionali del monte S. Simeone (m.1500) e dominante a nord-est ed a nord-ovest rispettivamente la confluenza del Fella e del But nel Tagliamento, a sud-ovest il lago di Cavazzo, mentre a sud-est lo stesso San Simeone e a sud il Brancot gli impediscano la visuale sulla pianura friulana. Le opere di fortificazione del monte Festa vennero iniziate nel 1910, ed all’epoca di cuisi narriamo, il forte non ancora ultimato, era già stato posto in istato di disarmo, disarmo che aveva particolarmente intaccato il munizionamento. Erano invece in efficienza le due batterie da 149 con i relativi servizi di risevette e passaggi in caverna, elevatori, ecc.
Mancava completamente qualsiasi opera per la difesa vicina : non una trincea, non un reticolato, non uno spalto, non un appostamento per armi portatili. Il forte infatti era stato ideato per un’offesa a distanza e non già per un compito di prima linea. Il 26 ottobre 1917 e cioè quando già era in corso la ritirata di Caporetto, il capitano di complemento ingegnere Riccardo Noel Winderling per ordine del comando di artiglieria del XII corpo d’armata lasciava il comando di un gruppo d’artiglieria sul Pal Piccolo per assumere quello del forte di Monte Festa, con l’incarico di porlo rapidamente in efficienza onte opporre al nemico la più tenace resistenza durante il ripiegamento delle truppe della Zona Carnia. 
I giorni 26,27,28,29, vengono attivamente impiegati in addestramento della truppa al maneggio dei pezzi, nel ricupero da Amaro, a mezzo teleferica di un altro migliaio di colpi da 149, nell’organizzazione degli osservatori, nella preparazione di dati di tiro sugli obiettivi più importanti, nella distribuzione di tutti gli altri servizi. Bufere di pioggia, vento, nevischio ostacolano fortemente queste operazioni. Si richiedono al Comando di Artiglieria del XII Corpo d’Armata i mezzi adatti a riparare almeno in parte alle deficienze del forte. il giorno 27 sera il Comando d’Artiglieria del XII Corpo d’Armata conferma : D’ordine del Comando Supremo il forte di Monte Festa dev’essere messo subito in istato di efficienza : resistere se attaccato. Hanno pertanto valore a questo riguardo le prescrizioni sancite dal regolamento del servizio di guerra, parag.52 e seguenti. Sono persuaso – aggiungeva il Comandante d’Artiglieria del XII orpo d’Armata, generale Sacchero, al capitano Winderling – che Ella pienamente conscia dei doveri che dalla autorità derivano, saprà a tali prescrizioni uniformare la sua condotta. Il cap. Winderling rispondeva per fonogramma in questi precisi temini : Perfettamente conscio dei miei doveri assumo tutte le responsabilità del caso. 
E di tale solenne sacro impegno dava a tutti i suoi dipendenti notizia il successivo giorno 28 in un breve ma energico discorso di incitamento. A fondo valle la ritirata delle nostre truppe continua inesorabile, angosciosa. 
il 30 Ottobre alle ore 10.50, appena avuta comunicazione dall’osservatorio di forcella Amarianache i ponti di stazione per la Carnia e Tolmezzo sono stati fatti saltare dalle nostre truppe ripieganti e che il nemico sta concentrandosi a stazione per la Carnia, il forte apre il fuoco in base ai dati teorici di tiro, essendo il tiro diretto impedito tuttora dalla nebbia. 
Obiettivi principali sono Stazione per la Carnia, il ponte sul Fella, il ponte di Tolmezzo, la stretta di Sompave e La Maina. Col ripiegamento delle nostre truppe sulla destra del Tagliamento, il forte viene a trovarsi in primissima linea. La 26a, la 36a e la 63a Divisione sono schierate ai fianchi e a tergo. Ad Alesso prende quartiere il Comando della 63a che si pone in comunicazione col forte. Ad esso il forte ripete le richieste già precedentemente dirette al Comado del XII Corpo d’Armata. 
31 Ottobre – Migliorate le condizioni atmosferiche, il forte rettifica i suoi tiri. Le comunicazioni coi comadi di fondovalle sono difficili perchè mancano le linee telefoniche dirette . si sostituiscono cogli eliografi, i quali però consentono di corrispondere soltato con atmosfera esente da nebbia. In mancanza di telefono e di eliografo le comunicazioni si eseguiscono lentamente a mezzo staffette. I tiri vengono alternati con le tre batterie da 149A, 149G, e da 75A per modo che ognuna aggiusti il proprio tiro su tutti gli obiettivi più importanti. I presidio del forte è tuttora all’oscuro circa i movimenti delle truppe operanti al di là della propria zona di diretta osservazione. 
1 Novembre – Continuano i tiri di interdizione sui bersagli più importanti. l’osservatorio di forcella amariana è stato sequestrato dal nemico. Non rimane che l’osservatorio di S.Simeone. Una colonna nemica di cirac trecento uomini e carriaggi, diretta verso tolmezzo, viene presa d’infilata dal fuoco del foret, decimata, dispersa. 
2 Novembre – Durante la notte sulla riva sinistra del Tagliamento, all’altezza di Amaro, il nemico ha iniziato lavori ed accumulato materiali coll’intento di gettare un ponte. L’artiglieria del forte lo impedisce. L’invasore e i reparti di retroguardia italiani si sono incontrati presso Buia-Osoppo-Maiano. Il Comando della 63a divisione alle ore 9.30 comunica per eliogramma : Avverto che nemico pronuncia attacco ponte Brulins e sembra che artiglieria nemica sia appostata ad Osoppo. Procuri individuarla e batterla. Benchè l’osservazione di tali obiettivi non sia possibile neppure pel tramite dell’osservatorio di S.Simeone il festa dirige anche su di essi, a tiro indiretto, il proprio fuoco. Inviati dal comando d’Artiglieria della 63a divisione giungono al forte i tenenti Icilio Fanelli e Alfredo Ferrari, che vengono destinati il primo al Comando della batteria 149A., il secondo al Comando della batteria 149G. Dallo stesso Comando giunge un foglio riservatissimo nel quale si preannuncia probabile la ritirata della Divisione da Alesso attraverso la forcella Armentaria verso S.Francesco. 
3 Novembre – Il nemico durante la notte ha riattato con armature di legname il ponte sul Fella. Il forte tiene questo ponte e il costruendo di Amaro sotto il suo fuoco. Il comando della 63a Divisione chiede fuoco attivo su tutta la zona battuta dal forte, onde impedire che il nemico eserciti pressione nell’imminenza del ripiegamento della divisione. 
4 Novembre – Nella notte arrivano al forte, inviati dal Comando della 63a Divisione, 25 soldati del 280° fanteria, guidati dall’Aspirante Santini Luigi.Vengono distribuiti parte alla selletta d’Agar sul ciglio del forte che domina Stazione per la Carnia, e parte occupati a preparare piazzuole in vari punti del forte, onde prontamente spostare dall’uno all’altro l’unica mitragliatrice. La batteria da 149A. riece ad abbattere la passerella che il nemico aveva improvvisato la notte sul ponte del Fella. E’ tolta la comunicazione telefonica con Bordano. Il nemico ha aperto il fuoco sul forte con pezzi da 105 appostati dietro il Sompave ed ha continuato tutto il pomeriggio il bombardamento. La 63a Divisione ripiega per forcella Armentaria, mentre il forte la protegge con tiro di interdizione dinanzi alla piana di Alesso. Anche la 36a e 26a hanno ripiegato. Il forte rimane completamente isolato, unico avanzo di armi italiane su tutta la linea del Tagliamento. 
5 Novembre – Gli avvenimenti incalzano. Il forte è completamente circondato e battuto anche da tergo da artiglierie appostate presso l’estremità sud del lago di Cavazzo. Aeroplani nemici sorvolano la posizione a bassa quota. I proiettili scarseggiano. La cerchia nemica si stringe. Durante la notte un primo attacco sferrato sul lato orientale della posizione nei pressi della batteria 75A. viene prontamente respinto, facendo intervenir da quel lato i pochi fucili e la mitragliatrice, la quale però funziona a scatti.
6 Novembre – I pochi soldati non occupati al servizio dei pezzi vengono spostati continuamente con i fucili e colla mitragliatrice nei vari punti dominanti, per impedire che il nemico si accorga delle irrisorie risorse difensive del forte. Verso le ore 9 un secondo attacco si pronuncia sul ciglio occidentale dominante il lago di Cavazzo. Il nemico sale alla spcciolata da diverse direzioni, per adunarsi nelle immediate adiacenze del forte. Avanza in angolo morto rispetto al tiro delle artiglierie del forte e quindi, mentre queste continuano il loro tiro sui bersagli di fondo valle, si concentra sull’assalitore il tiro dei fucili e della mitragliatrice. Ma questa si inceppa definitivamente. Si pone mano all’ultima rudimentale risorsa : blocchi di roccia vengono spinti sul ciglio della posizione e rotolati giù per il pendio, lngo il quale salgono gli attaccanti. Il gruppo nemico più prossimo al forte si indugia, s’arresta, innalza bandiera bianca. Il tenente Tomei con altri due soldati viene mandato incontro ai parlamentrai, che, bendati, sono introdotti al forte nell’ufficio del Comandante. Sono tre : un ufficiale della Sturmtruppe ( truppa d’assalto) e due soldati. L’ufficiale reca un foglio del Comando della X Armata Austriaca che dice laconicamente : “Al Regio Presidio Italiano di Monte Festa. Siete circondato da ogni parte ed invitato ad arrendervi. Il nostro parlamentare è atteso per le ore 11.” Il Capitano Winderling fa offrire ai parlamentari una lauta colazione, che li convinca delle larghe risorse in viveri del forte ed intanto raduna tutti gli ufficiali a consiglio.” Naturalemente, egli dice, la risposta non può essere che negativa; ma occorre poter disporre di qualche ora per consumare le ultime munizioni ed inutilizzare le opere prima che cadano in mano al nemico, che certamente risponderà al nostro rifiuto con un attacco a fondo.” Tutti gli ufficiali concordano, e dopo un breve scambio di idee si decide di consegnare la risposta in busta chiusa diretta al Comando da cui proviene l’intimazione, per modo che il parlamentare sia obbligato ad impiegare un certo tempo nel recapitarla a fondo valle. Il comandante redige la risposta in termini altrettanto laconici : ”Al Comando della Imperial Regia X Armata Austriaca. Al foglio di Codesto Comando chiedente la resa del forte, inviatomi stamane a mezzo parlamentare, ho l’onore di rispondere negativamente” e la consegna al parlamentare in busta chiusa senza comunicargli il contenuto. “Affinchè voi possiate, egli dice all’ufficiale austriaco, recapitare questo foglio senza essere colpito dalle artiglierie del forte, ditemi quale direzione prenderete per raggiungere il vostro Comando ed io eviterò di tirare sul vostro cammno, a meno che non mi vi si prensentino bersagli particolarmente impotanti”. L’ufficiale risponde di doversi dirigere a Tolmezzo, ove ha sede il Comando a cui il foglio è diretto. L’informazione è preziosa ! I parlamentari vengono nuovamente bendati ed accompagnati fuori dal forte. Essi si vedono poi scendere rapidamente lungo la strada per la quale erano saliti ; ad essi si unisce una parte degli assalitori; un’altra parte rimane in attesa fra le rocce e la boscaglia. Il comandante raduna allora tutto il presidio “ Il forte, egli dice, ha assolto il proprio compito, da oltre due giorni le truppe della 26a, 36a e 63a Divisione si sono ritirate protette dal nostro fuoco. Il nemico ci ha circondati completamente. Oggi ho risposto negativamente in nome di tutto il presidio alla sua intimazione di resa. Le nostre artiglierie, esaurite tutte le munizioni, saranno fatte saltare all’imbrunire, affinchè non cadano in istato di efficienza in mano all’invasore. Dopodichè sarà tentata la fuoriuscita, nella speranza di ricongiungerci al nostro esercito in ritirata. Preferisco questo tentativo all’attesa passiva sulle macerie del nostro forte inutilizzato. se ognuno di voi fosse armato direi a tutti : seguitemi ! Ma poichè quasi tutti siete inermi, vi dico : coloro che si sentono ancora abbastanza validi per arrischiare con me nuove fatiche, nuovi pericoli, coloro che si sentono di gettarsi a corpo morto contro la cerchia nemica piuttosto che arrendersi su questa vetta, dalla quale in questi giorni contendemmo il passo alle truppe dell’invasore, colro soltanto mi seguano. Alle 18 lasceremo il forte. Gli altri saranno all’atto dela nostra fuoriuscita prosciolti dall’obbligo dell’obbedienza e quindi non più considerati come facenti parte del forte, ma come semplici individui isolati. Faccio quindi ad essi assoluto divieto di innalzare sul forte bandiera bianca, giacchè il presidio del forte, come ripeto, non si arrende ma tenta la fuoriuscita ed il nemico, ponendo domani il piede su questa vetta, non troverà che macerie e uomini inermi, ossia solamente gli avanzi di ciò che ful il Forte di Monte Festa.” Metà presidio, ossia 100 uomini si dichiararono pronti a seguire il Comandante. gli altri, esausti dalle fatiche, ammalati o feriti, rimangono affidati alle cure del Tenente Medico Del Duca. Il fuoco d’artiglieria, sopseso durante la presenza al forte dei parlamentari, viene ora ripreso rabbiosamente cole ultime munizioni, pur evitando per alcun tempo di battere la strada che da Somplago conduce a Tolmezzo. Frattanto il Comandante prende con sè tutto il carteggio del forte d impartisce istruzioni al Tenente Mingardi per la distruzione dei documenti di tiro che interessa non lasciar cadere in mano nemica, ed al maresciallo Segato per il confezionamento delle cariche destinate a far esplodere i pezzi delle due batterie da 149. Uno degli ultimi colpi della batteria da 149A. colpisce in pieno il deposito di munizioni di Tolmezzo, facendolo esplodere. Alle ore 18 il tenente Paradiso riceve dal comandante l’ordine di inutilizzare i suoi pezzi da 75A., precipitando gli otturatori giù per il pendio, il tenente Ferrari di dar fuoco alle micce dei pezzi da 149G. mentre il comandante stesso col maresciallo Segato danno fuoco a quelle dei pezzi da 149A. Il presidio è ricoverato a ridosso della caserma. Glo otto rombi si susseguono ritmati e dilanianti. E’ l’urlo del forte ferito a morte!. 
Subito dopo si inizia la fuoriuscita. Il comandante è in testa. Gli altri ufficiali sono distribuiti a intervalli lungo la colonna. Si scende un po’ seguendo i zig zag della strada, un po’ tagliando per la linea di massima pendenza. In una sosta, a mezza costa, la colonna vede sfilare un plotone nemico che con mitragliatrici someggiate sale il pendio per appostarsi probabilmente sulle falde del S.Simeone, che domina il forte. Il comandante intende condurre la colonna verso la parte paludosa e meno profonda del lago di Cavazzo, nei pressi di Somplago, per guadarla e gettarsi all’opposta catena di montagne ; ma arrivati alle falde del Festa, mentre egli sta orientandosi ed ispezionando il terreno, avanzando tra la oscurità, si odono grida di “chi va là” seguiti da fuoco di fucileria. Il comandante comprende di essersi inoltrato troppo verso il paese di Somplago, centro delle truppe accerchianti e richiama verso sud il grosso della colonna. Ma lo scompiglio è già avvenuto. I soldati nemici si sono confusi con i nostri. Attraverso una breve scaramuccia solo il Capitano Winderling col ten. Tomei, il maresciallo Fidenzoni, un sergente e tre soldati riescono ad oltrepassare la cerchia, guadare la palude e gettarsi all’opposta catena di montagne. Il grosso della colonna rimane prigioniero. 
Il piccolo gruppo condotto dal Capitano Winderling inizia un’avventurosa odissea nel vano tentativo di raggiungere le nostre linee, ch’egli si illude non molto arretrate, mentre si trovano già schierate sul Piave. 
Valicato con una dura marcia di due giorni e due notti il gruppo del Piciat, giungono non visti la sera del 9 novembre ai primi casolari di S.francesco in Valle Arzino. Quivi apprendono dai valligiani rimasti l’entità del disastro, aggravato dalle immancabili esagerazioni. 
Scoramento ! 
Ma la notte porta consiglio. Adattati gli spiriti alla nuova situazione, si decide di proseguire ugualmente, travestiti da contadini, attraversando creste e vallate onde ridurre al minimo gli incontri colle truppe dell’invasore, che scorrono a grandi masse sulle strade della pianura. La trasformazione avviene con abiti acquistati dagli stessi contadini e infilati al di sopra delle uniformi. 
Il gruppo procede così per Tramonti, Canal di Meduna, Clautt, Cimolais, Erto. Camminano distanziati fra loro per non attrarre l’attenzione; vivono mendicando di casolare in casolare un pezzo di formaggio, una fetta di polenta, una tazza di latte; dormono nei fienili, nelle stalle, nei fossati delle strade. 
A Claut la cresciuta vigilanza da parte dell’invasore li consiglia ad abbandonare in un casolare le uinformi e il carteggio del forte ( NOTA: esso venne poi ricuperato dallo stesso capitano al ritorno dalla prigionia) gelosamente custodito sino allora dal capitano. 
Tra Cimolais ed Erto il maresciallo Fidenzoni e due soldati vengono fermati perquisiti e fatti prigionieri. 
I tre superstiti ( il capitano Winderling, il tenente Tomei, il soldato Leon) procedono ancora per Longarone, Belluno, Fonzaso, Aganna, ove giungono estenuati il 27 novembre, ossia dopo venti giorni di marcia e di stenti dal Tagliamento al Brenta. 
Nella piccola frazione di Aganna, dove due famiglie di contadini li ospitano, assistono impotenti per altri venti giorni ai movimenti delle truppe nemiche che salgono al massiccio del Grappa, alle ricognizioni ed ai bombardamenti dei nostri aeroplani, all’organizzazione delle retrovie nemiche. 
Ci si batte accanitamente sul Grappa ed i tre dispersi sperano in un movimento della linea di attacco che permetta loro uno sbalzo fra i nostri. Ma la linea sta salda, immutata, e i loro tentativi d’infiltrazione non hanno per risultato che di farli notare, sospettare ed infine catturare il 15 dicembre sotto l’imputazione di spionaggio. 
Il capitano Winderling difende sè ed i suoi compagni dinanzi il comando militare di Feltre dichiarandosi comandante del M.Festa; ma il loro stato miserevole dopo quaranta giorni di latitanza e la mancanza di ogni documento no sono elementi adatti ad accreditare la sua asserzione. Egli chiede allora il riconoscimento a mezzo del parlamentare ricevuto al forte il 6 novembre. Questi giunge infatti dopo cinque giorni di ricerche ed il riconoscimento procura al capitano Winderling il più cavalleresco trattamento da parte del nemico, la rivestizione dell’uniforme italiana e il diritto del porto dell’arma.
Ma subito dopo in causa del suo nome d’origine forestiera, della sua conoscenza della lingua tedesca, della stessa tenace resistenza al forte e della lunga latitanza dopo la fuoriuscita, sorge a suo carico il sopsetto di irredentismo. Tradotto al Castello di Trento subisce in quell’atmosfera di martirio numerosi e serrati interrogatori. Indi trasferito alla fortezza di Franzensfeste, mentre l’inchiesta prosegue per proprio conto. Di qui, dopo un fallito tentativo di fuga, inviato nella Boemia tedesca a Reichenberger dove in un campo di concentramento di prigionieri russi si trovano ammassati in sconnesse baracche un centinaio di ufficiali italiani. Freddo e fame dal gennaio a marzo 1918. Finalmente cominciano ad arrivare i pacchi di viveri da casa. A giugno i cento prigionieri vengono trasferiti ad Jungbunzlau nella Boemia czeca ed alloggiati con altri trecento ufficiali provenienti da altri campi in una decorosa caserma. La vigilanza attorno ai prigionieri viene però intensificata perchè la popolazione czeca fraternizerebbe volentieri con loro. Infatti, malgrado la vigilanza lo scmabio di notizie tra l’esterno e l’interno del campo è frequente.
E così che nel campo ci si rende conto del progressivo sfaldamento dell’esercito austriaco dopo l’offensiva del Piave; è così che il capitano Winderling può scrivere alla famiglia in un ingegnoso acrostico vernacolo inteso ad eludere la censura postale : ” Tegni dur, questi fra poch mollen” ( Tenete duro, questi fra un poco cedono) ; è così che si cospira preparando la partecipazione dei quattrocento ufficiali a quella rivoluzione Boema che deve da un momento all’altro scoppiare alle spalle dell’esercito austriaco. 
A fine ottobre la Boemia, costituitasi in libera repubblica, apre le porte dei campi dei prigionieri italiani. Il capitano Winderling con un lasciapassare del comitato rivoluzionario raggiunge subito Praga insieme ad altri due ufficiali. Le uniformi italiane sono portate in trionfo ovunque compaiono. 
I nostri si unoscono agli czechi nell’opera febbrile di demolizione delle aquile bicipiti dalle insegne pubbliche ; si ammantano, si detronizzano i monumenti che ricordano il regno degli Asburgo, fra i quali na statua del Radeski. 
Giornate di orgia reazionaria queste di Praga per quei prigionieri usciti da così lungo letargo. 
Il 5 novembre la notizia dell’armistizio permette di uscire dai confini della Boemia. Il capitano Winderling è il 6 a Vienna ove le prime uniformi italiane circolano liberamente fra la curiosità della popolazione. 
Da Vienna il 7 a Trieste, donde sta per salpare una torpediniera italiana che riporta a Venezia una Commissione di autorità milanesi venuta il giorno prima a porgere a Trieste il primo saluto dalla metropoli lombarda. Il capitano Winderling riabbraccia i suoi concittadini e si unisce a loro nel ritorno. 
L’Odissea iniziatesi colla fuoriuscita dal forte di Monte Festa il 7 novembre 1917 si chiude così ad una anno esatto di distanza sul molo di Trieste redenta. 
Schede – Prima Guerra Mondiale – UNPOPVE - 

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