Il fascismo secondo i cattolici


Trovare un’interpretazione cattolica unitaria del fascismo risulta difficile dal momento che i cattolici hanno assunto posizioni diverse nei suoi riguardi, a seconda delle circostanze e delle tendenze maturate in seno al mondo cattolico. È possibile, tuttavia, parlare di un’interpretazione cattolica del fenomeno fascista, sostenuta da Augusto Del Noce, il quale ha tratto spunto dal pensiero del filosofo francese Jacques Maritain. Secondo Maritain, il Rinascimento e la Riforma protestante hanno condotto alla frattura dell’unità intellettuale e spirituale della cristianità. Il mondo politico, in un primo momento, per salvare quest’unità, ha reagito attraverso una svolta assolutistica la quale, però, non ha resistito al trionfo del razionalismo e del liberalismo, che si sono accompagnati a un processo di totale degradazione, al punto tale da suscitare violentissime reazioni. Venuto definitivamente meno il collante spirituale, l’unica forma di unità della comunità politica che può essere raggiunta è quella basata sulla costrizione e sulla violenza. Queste reazioni antiliberali si sono concretizzate in varie forme di totalitarismo, tra le quali il comunismo e il fascismo. Per dirla con Maritain: «L’unità politica della comunità potrà allora perseguirsi solo con modi di allenamento esterno, di pedagogia politica o di costrizione, con mezzi di Stato molto simili, nella tecnica, a quelli che il comunismo sovietico impiega per la propria dittatura. E siccome si capisce bene che è pertanto necessario l’accordo interiore dei pensieri e delle volontà per la solidità dell’unità politica, sarà cercata e imposta con gli stessi mezzi una pseudo unità intellettuale e spirituale. Tutto l’apparato d’astuzia e di violenza del machiavellismo politico rifluisce così sullo stesso universo della coscienza, e pretende forzare questo ridotto spirituale per strappare un consenso e un amore di cui ha imperiosamente bisogno. Si ha quindi una specie di violazione ben caratterizzata dei santuari invisibili».
A partire dagli studi di Maritain, Augusto Del Noce elabora il suo discorso interpretativo, che può essere suddiviso in varie fasi. In primo luogo, il totalitarismo va inquadrato in un contesto di crisi dei valori morali e religiosi della moderna civiltà occidentale, in cui si è assistito alla diffusione dell’ateismo. A conferma di ciò Del Noce afferma: «…che il totalitarismo non è una semplice dittatura: che è, invece, un fatto nuovo nella storia, conseguente all’assunzione del valore politico come ultima e definitiva istanza rispetto a cui tutti gli altri valori devono essere giudicati…». In questa prima fase, il fascismo viene definito come un totalitarismo di natura religiosa, che, grazie alla riappacificazione tra Stato e Chiesa favorita dalla firma dei Patti Lateranensi, fa sì che l’uomo non abbia più una doppia appartenenza, una all’ordine temporale e una all’ordine spirituale. In questo modo, si verifica un superamento della scissione tra interiorità ed esteriorità dell’individuo e una unificazione del comportamento umano verso un unico centro, costituito dalla religione. Per questi motivi, il fascismo è visto come uno Stato etico, che tenta di accentrare nelle sue mani una funzione educativa e formativa sulla vita interiore dei cittadini, e come uno Stato organicistico, che rivendica il controllo di tutte le attività dei cittadini. Nella sua prima lettura, inoltre, Del Noce sostiene che è assurdo rintracciare le radici storiche del totalitarismo. Piuttosto, esso nasce dal momento che i suoi avversari, come cattolici, liberali e socialisti, non sono abbastanza forti e resistenti e non sono in grado di collaborare contro un nemico comune. Se propriamente confutato, il totalitarismo è destinato a scomparire. A sostegno di questa tesi, Del Noce chiarisce, infatti, che la maggioranza degli italiani ha aderito al fascismo, il cui consenso viene indicato con il termine compromesso: gli italiani hanno volontariamente sostenuto la dittatura di Mussolini in cambio della promessa di benessere e sicurezza. Scrive a tal proposito Del Noce: «diventava stranamente oscuro come un uomo avesse potuto reggersi per vent’anni e essere tiranno col popolo sostanzialmente avverso o almeno indifferente»48. Comunque, la condizione di schiavitù volontaria degli italiani durante il fascismo va estesa anche al dittatore, che non può governare se non tenendo conto degli interessi del popolo a lui sottomesso. In conclusione, ogni regime dittatoriale ha bisogno di un certo margine di consenso e sostegno per poter essere forte.
Del Noce apre la seconda fase del suo discorso ribaltando completamente la concezione di totalitarismo che aveva caratterizzato la sua precedente analisi. Infatti, se prima il filosofo torinese dà una valutazione positiva al termine, ora il totalitarismo viene considerato un regime dipendente da un’antropologia opposta a quella cristiana, in cui la politica si eleva a religione, riducendo tutti i valori a valori politici. La religione si risolve nella politica e la sfera spirituale viene assorbita da quella temporale. Insomma, la dimensione religiosa, nel fascismo, viene completamente negata. In questo quadro, l’individuo vive solo in rapporto con la società totalizzata e può realizzarsi solo all’interno dello Stato. La politica detta la morale e lo Stato attua forme di coercizione e violenza spirituale nei confronti dell’individuo. «La politica assume i caratteri di dogmaticità propri della religione, divenendo una religione atea o secolarizzando e politicizzando la religione stessa». In questa seconda fase, inoltre, Del Noce opera una distinzione tra i diversi totalitarismi che hanno caratterizzato il periodo tra le due guerre mondiali. Sia fascismo che comunismo sono due versioni rivoluzionarie di uno stesso totalitarismo, quello che afferma l’elevazione della politica a religione, e hanno in comune la concezione dell’uomo in rapporto solamente con la società. Egli distingue due forme totalitarie, quella di sinistra, a cui appartiene il comunismo, e quella di destra, a cui appartengono fascismo e nazismo. Più precisamente, mentre nel totalitarismo russo la religione viene inclusa nella politica, nei totalitarismi italiano e tedesco la politica si eleva a religione. Il totalitarismo di destra intende difendere i valori di una civiltà non in quanto universali ma in quanto nazionali (italiani, tedeschi), cosicché si giunge all’opposizione di una nazione a tutte le altre, che si concretizza nella guerra. Seppure fascismo e nazismo siano considerati entrambi totalitarismi di destra che presentano delle analogie, Del Noce individua una netta distinzione tra essi, chiarendo che non sono contraddistinti da un’essenza comune. Infatti, «il fascismo è una barbarie che affonda le radici in una crisi della civiltà e della cultura europee e si caratterizza come antimarxismo senza superamento», cosicché diventa possibile parlare di una pluralità di movimenti fascisti. Invece, il nazismo è unico e rappresenta l’esatto opposto del comunismo, la sua traduzione irrazionalistica. Nel terzo momento del suo discorso, Del Noce approfondisce la nozione di totalitarismo, arrivando a definire il fascismo e il comunismo come negazioni radicali di cristianesimo, liberalismo e socialismo. 
In questo senso, il filosofo ripresenta la propria teoria del totalitarismo inteso come assolutizzazione del valore politico, in perfetta continuità con le riflessioni della prima fase interpretativa, ma con tre importanti variazioni: in primo luogo, Del Noce attua la distinzione tra il cosiddetto totalitarismo coerente, ossia il comunismo, e le controfigure incoerenti, ossia fascismo e nazismo, definite come semplici negazioni di valori; in secondo luogo, egli dichiara la rinuncia al dialogo tra cattolici e liberali da una parte e comunisti dall’altra, nella convinzione dell’impossibilità, anche pratica, dell’evoluzione democratica del totalitarismo; in terzo luogo, il filosofo opera la distinzione tra le forme reazionarie ottocentesche, volte a difendere l’ordine storico, e i totalitarismi, in cui si ha l’unione di caratteri rivoluzionari e reazionari. Infatti, l’obiettivo è comunque quello di difendere l’ordine costituito, ma esso viene raggiunto attraverso il potere di una classe dirigente sostenuta da un’ideologia, dal punto di vista culturale, e da uno stato di polizia, dal punto di vista pratico. Appare, quindi, l’individuazione dell’esistenza dell’ideologia fascista e il rifiuto esplicito del termine totalitarismo di destra, con il riconoscimento di un unico tipo di regime totalitario che si presenta in forme diverse. Continua, in questa terza parte della ricerca, l’approfondimento della distinzione tra nazismo e fascismo, definito il primo come “sfida a risposta” al comunismo e il secondo come «oltrepassamento del marxismo in forma di inveramento», definizione che indubbiamente costituisce un approfondimento di quella che ne faceva un anticomunismo senza superamento. In altre parole, il nazismo è anticomunismo (come sfida a risposta entro il quadro filosofico immanentistico tedesco), il fascismo, invece, principalmente e in primo luogo è “un’alternativa nazionale” al comunismo e appartiene piuttosto al contesto dell’inveramento del marxismo. Il fascismo rappresenta la rivoluzione marxista sganciata dal materialismo e dall’utopismo, il nazismo costituisce invece il tentativo di espellere dalla tradizione tedesca, caratterizzata dal desiderio di imporre il primato politico della Germania sul mondo, il marxismo e tutto ciò che conduce a esso. Di conseguenza, il nazismo è la negazione pura del marxismo.
Fascismo analisi interpretativa - AUSER Spinea - Anno Accademico 2020-21 -

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