Preparazione di un’offensiva
Il
Regno d'Italia è entrato in guerra il 24 maggio 1915 dopo molti
tentennamenti e per un percorso assai tortuoso a fianco dell'Intesa.
Si è trovato fin da subito in una posizione di evidente vantaggio
rispetto al nemico austriaco che provato da ormai un anno di guerra
faticava avendo due fronti aperti e molto complessi. Il primo fronte
era quello nei Balcani e il secondo, terribile, era il fronte russo
contro il quale, nonostante i numerosi successi che avevano respinto
in profondità le armate russe, l’estensione del fronte era
talmente grande da causare un immenso consumo di uomini e risorse.
L’Italia aveva quindi la possibilità di affrontare un nemico che
altrimenti sarebbe stato soverchiante sia dal punto di vista
economico che militare.
Gli
italiani avevano cominciato la guerra convinti di avanzare in
territorio nemico con grande facilità, e dopo aver preso rapidamente
città fondamentali come Trieste e Lubiana, puntare a minacciare
direttamente Vienna. Ma appena si concretizzarono le prime offensive,
che furono ben 11, si delineò in modo chiaro che la resistenza
predisposta dagli austriaci fu tenace e ciò rallentò
inevitabilmente l'avanzata italiana. Tuttavia, nonostante le
difficoltà, le offensive di Cadorna continuano testardamente nel
tentativo ostinato di assicurarsi alcuni limitati guadagni
territoriali come singole cime o pochi chilometri di terreno. Ogni
singola offensiva costa all'Italia perdite spaventose ma che nel
contesto della guerra e per lo stile di combattimento utilizzato sono
considerate accettabili come si legge nel famoso bilancio della
decima battaglia dell'Isonzo con il quale il colonnello Gatti, del
comando supremo italiano, descrive i risultati ottenuti e i costi cui
è stato necessario far fronte:
I
risultati visibili sono il monte Kuk e quota 363 della valle del
Rohot presi; il Vodic preso… prigionieri austriaci circa 23.000…
di fronte a questi buoni risultati, la spesa nostra è stata di circa
70.000 tra morti e feriti è di circa 750.000 colpi di medio e grosso
calibro spesi.
La
pressione delle offensive era tale che, per quanto fossero scarse le
conquiste effettivamente ottenute esercito italiano, esso avanzava
sempre di più in direzione Trieste. L'esercito austriaco faticava
moltissimo a contenerlo e con la undicesima offensiva dell'Isonzo,
iniziata il 17 agosto 1917, divenne chiaro al comando austriaco che
bisognava assolutamente pensare ad un piano per spingere indietro gli
italiani possibilmente fino al fiume Tagliamento. L'obiettivo era
decisamente ambizioso: significava un'avanzata di 80 km dopo lo
sfondamento della linea nemica e prevedeva di riversare una quantità
di forza tale da prendere sul fianco e alle spalle l'esercito
italiano catturandolo o mettendolo in rotta. Diventa quindi di
fondamentale importanza capire esattamente quale poteva essere il
punto nel fronte italiano più vulnerabile al massiccio attacco. Ma
le potenze centrali faticavano a trovare un accordo strategico e
spesso marciarono in questa guerra in modi e con obiettivi abbastanza
diversi. La collaborazione era quindi spesso molto difficile e una
reale unità d'azione era assai complicata perché era assente un
comando centrale unico delle potenze austro tedesche in grado di dare
direttive senza ogni volta avviare lunghe ed estenuanti trattative.
Ciononostante, era piuttosto chiaro già nel 1915, quale sarebbe
stata la possibile operazione offensiva contro l'Italia, come
descritta dal plenipotenziario generale tedesco presso il comando
supremo austriaco Von Cramon:
Conrad
mi aveva esposto ripetute volte già nel corso dell'estate del 1915
in conversazioni private i suoi piani, che miravano ad un'offensiva
contro l'Italia, dopo la cui sconfitta si sarebbe potuto procedere
assieme in Francia. La sua idea di sfondare dalle montagne del Tirolo
meridionale si basava sui piani di operazione già elaborati in tempo
di pace. Egli si aspettava molto da essi, con la convinzione
particolarmente ottimistica che gli sarebbe riuscito niente di meno
di prendere alle spalle la principale forza italiana schierata
sull'Isonzo e costringerla alla resa in campo aperto…Per quanto
riguarda lo schieramento italiano il fronte è fortemente sbilanciato
a sud cioè indicativamente dall'altopiano della Bainsizza al mare
Adriatico e molto più debole nel tratto fra Plezzo e Tolmino. Questo
perché il territorio è quasi interamente montagnoso con cime famose
come il Monte nero e Matajur che, per quanto considerate
imprendibili, apparivano di secondaria importanza per i comandi
italiani, che stavano facendo la guerra all'offensiva, affascinate
dalla prospettiva della sempre più vicina Trieste. Il tratto quindi
che austriaci e tedeschi intendevano sfondare era lungo tra i 50 e i
60 km su un terreno estremamente frastagliato. A fare il rapporto per
la conseguente creazione del piano per l'attacco definitivo fu Kraft
von Dellmensingen il quale presentò la sua ricognizione ai generali
Hindenburg e Ludendorff. Il comandante tedesco che venne deciso per
l'offensiva sul fronte italiano fu Otto von Below con Kraft von
Dellmensingen come capo di Stato maggiore. Elemento fondamentale per
l'offensiva era che fosse preparata nella massima segretezza. Questo
perché i cieli erano dominati dagli aerei italiani mentre la
ricognizione aerea austriaca era assai scarsa. Il generale Von Below
si trovò quindi con i suoi colleghi a Vienna per delineare nel
dettaglio il progetto dell'offensiva. Si trattava di attaccare
partendo dalla testa di ponte di Tolmino e risalire le montagne della
riva destra dell'Isonzo; contemporaneamente il primo corpo austriaco
avrebbe attaccato alla Conca di Plezzo. La quattordicesima armata
doveva comprendere almeno sei divisioni tedesche e alcune divisioni
austriache scelte fra le più efficienti. Ma il nuovo problema era
come portare tutti gli uomini e le risorse necessarie nelle vicinanze
del punto di partenza dell'offensiva. Ed era necessario quindi
studiare con attenzione le linee ferroviarie più adatte allo scopo.
Si capì che le truppe tedesche avrebbero dovuto scendere dai treni
in posizione piuttosto arretrate poiché non vi erano stazioni
abbastanza vicine utili allo scopo. Una volta scesi dai treni le
truppe avrebbero dovuto marciare a piedi per 80-90 km attraverso le
montagne per strade strettissime ed impervie. Questo rese subito
evidente quali sarebbero state le enormi difficoltà logistiche che
lo stato maggiore sarebbe stato chiamato ad affrontare.
Dalla
parte italiana erano almeno due settimane che i servizi di spionaggio
davano numerose notizie di spostamenti di truppe austriache sul
fronte orientale verso l'Italia e di possibili trattative fra il
comando supremo austriaco e quello tedesco. A Cormons il generale
Cappello, comandante della seconda armata e assertore tenace
dell'offensiva ad oltranza, stava cominciando a chiedersi se i tanti
indizi raccolti dal suo ufficio informazioni non indicassero davvero
che il nemico stesse preparando qualcosa. In caso di attacco, la
strategia prevedeva di scaglionare le truppe in profondità,
lasciando in prima linea sono un velo di truppe e capisaldi con
mitragliatrici e preparare le riserve per i contrattacchi. Tutti
sapevano, infatti, che un'offensiva massiccia finiva sempre per
conquistare le prime linee, e che la difesa poteva tenere solo se
scaglionata su più linee successive sostenuta da immediati
contrattacchi. Le informazioni ricevute indicavano come obiettivi San
Gabriele, Montesanto, Gorizia. Anche Cadorna ormai sospettava che il
nemico preparasse un'offensiva in grande stile e decise quindi di
sospendere l'offensiva italiana progettata per il 18 settembre. La
seconda e la terza armata avevano ordine di concentrarsi fin da
subito esclusivamente nella preparazione della difesa a oltranza. Il
27 settembre il generale Cadorna partecipò al Consiglio dei ministri
a Roma dove dovette spiegare le ragioni che avevano indotto a
sospendere la prossima offensiva. Continuare ad attaccare, dopo il
successo ottenuto della Bainsizza, sarebbe stato costosissimo sia in
termini di vite umane che in consumo di proiettili. Era quindi
preferibile risparmiare entrambi nel caso in cui un'offensiva
austro-tedesca avrebbe avuto luogo. In questa occasione, Cadorna
colse anche l'occasione per ribadire la sua preoccupazione per la
propaganda, specie di stampo socialista, che a suo parere minava
irrimediabilmente il morale delle truppe. Il ministro dell'Interno
Orlando ribatté affermando che, se il morale dei soldati era basso,
la colpa era semmai da imputare ai comandanti e al modo in cui
trattano i sottoposti.
Ma
chi era Cadorna e perché si rivela un elemento centrale per la
comprensione dello sfacelo a Caporetto? Non è sufficiente dire che
fosse il capo di stato maggiore del regio esercito ma è necessario
vedere il suo stile di comando e l’opinione che egli aveva di
“Quell’imperfettissimo organismo militare” come lo definiva il
presidente del consiglio Antonio Salandra. Successivamente avremo
modo di approfondire maggiormente le sue responsabilità durante la
grande guerra e la disfatta di Caporetto ma intanto è importante
anticipare che Cadorna era un generale di primissimo livello. È
infatti discendente da una dinastia di professionisti delle armi che
risale al diciottesimo secolo e grazie a una carriera per molti versi
eccezionale e grazie al suo brillante cursus honorum sembrava
possedere alla vigilia del conflitto tutte le caratteristiche del
condottiero naturale. Bisogna sottolineare che non aveva avuto modo
di mettere in pratica le sue esperienze di comando sul campo ma era
una cosa comune a molti generali europei a seguito della pace
successiva alla guerra franco-prussiana. Egli era noto per il suo
carattere intransigente e per uno stile di comando fortemente
individualista e accentratore: infatti un influente deputato al
Parlamento e futuro generale Antonio Di Giorgio lo descrisse come:
“un uomo di carattere che non tollererà in guerra inframmettenze
di sorta”4. Per Cadorna il principio cardine era che il capo di
Stato maggiore dovesse essere sostanzialmente libero da ogni
controllo del governo, degli organi consultivi e della stessa casa
reale. Non bisogna però dimenticare che nonostante le molte
resistenze vi era un'aspettativa assai elevata e una reverenza quasi
mistica generata dal nome di Cadorna. Il principale quotidiano
nazionale, il Corriere della Sera, portavoce della buona borghesia
urbana, usava spesso espressioni che ne elogiavano l'autorità
indiscussa, la fermezza del carattere e la grande preparazione.
Grande studioso e attento osservatore dei vari conflitti che si sono
susseguiti durante la sua generazione come la campagna del 1870,
battaglie celebri come Custoza, la guerra anglo-boera, Cadorna era
convinto di ritrovare un'indiscutibile conferma delle proprie
convinzioni sull'importanza di avere una sola figura alla guida, un
responsabile assoluto che non dovesse subire interferenze esterne e
non fosse intralciato dall'autonomia dei sottoposti. Cadorna era
inoltre convinto che l’esercito italiano fosse inadatto a sostenere
una guerra moderna e denunciò già nel 1914, al suo superiore
Alberto Pollio, che erano necessari diversi interventi migliorativi.
Il
presidente del consiglio Antonio Salandra medesimo avrebbe speso
molte pagine nelle sue memorie per lamentare le terribili condizioni
in cui versavano le forze armate al momento della sua ascesa al
potere e quindi quasi impossibili da utilizzare nella crisi europea
seguita a Sarajevo. Poco dopo aver assunto formalmente la carica (il
27 luglio) il nuovo capo di Stato maggiore redasse quello che è
stato tramandato come “l'inventario Cadorna”, un elenco di tutte
le mancanze sia di personale che di materiali che avrebbero reso
pressoché impossibile per l'esercito italiano partecipare al
conflitto europeo che si stava profilando all'orizzonte. E a partire
anche da questi dati sia Cadorna che dopo di lui un importante numero
di pubblicisti e polemisti avrebbero articolato
un'accusa piuttosto pesante a carico dei presunti responsabili
dell'impreparazione militare nazionale: il sistema parlamentare, i
governi liberali e l'opinione pubblica. Ma forse il problema ancor
più grave che registrava Cadorna non era solo l'assenza di personale
e la scarsità materiale ma la crisi morale che serpeggiava
nell'esercito e nell’italiano medio. A suo dire quello italiano era
un popolo cronicamente indisciplinato, individualista e non ben
istruito alla religione del dovere patriottico, contagiato da
pericolose idee socialiste e quindi, di conseguenza, soldato poco
ubbidiente e inaffidabile. Reputava quindi in definitiva che la
comunità nazionale era un serbatoio di pessime reclute, quasi
impossibili da addestrare adeguatamente per una grande impresa.
“Dovevo servirmi degli elementi che c'erano, di quelli che il paese
mi poteva dare” 5avrebbe dichiarato davanti alla commissione di
inchiesta su caporetto nel 1918. Il 28 settembre a Udine continuavano
ad arrivare notizie preoccupanti in merito al trasferimento di truppe
austroungariche nel Trentino, al trasferimento di una quindicina di
divisioni dal fronte orientale a quello italiano, e alla presenza di
una divisione bavarese nel Trentino meridionale. Le notizie ormai
filtravano anche ai giornali e accennavano anche un trasferimento sul
fronte italiano del famoso Alpenkorps, divisione celebre per essere
tremendamente efficace nella guerra in montagna. I preparativi sul
fronte austriaco continuavano senza sosta e venivano utilizzate anche
le gallerie delle miniere, attraversate da ferrovie elettriche, che
consentivano di trasportare con discrezione, ma enormi difficoltà,
cannoni e munizioni. Assai arduo era anche affrontare i ripidi
tornanti e le stradine militari appena costruite. I cavalli
dell'esercito austriaco, non adeguatamente nutriti non erano in grado
di trascinare senza l'aiuto umano i cannoni in cima alle montagne.
Arrivati al passo, la stanchezza era tale che obbligava uomini e
animali a lunghe soste all'addiaccio, situazione aggravata dal fatto
che parti della fanteria erano scesi dai treni con le divise estive e
senza indumenti invernali. Vennero distribuite alle truppe gli
elmetti d’acciaio, elemento raro da trovare tra le file austriache
vista la scarsità di risorse di cui disponevano, e vennero date le
cartoline prestampate con la frase su scritta “sono sano e sto
bene” il 9 lingue. Questi elementi fecero capire ai soldati che
l'inizio dell'offensiva era sempre più vicina. Il 27 settembre Von
Below ricevette la visita del comandante del gruppo d’armate
dell'Isonzo austriaco Svetozar Boroevic von Bojna le cui armate
avrebbero dovuto dare pieno supporto all'imminente offensiva. Per
quanto ne sapeva Boroevic, l'offensiva della quattordicesima armata,
mirava a ributtare gli italiani sulle posizioni da cui erano partiti
nel maggio 1915, ovvero sui vecchi confini dell'impero. Ma quel
giorno Below si confidò col suo parigrado austriaco e rivelò che
nelle intenzioni dei tedeschi il Tagliamento era l'obiettivo minimo.
Questa rivelazione lasciò esterrefatto il comandante austriaco che
per due anni e mezzo aveva difeso la linea dell'Isonzo contro gli
attacchi di Cadorna, tanto da meritarsi dai giornali austriaci
soprannome di Leone dell'Isonzo. Egli trovava l'obiettivo tedesco
irrealizzabile vista la tenacia del nemico italiano che lui stesso
aveva potuto sperimentare. Comunque sia, nonostante lo zelo con cui
gli ufficiali tedeschi in ricognizione indossavano berretti austriaci
per non farsi individuare, il segreto dell'offensiva fu impossibile
da mantenere anche grazie alle moderne tecnologie e allo spionaggio.
Diverse intercettazioni telefoniche rivelarono infatti la presenza di
visitatori tedeschi nella zona di Tolmino e alcuni disertori
riferirono dell'afflusso di truppe tedesche facenti parte della
quattordicesima armata e destinate all'imminente offensiva. Vennero
quindi mandate nelle circolari ai vari comandanti Capello,
Cavaciocchi e Badoglio dove si sottolineava che la testa di ponte
della successiva offensiva sarebbe stata indicativamente nella zona
di Tolmino. È necessario però sottolineare quanto fosse considerato
inutile e superfluo l'ufficio del servizio informazioni. Come ricorda
Eugenio De Rossi che ne era stato messo al comando nel 1904, si
trattava di una struttura a dir poco artigianale, con pochi addetti
selezionati senza cura, quasi sempre senza le risorse necessarie e
costretto a rivolgersi alla benevolenza di colleghi volontari per
svolgere sopralluoghi e incontri all'estero: ” il servizio
informazioni era da noi ciò che vi poteva essere di più meschino e
insufficiente che si possa immaginare. Aveva a disposizione 50.000
lire annue e con esse doveva raccogliere notizie e carpire segreti
dal mondo intero ma spesso se ne stornava una parte per pagare viaggi
del capo di Stato maggiore o di altri pezzi grossi. Direttore del
servizio era un colonnello che aveva a disposizione due capitani
scelti tra quelli che conoscevano una lingua estera oltre al
francese; di essi uno teneva la parte contabile l'altro la
corrispondenza.
Dipendevano
pure dall'ufficio un ufficiale dei carabinieri e due agenti
investigativi. Da questa miseria derivava che il capo del servizio
era costretto a ricorrere ufficiali volenterosi che si prestassero
gratis. Lo stesso Von Below andò a ispezionare le divisioni tedesche
che stavano prendendo posizione a ridosso della testa di ponte. Come
al solito, i movimenti tedeschi procedevano rispettando le tabelle di
marcia, mentre gli austriaci risultavano piuttosto disorganizzati
creando rallentamenti sulle linee ferroviarie; l'artiglieria tedesca
era già quasi tutta in posizione mentre quella austriaca doveva
ancora posizionarsi e si prevedevano tempi ancora piuttosto lunghi.
Il comandante andò anche spesso e ostentatamente a Innsbruck in
treno, per ispezionare l’Alpenkorps che gli italiani dovevano
credere ancora attestato nel Tirolo, nonostante in realtà il suo
treno incrociasse ad ogni stazione i convogli della divisione che
scendevano all'Isonzo.
Nel
frattempo, il comandante Cappello stava ricevendo informazioni ancora
più preoccupanti e di prima mano, perché le notizie dell'afflusso
di reparti tedeschi sul fronte erano confermati disertori catturati e
interrogati dall'ufficio informazioni della seconda armata. Le sue
informazioni confermavano con abbondanza di dettagli l'arrivo al
fronte di truppe germaniche, lo sgombero della popolazione civile
dalle retrovie di Tolmino e la costruzione i nuovi assi ferroviari e
di hangar per aeroplani. Tutte le informazioni insomma rendevano
attendibile l'imminenza di una poderosa offensiva e ancora una volta
colpisce l'intensità del flusso di notizie e l'accuratezza del
lavoro dell’ufficio informazioni. Per il comandante Cappello, che
da poco aveva conquistato la Bainsizza, era logico che il nemico
intendesse riconquistarla, e che quindi progettasse di sfondare a
Tolmino per poi girare a sud e prendere alle spalle l'altopiano. Il
comandante riconobbe anche che le sue artiglierie erano troppo in
avanti, a ridosso delle trincee, come si fa quando ci si prepara ad
attaccare e si vuole sfruttare al massimo la loro portata per colpire
in profondità le retrovie nemiche. Ordinò quindi di farle arretrare
un po' per volta sia per rendere più efficace la difesa che per
rendere possibile un'eventuale fulminea controffensiva. Che
nell’offensiva nemica partecipassero anche i tedeschi era ormai
certo ma, viste le precedenti vittorie ottenute contro gli austriaci,
reputava che con i tedeschi non sarebbe stato diverso. Che
l'offensiva nemica fosse prossima, era ormai di dominio pubblico.
Quel 10 ottobre un corrispondente del Corriere presso il comando
supremo scrisse al suo direttore Albertini: si riparla con molta
insistenza di una controffensiva austro tedesca che si inizierebbe
sull'altipiano di Bainsizza. Secondo le informazioni d'armata sarebbe
già tutto predisposto per l'arrivo di molte divisioni germaniche (si
dice 18!!)… si ritiene più verosimile che si tratti di nuove
divisioni per le quali vi sono indizi di movimento sulla fronte
orientale. Certo in questi giorni il nemico si è un po svegliato su
tutta la fronte Giulia, persino nella conca di Plezzo dove cannoni
che da lungo tempo tacevano si sono messi a far dei tiri che sembrano
di inquadramento. Il tempo si è molto infoschito da ieri a oggi.
Speriamo che cominci la stagione cattiva, che qui duri a lungo, e che
bagni le polveri del Kaiser, perché certo per noi un attacco in
grande stile potrebbe essere una grave prova. Se lo rompessimo
sarebbe una grande vittoria… Ma se dovessimo cedere?
Tratto
da Caporetto di Alessandro Barbero/ I vinti di Caporetto di Mario
Isnenghi/ Il Capo di Mario Mondini/
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