La pratica buddista non è un “dovere”, è un “diritto per diventare felici”.

In quali casi stiamo praticando per forza di inerzia?
Quando la decisione e l’obiettivo non sono chiari.
Quando si recita Gongyo e Daimoku senza una preghiera concreta.
Quando si recita Gongyo e si partecipa alle attività buddiste con un atteggiamento passivo o con senso del dovere.
Quando ci si lamenta e si critica la pratica e l’attività buddista.
Quando non si sente gioia, commozione e gratitudine nella pratica.
Quando si è arrendevoli di fronte alle sofferenze.
Quando viene meno lo spirito di ricerca.
Quando si trascura il lavoro, lo studio (per gli studenti) e di conseguenza viene meno il ritmo della “fede uguale a vita quotidiana”.
Quando non si sente più il senso di missione per kosen-rufu.
Quando viene meno il senso di responsabilità e la consapevolezza di essere dei leader di kosen-rufu.
È difficile accorgersi quando la nostra pratica procede solo per forza di “inerzia”.
A proposito di questi esempi, il presidente Ikeda afferma: «Essendo comuni mortali è inevitabile che chiunque si rispecchi in uno di questi punti. Ma Nichiren Daishonin nel Gosho ha scritto: “Se la tua fede si indebolisce e non ottieni la Buddità in questa esistenza, non rimproverare me” (Lettera a Niike, SND, 4, 250). La pratica buddista non è un “dovere”, è un “diritto per diventare felici”. Quando noi determiniamo e agiamo, riceveremo sicuramente retribuzioni positive».
Per diventare felici bisogna: mettere lo scopo, determinare pregare e agire.
Al contrario, se abbiamo un atteggiamento “passivo e agiamo col senso del dovere”, ovvero se pensiamo: «Hanno insistito, quindi devo farlo», non potremo ricevere i veri benefici e non cresceremo.
BS NR 316

Commenti

Post popolari in questo blog

S.Osvaldo – 6 aprile 1916 la fine della compagnia della morte

I cadaveri del Sei Busi - Monte Sei Busi, Ronchi dei Legionari (GO) il maggio 1916

Castagnevizza (Kostanjevica na Krasu), Slovenia il giugno 1917, in mezzo ai cadaveri