San Gabriele. La morte e il monte. Lezione III

Più a sud la brigata Palermo era ferma come una spina nel fianco lungo tutta la falda del rilievo, fin sotto le difese di S. Caterina, antemurale sud orientale del S. Gabriele, pronta ad entrare in azione. Da questo lato, la ripidità del terreno, in alcuni punti a strapiombo, rendeva impensabile prima ancora che realizzabile qualsiasi forma di azione. Eppure una serie di appostamenti per mitragliatrici con tiro incrociato esponevano anche quel settore alla furia delle fanterie italiane. Stretto a tenaglia, il monte sembrava essere sul punto di cadere da un momento all'altro. L'unico aggancio, in quel terreno sconvolto dalle esplosioni e vero cordone ombelicale per le truppe imperial-regie, un'esile trincea che, scavata con la dinamite nella viva roccia del versante settentrionale, svolgendosi come le spire di un serpente permetteva di portare
rifornimenti ai sopravvissuti. Caduta o interrotta quella sottile via, tutto sarebbe finito. Mentre sul resto del fronte l'undicesima battaglia dell'Isonzo si stava spegnendo, sul S. Gabriele la lotta s'infittiva con progressione geometrica. Il giorno 27 l'attacco a Ravnica si trasformò per il II C.d.A. in una strage. Le truppe fresche, immesse nella lotta, si infransero come flutti sugli scogli. Ovunque sangue, arti recisi, brandelli di corpi che rotolavano davanti alle prime linee pietrificando dal terrore amici e nemici. Soldati che fuggivano urlando. Intanto sul Veliki Hrib il 93° fanteria attaccò la cima, ma la pronta reazione della 18 IB lo respinse nuovamente. Stessa sorte al 67° reggimento della brigata Palermo che attaccò dallo sperone di Kramarca, ma fu subito fermato. Volendo a tutti i costi una vittoria completa il comandante della Seconda Armata, generale Capello, ordinò di rendere più stretto il collegamento tra i C.d.A. II e VI. Questo, nelle intenzioni, doveva avvenire simultaneamente in modo da stritolare sempre più il S. Gabriele sul lato nord. A sud la 24!! divisione attaccò due volte la quota 126 di Grazigna creando paurosi vuoti tra le sue file tanto da consigliare l'immediata sospensione dell'attacco. Il 27 si ritentò. Il monte, coperto di sangue, resisteva. Il 28 fu giornata di macello. Le brigate italiane da nord e da ovest risalirono la china disperatamente. Strepito di armi automatiche, esplosioni, urla. La battaglia durò da mezzogiorno alle sette, fino all'esaurimento delle forze. Poi tutto tornò come prima.
Il 29 agosto si ebbe un cambiamento ai vertici nel settore austro-ungarico: nel settore IIA, a von Fabini subentrò il G.d.K. principe Schonburg-Hartenstein. Alla sera dello stesso giorno gli italiani finalmente conquistarono di nuovo e riuscirono a tenere per diverse ore una trincea cinque metri sotto la quota 526 nord (Velihi Hrib). Ma un pronto attacco delle squadre d'assalto dell'87IB riportò nuovamente quel tratto di linea sotto il controllo austriaco. Il giorno 30 gli italiani, con un nuovo attacco, occuparono circa 200 metri di trincea in modo da cingere a semicerchio il punto trigonometrico 526. Le esauste truppe del II/34° e IV/20° e del 1/50° che effettuarono il contrattacco non riuscirono ad avere ragione degli assalitori. Assodata la situazione, i cannoni ripresero il loro lavoro mentre la fanteria esausta attendeva. Per tre ore, il giorno 31, centinaia di proiettili furono lanciati in direzione del monte che in mezzo al fumo scomparve, come sempre in quei giorni, alla vista delle truppe. Al lento diradarsi della caligine le fanterie italiane reiterarono l'attacco, la posizione venne allargata in direzione sud est, vennero occupate alcune caverne; dove si sistemarono le mitragliatrici. Un reparto dell'87IB e del II e IIl/50° contrattaccò invano. La trincea restò saldamente nelle mani italiane. Nel comando austro-ungarico ci si aspettava il peggio; la situazione era drammatica. Nonostante il continuo cannoneggiamento, però, le fanterie non attaccarono. Il logoramento era sentito da tutti i contendenti. Il giorno 2 settembre anche il cannone diminuì il suo furore. La brigata Palermo, ferma sotto la cresta che dal Veliki Hrib porta alla cima 646, vide nella conquista della cima 526 lo sblocco della situazione. Creato un corridoio alle falde del monte, potè far affluire sul versante occidentale le sue truppe ed attuare quello che prima le era stato precluso dalla natura del terreno. Le condizioni per una riuscita finalmente positiva e definitiva del duello erano tutte presenti.
Come in un enorme imbuto, collocato con il cannello nella breve breccia aperta, i fanti con i distintivi dalle centinaia di colori potevano essere incanalati in una delle due direzioni, vittoria o morte. Agli austro-ungarici parevano non curarsi affatto delle quantità delle perdite. Il calo delle riserve di granate per i cannoni, obbligò l'Alto Comando italiano a sospendere gli attacchi e a consigliarne la prosecuzione alla fine di settembre. Quello stesso giorno il generale austriaco Hrozny, comandante la 57ID, aveva dichiarato che la situazione era divenuta insostenibile: il monte non poteva più essere difeso in quelle condizioni10 . La sorpresa per l'improvvisa quiete fu quindi enorme e gli imperiali ne approfittarono immediatamente per rinvigorire la propria difesa. Quello che rimaneva della 57 venne sostituito dai due reggimenti della 106 Landsturminfanteriediuision 11, il 6 ° e il 31° , e dalla 19ID, formata da sei battaglioni e giunta solo alcuni giorni prima dal fronte russo, che non aveva alcuna esperienza di guerra sul Carso ( «nicht harstgewohnt» ). Nonostante le indicazioni di sospendere la battaglia, il generale Capello, non pago dei risultati ottenuti, e al di là del costo umano, comunque insostenibile, pensò ad un cambiamento di tattica nella convinzione che la presa del monte avrebbe potuto risolversi effettivamente in una vittoria completa. Diede ordine quindi al tenente colonnello Bassi13 di preparare con i suoi reparti d'arditi un piano per la presa del S. Gabriele. Dai due reparti originari, però, la consistenza di questa élite venne ridimensionata a tre compagnie del primo reparto, causa l'opposizione dei comandanti delle truppe operanti sul campo, timorosi di dover condividere con altri la gloria che la conquista del monte avrebbe portato. Il carente coordinamento, la mancanza di elasticità mentale dovuta anche all'eccessiva rigidità della catena di comando, il continuo bisogno di cercare l'approvazione dei superiori, contribuirono inoltre in misura non marginale alla prosieguo della carneficina.
Il giorno 4 settembre un nutrito gruppo di illustri personalità italiane e alleate salì sul Sabotino. Da uno dei ricoveri di quel monte gli occhi del re, di Cadorna, di Capello e degli addetti militari inglesi e francesi 14 erano fissi sul Veliki Hrib per osservare le posizioni e gli attacchi. Nelle trincee intanto le truppe attendevano l'ordine decisivo. Dalla parte avversa le truppe del 6 ° e del 31° Lst. IR, completavano il cambio in linea su un terreno sconvolto e di difficile orientamento. All'alba del 4 settembre un tiro di artiglieria molto celere svegliò gli austriaci impauriti, stanchi e nervosi. Le tre compagnie d'arditi, (2, 3 e 4 comp.) punta di diamante dell'attacco, si scagliarono contro le linee avversarie da tre differenti direzioni, mentre i fanti della brigata Arno , divisi in tre colonne, avevano l'ordine di seguirli appena questi si fossero attestati sulle posizioni conquistate. La terza compagnia tentò di accerchiare il S. Gabriele da nord, partendo dalla sella del Dol, la quarta fece lo stesso dalla parte destra verso l'altura di S. Caterina, la seconda attaccò di fronte al Veliki Hrib. Mentre la 3 e la 4 furono bloccate dalla reazione austro-ungarica, la 2 conquistò, trincea dopo trincea, tutte le linee fino ad arrivare in cima a quota 646. La corsa travolse i mille ostacoli frapposti dai difensori: nelle doline, i lanciafiamme e i coltelli rubarono il tempo _ a qualsiasi reazione. I soldati austriaci alzarono le mani mentre gli arditi saltavano da trincea in trincea, passavano le doline che portano alla cima e le «ripulivano». Un piccolo gruppo raggiunse la sommità della quota principale, che passò per un breve istante in mano italiana. Increduli gli imperialregi assistevano allo svolgimento dell'azione. L'attacco su tre lati riuscì a limitare l'intervento dell'artiglieria austro-ungarica, facendole perdere, nella frammentazione delle direttrici, la sua decisiva efficacia. Continuava, intanto, la pulizia del terreno. Nella terzultima dolina, prima della cima, fu trovata una caverna con tre uscite al cui interno i soldati si sentivano in qualche modo protetti. Un gruppo di arditi arrivò d'improvviso: le bombe e il lanciafiamme fecero arrendere il presidio. Dalla terza uscita, nascosta alla vista italiana da uno spuntone di roccia, alcuni imperialregi riuscirono a fuggire verso l'ultimo ricovero di truppe situato in una caverna prima del ripido pendio che porta alla quota 646, in quel momento già in mano agli italiani. La loro intenzione era non tanto salvare le proprie vite quanto avvisare dell'attacco i propri commilitoni. Alcuni arditi si lanciarono al loro inseguimento, mentre il grosso del gruppo arrivava all'ultima dolina, dopo la quale il possesso del pianoro sommitale sarebbe stato finalmente assicurato. Ma, allertati per tempo, gli austro-ungarici contrattaccarono, uccisero gli assalitori e si riversarono nelle doline sottostanti dove la colonna di rinforzo della Brigata Arno sgomberava i prigionieri dalle caverne. Gli arditi nel frattempo facevano quadrato cercando di mantenere la loro conquista. Il contrattacco austriaco ebbe facile gioco e la preponderanza numerica vinse. Anche i fanti delle brigate d'appoggio italiane rimasero impressionati dalla rapidità dell'azione, che consentiva ormai agli artiglieri imperal-regi la possibilità di dirigere sui rovesci delle trincee il loro fuoco micidiale.
E mentre il S. Gabriele si presentava davanti a loro ormai sgombro, un muro di esplosioni si innalzò impedendo ogni spostamento. Il 25° Lst. IR, suddiviso in piccoli gruppi, contrattaccò lungo tutto il pianoro, superò il fuoco italiano e si gettò sui nemici. Come fiere in gabbia entrambi gli avversari si batterono per il possesso di poche decine di metri.
La 2 compagnia arditi resistette ai contrattacchi ma, a corto di munizioni, si ritirò a poco a poco fino al fortino di quota 552, tenendolo saldamente. Gli assalitori non ne ebbero ragione e quando l'ombra della sera si allungò sul S. Gabriele le fanterie che li raggiunsero poterono consolidare la loro posizione sul versante est. L'attacco in profondità non era riuscito, ma l'allargamento delle posizioni tenute dagli italiani era preoccupante. Quando le prime luci del mattino cominciarono a rischiarare il buio assoluto della notte, piccole onde policrome17 popolavano il versante destro del monte e ne irrobustivano alacremente il crinale, altre le seguivano. La falla nella difesa imperiale era per il momento contenuta: il fronte austro-ungarico correva ora da S-O a meridione di quota 552, tagliava a doppia esse a nord la quota 526 verso Ravnica, passava sopra la «caverna del cannone» (Geschutzlmverne) e andava ad angolo retto a N-E verso la Selva di Tarnova. Pochi metri dividevano i contendenti e il comando imperiale giudicò indispensabile un nuovo contrattacco. Il 32° Lst IR e due battaglioni del 24° IR si gettarono contro le doline, e contro il declivio di quota 552, giù verso il Veliki Hrib. Ma le posizioni italiane, rafforzate durante la notte da nuovi reggimenti, ne spezzarono la corsa frantumandola contro il fuoco delle loro armi automatiche. Dove non arrivò la mitragliatrice fu il cannone a dettare le condizioni. Quando la sera rasserenò l'ambiente, le posizioni erano invariate. I battaglioni esausti vennero fatti sgomberare e sostituiti da altri. L'alba del 6 settembre vide l'inizio di un altro giorno di battaglia. Per tutta la giornata i combattimenti non persero di intensità, gli uomini si rincorsero da una parte all'altra del pianoro, ma la linea non si spostò di un centimetro. Il 7 lo spettacolo non cambiò e gli attacchi furono sospesi. La situazione stava rapidamente degenerando per entrambi i contendenti.
Università Popolare Venezia – Corso Prima Guerra Mondiale San Gabriele. La morte e il monte

Commenti

Post popolari in questo blog

Sul medio Isonzo, area di Plava quota 383

S.Osvaldo – 6 aprile 1916 la fine della compagnia della morte

Così si moriva sul Carso in una giornata tranquilla del 1917