Così si moriva sul Carso in una giornata tranquilla del 1917

- L’attacco è fissato per domattina alle sette.
Mentre impallidivano le stelle, la trincea si svegliava. Ormai mancavano pochi minuti; e le salmerie, appena arrivate, scaricavano in fretta il rancio caldo, col desiderio di partirsene al più presto. Insieme col rancio dieci litri di grappa, come surrogato del coraggio. Dieci litri per cinquanta uomini. Ma c’era chi amava più la vita della droga:
- Io quella roba non la prendo. Taglia le gambe e fa perdere la bussola.
- E chi se ne frega delle gambe e della bussola. Con o senza la bussola all’inferno ci arriviamo lo stesso.
Un altro aveva un piano più astuto:
- Io bevo, ma la ghirba voglio salvarla lo stesso. Faccio un bel salto avanti e uno indietro. Poi una fucilata sul piede col mio ‘91, proprio in mezzo all’osso.
Ma il sergente maggiore aveva sentito:
- Un’altra parola, e finisci davanti al plotone di esecuzione.
Con un boato profondo, l’artiglieria cominciò puntualmente il suo lavoro. Alte fontane di terra e fumo zampillarono sulle tormentate trincee nemiche. Poi, mentre il tiro si allungava sulle seconde linee e sul rovescio dell’altura, le bombarde cominciarono a vomitare i loro bidoni, carichi di potente esplosivo. Reticolati, trincee, camminamenti, tutto era ormai nascosto da un enorme polverone. Infine il silenzio, come per incanto. A comando vennero inastate le baionette. Pochi secondi e poi un urlo:
- Savoia! Tutti fuori.
Duecento metri di terreno scoperto, in salita: duecento secondi di corsa, e ne erano già passati cento. No! Ottanta. No! Sessanta, cinquanta…
Il fuoco incrociato di decine di mitragliatrici ebbe inizio contemporaneamente, falciando la prima linea e sorprendendo i corridori della morte negli atteggiamenti più grotteschi. Anche stavolta gli austriaci avevano guadagnato il minuto decisivo.
In mezz’ora tutto era finito.
L’ultimo a cadere fu il sottotenente. Sbandando e perdendo sangue e intestini da un orrendo squarcio al ventre, cadde in ginocchio davanti alla trincea nemica. L’ultimo suo pensiero fu che gli mancavano ancora due esami alla laurea e che li avrebbe rimandati chissà per quanto tempo…
Con lui morì il primo plotone della prima compagnia del terzo battaglione del reggimento. I superstiti non ebbero più la possibilità di tornare in linea, perché ormai ridotti ad un branco di mutilati e di sfregiati.
Marco Silvestri, Isonzo 1917, pagg.9-10

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