San Gabriele. La morte e il monte. Lezione I
Agosto
1917. Due anni di guerra avevano spinto il fronte italo-austriaco del
medio Isonzo a ridosso della catena montuosa che chiude a nord
l'anfiteatro goriziano. Nel corso della decima offensiva l'esercito
italiano, uscito dalla testa di ponte di Plava, aveva occupato la
micidiale quota 383 ed era avanzato lungo la dorsale Kuk-Vodice-Monte
Santo. La ripresa delle operazioni nel pieno dell'estate aveva messo
a dura prova la sistemazione difensiva austro-ungarica.
Lo
sfondamento sull'altopiano della Bainsizza, favorito dal cedimento
della linea meridionale ancorata sulle cime del Kobilek e dello
Jelenik, aveva prodotto l'arretramento generale dello schieramento
imperialregio e il conseguente abbandono delle sommità aspramente
contese del Vodice e del Santo. L'immediato risultato era stata
l'importanza assunta dal monte S. Gabriele quale elemento di raccordo
tra il fronte del medio Isonzo e la zona di Gorizia. Il S. Gabriele
dall'alto dei suoi seicentoquarantasei metri di quota, domina
completamente Gorizia e la pianura isontina a sud, la conca di Grgar
(Gargaro) ed il margine meridionale della Bainsizza a nord.
Sorgeva
allora come un gigantesco frangiflutti dinanzi alle ondate d'assalto
italiane che scendevano dal Vodice e dal Monte Santo per unirsi alle
forze amiche che salivano dalla stretta di Solkan (Salcano). Per la
prima volta dall'inizio delle ostilità era possibile aggredire il
colle da tre versanti. Il più abbordabile dei quali, nel caso che le
forze attaccanti fossero riuscite ad affermarsi sul Veliki Hrib
(quota 526), la sommità che incombe sulla sella del Dol a sua volta
dominata dalla cima del Santo, era senza dubbio il pendio
nord-occidentale. La conquista del monte si sarebbe però rivelata
effimera se le truppe italiane non avessero eliminato le posizioni
d'ala: il villaggio di Ravnica a nord, lo sperone di Kramarca e
l'altura di Santa Caterina a sud. Il fronte più abbordabile era
quello settentrionale, che aveva però lo svantaggio di essere sotto
il costante tiro dell'artiglieria nemica posta sul Monte San Daniele
e sull'altopiano di Trnovo (Ternava). Dopo la perdita del Monte Santo
e di gran parte della Bainsizza, alla fine d'agosto 1917, le forze
austro-ungariche non potevano rischiare l'abbandono del S. Gabriele
senza compromettere la tenuta dell'intero fronte goriziano. Le linee
ancorate sulle cime andavano infatti a collegarsi direttamente con
quelle della conca di Gorizia e del Carso. Dall'Hermada al S.
Gabriele correva dunque l'ultima ridotta dell'impero sul fronte
sud-occidentale. Sfondata questa sarebbe
stato estremamente difficile ricostruire il fronte e salvare
l'esercito dal tracollo morale e materiale. La natura e le
caratteristiche della guerra di posizione avevano trasformato
determinanti punti del fronte nell'epicentro dei combattimenti.
Luoghi sottoposti allo spaventoso potere distruttivo degli allora
moderni mezzi bellici e sui quali le posizioni, contese senza tregua
fino all'esaurimento delle forze, passavano di mano in mano. I
sacrifici sopportati per impadronirsene erano tuttavia del tutto
sproporzionati ai risultati conseguiti. Proprio la lotta per il S.
Gabriele divenne la battaglia nella battaglia. I combattimenti per la
sua conquista si protrassero a lungo dopo la conclusione
dell'undicesima offensiva isontina. Da fine agosto a metà ottobre
1917 l'artiglieria delle due parti batté con violenza crescente ed
inusitata quella montagna. Senza nessuna considerazione per le
perdite, in quella fornace venivano ostinatamente immesse truppe
fresche sperando che l'ultimo attacco, o l'inevitabile contrattacco,
si rivelasse risolutivo.
La
tremenda battaglia assunse l'aspetto di una sfida dalla quale si
attendevano importanti sviluppi tattico-strategici. Da parte
italiana, dopo aver constatato che le stanche e decimate fanterie non
avrebbero potuto avere da sole alcuna possibilità di successo, ci si
affidava interamente al peso materiale, ritenendo che la
preponderanza numerica e la superiorità di bocche da fuoco avrebbero
inevitabilmente soverchiato i nemici. Aperta la breccia, se soltanto
si fosse riusciti a mantenersi sulla cima spazzata dal fuoco
repressore dell'artiglieria austro-ungarica, il contraccolpo morale
della perdita di una posizione chiave come il S. Gabriele avrebbe
portato allo sbandamento degli austro-ungarici e al crollo del fronte
difensivo goriziano. L'idea, o meglio la speranza in un risultato del
genere si fondava sulla convinzione che il nemico fosse allo stremo.
Quest'ultimo da parte sua nei comunicati ufficiali non mancava di
citare il Monte tra i territori persi. Secondo i corrispondenti di
guerra, ciò scongiurava il crollo morale dell'esercito e istillava
in qualche modo la convinzione che comunque un altro monte avrebbe
salvato il fronte.
L'ambiente
carsico è infatti caratterizzato da estese superfici suborizzontali
delimitate da ripide scarpate nelle quali numerose doline, valli
secche ed altre forme carsiche contribuiscono a renderne variegata la
superficie. Il S. Gabriele, intanto, stava lì, seduto a cavallo tra
la Selva di Tarnova e la pianura del Vipacco con la parte
settentrionale protetta da strapiombi, campi careggiati e rocce
carsiche erose dal tempo e ammassate in lunghi e pericolosi ghiaioni.
Alla sua sommità l'esteso pianoro, diviso da una discontinuità
litologica, con in mezzo una serie di doline a uva1a , era affollato
di truppe austriache che lo difendevano dall'avversario con ogni
mezzo. Ognuna di queste doline, di questi inghiottitoi, pozzi,
gallerie, cavità di sbocco, create nel corso dei secoli dai fattori
atmosferici e ampliate ad hoc dalla mano dei genieri austro-ungarici,
fungeva da serbatoio per la resistenza e la carneficina. Tra dolina e
dolina, come ulteriore ostacolo, la natura ha frapposto un complesso
di Karren (campi careggiati) , affioranti o coperti parzialmente, con
le loro caratteristiche scannellature (piccoli solchi rettilinei
subparalleli separati tra loro da sottili creste aguzze). Una caduta
accidentale su questi poteva significare spesso la rottura di un
arto, nel peggiore dei casi la setticemia e la morte.
Università
Popolare Venezia – Corso Prima Guerra Mondiale
San
Gabriele. La morte e il monte
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