Squadre di volontari alla ricerca di più acqua possibile

Durante il soggiorno in dolina il tormento più grave era la sete. Stare circa una settimana, quasi immobili, col sole dardeggiante, col pasto di mezzogiorno costituito da viveri a secco, cioè mezza scatoletta di carne (una scatoletta ogni due militari) e una galletta, avrebbe richiesta tanta, ma tanta acqua, ed invece si disponeva solo di mezza tazza di vino, se si aveva avuto la costanza di conservarlo dalla sera prima […].
Poco lontano da noi, poche centinaia di metri in linea d’aria, in una depressione chiamata Vallone di Doberdò, era stata installata una stazione per la distribuzione dell’acqua, costituita da una serie di botti collocate sul ciglio della strada, rifornite continuamente con autobotti, ma per noi era difficile e soprattutto pericoloso raggiungerle, perché il percorso da compiere, anche se non molto lungo, era scoperto agli osservatori nemici che ci aspettavano al varco e sparavano raffiche di cannonate appena vedevano un militare in movimento […].
Si pensò di costituire ogni giorno una piccola squadra di militari volontari (cinque o sei uomini) che, dotati di bidoni di lamiera stagnata, della capacità di conque litri, si recasse ariempirli alle botti. I volontari alle botti, in premio, potevano bere quant’acqua volevano, ma, al ritorno, quella portata a loro non veniva distribuita.
Alunno, La prima guerra mondiale nel ricordo di un sopravvissuto cit.

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