Di Francesco: un allenatore destinato all'insuccesso?

Su Eusebio Di Francesco volteggia, da qualche anno, un apparente uccello del malaugurio. Pare essere circondato da un’aura di negatività che è impossibile togliersi di dosso, come una camicia di forza.
Urla, sgrida, sbraita verso i suoi pur dando la sensazione che comunque parta già sconfitto, come il titanismo prevede. Eppure, oramai sei anni fa abbondanti, è stato lui l’artefice dell’ultimo miracolo giallorosso, a 34 anni di distanza dall'ultima volta: la semifinale di Champions League, dopo la memorabile rimonta per 3 a 0 nei quarti di finale contro il Barcellona. Paradossalmente pure a Roma di lui non hanno un buon ricordo, nonostante l’exploit. 
L’esonero nel corso dell’anno successivo dopo una roboante sconfitta nel derby (7/03/2019, 3-0) è stato il là a una escalation in cui le cose, se possibile, sono andate pure peggio. Rescissione consensuale a Genova sponda Samp dopo sette giornate nella stagione 19-20, esonero a Cagliari dopo 23 partite di campionato e 16 sfide senza vittorie nella 2020-21, esonero a Verona il 14 settembre 2021 l’annata successiva, retrocessione da psicodramma all’ultima giornata con il Frosinone, visto il successo in extremis dell'Empoli con la Roma in concomitanza alla sconfitta casalinga dei ciociari in casa con l’Udinese, dopo aver sfiorato il vantaggio con Soulé (traversa) e Brescianini (palo). Così, pure l’avventura veneziana in cui si è imbarcato quest’anno pare incanalarsi su questi binari. E' un Venezia che in qualche momento illude, diverte, dà l'impressione che andrà tutto bene, che le chance di salvarci ci siano. Illusione, appunto, basta guardare la classifica.
È difficile navigare in questo mare di pregiudizio e negatività e ricavarne le effettive colpe del mister di Pescara. Si pensi alla stagione in corso, la più semplice da prendere in considerazione. 
Vedendo in certi sprazzi la sua edizione dei lagunari, si ha l’impressione che lo spartito sia chiaro, ben impostato, pure ambizioso, ma non adatto. Benissimo ricercare l’impostazione dal basso, così come impone il giochismo degli anni ‘20, ma non è possibile far leggere Leopardi ad un bambino delle elementari. La rosa è inadatta a questo tipo di impostazione: chi imposta della linea difensiva, che sia Idzes o Svoboda, non ha le qualità adatte; manca in rosa un altro uomo che leghi centrocampo e attacco che non siano le folate di Oristanio, predicatore nel deserto nella metà campo offensiva del Venezia. Ecco qui però lo spunto per un’ulteriore riflessione, da avvocato del diavolo. Il mercato lagunare in estate è stato gravemente insufficiente. Il solito coraggioso mercato esotico – peraltro per l’ennesima volta poco utile, vedesi Sagrado e Schingtienne - è stata la risposta alle difficoltà economiche sistemate da Drake, per cui le attenuanti sono di certo da considerare nella valutazione. Mancherebbe almeno un difensore d’esperienza, un paio di uomini in supporto a Pohjanpalo, un interno di centrocampo. Quindi, più colpe di Difra o di ciò che si ritrova per le mani? La verità sta nel mezzo, come sempre. Il non adattarsi al materiale a disposizione, e soprattutto non aver plasmato un undici continuo nella concentrazione per 90 minuti. In più, la gestione difensiva del Venezia sui corner è una serie horror a più puntate. Su questo sì ha responsabilità.  
Così come a Venezia, pure le altre avventure post Roma hanno concorso di colpa. La Samp del 2019 si salva a quattro giornate dalla fine grazie al deus ex machina Ranieri, ma anche qui la situazione del club era una chimera, con un’estate passata con Ferrero impegnato più a cercare di strappare il massimo dalla cessione della società che a rinforzare la squadra; il Cagliari vive delle onde emotive del presidente Giulini, che infatti il 24 gennaio 2021 prima gli rinnova il contratto e nemmeno un mese dopo lo accompagna alla porta; un suo virgolettato dell’8 ottobre dell’anno scorso «Verona è stata una brutta esperienza, e non parlo di calcio, nel calcio si può sbagliare. Parlo di uomini. E bisogna essere uomini» riassume la sua esperienza scaligera. 
Ma se il titano è sconfitto in partenza, perché affidarsi a lui? E viceversa, per non essere sconfitti in partenza, perché non ponderare le scelte di panchina, valutare il materiale e accettare o meno?
Il Di Francesco del 2024 è, quindi, un allenatore che sceglie piazze difficili non essendo in grado di assumersi l’incarico. Non è un parafulmine, capace di allontanare dal gruppo pressioni e critiche; non è più, come ai tempi di Sassuolo, in grado di sovvertire il pronostico con le sue idee di campo, per ottusità e poca versatilità nell’adattarsi a chi ha a disposizione; paradossalmente ciò di cui avrebbe bisogno è proprio, finalmente, una soddisfazione vera, un’iniezione di fiducia per uscire dal vortice di negatività in cui è entrato, emotiva e tecnica. 
Proprio quest’ultima preoccupa, il non aver compreso che le esigenze di piazze in lotta per la salvezza sono altre, non l’impostare per forza col portiere e affidarsi a Haps per risalire il centrocampo. A tratti illude, diverte, ma perde, o si perde. Per ora a Venezia pare aver ancora l’appoggio di una frangia ancora ampia dell’opinione pubblica e del tifo, ma la precarietà è d’obbligo quando si parla di Di Francesco. Uno, due innesti per sovvertire l'equilibrio in fondo alla classifica, basta metterci del suo. Ecco, qui nascono i dubbi. Si ha, infatti, l'impressione di sapere già come andrà a finire, anche in questo ballo.

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