A partire dalla nostra verità

Non ci sono regole che stabiliscono come dobbiamo pregare, Ikeda è molto chiaro al riguardo. La cosa importante è andare davanti al Gohonzon così come siamo. «Se assumiamo un atteggiamento artificioso per simulare sentimenti elevati stiamo mostrando un falso io, e il Gohonzon non risponde alle bugie. Quando recitiamo Daimoku per le nostre grandi preoccupazioni e per i nostri desideri, il nostro stato vitale si apre naturalmente e gradatamente sviluppiamo il desiderio di pregare non solo per noi stessi ma anche per la felicità dei nostri amici e per kosen-rufu» (SSDL, 310-6). Altre volte capita di recitare schivando i pensieri, le preoccupazioni,le ansie come fossero mosche fastidiose che si frappongono tra noi e la nostra attenzione, che ci sforziamo di inseguire. Con il risultato di sentirci alla fine esausti e ancora più confusi. In realtà, scrive ancora Ikeda, «non c’è nulla di sbagliato nel fatto che mentre recitiamo la nostra mente sia attiva. Questi pensieri sono frutto delle nostre preoccupazioni: invece di considerarli inappropriati dovremmo pregare sinceramente per ciascuno di essi, quali che siano. Pregare non soltanto per le grandi questioni ma per qualunque problema, risolverlo e rafforzare così la nostra fede» (cfr. Ibidem, 309-10). Nichiren assicura che «non c’è vera felicità per gli esseri umani al di fuori del recitare Nam-myoho-renge-kyo» (Felicità in questo mondo, RSND, 1, 607). Farlo a partire dalla propria verità è il modo più diretto per sperimentarla.
Marina Marrazzi BS 195

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