13 Marzo 1916 brigata Ferrara V battaglia dell’Isonzo

La mattina del 13 Marzo 1916, alle ore 6.30 circa, dopo un vivace bombardamento delle linee nemiche che aveva sconvolto i reticolati posti sul davanti delle trincee di Cima 4 del S. Michele e aveva aperto dei varchi fra essi, la 15° Compagnia comandata dal capitano Gizi, a cui io ero stato aggragato provvisoriamente, si lanciava all’assalto di detta quota […]. Ero armato di fucile. Al mio fianco il mio attendente, munito di un disco bianco da segnalazione alla artiglieria, da piantare sul ciglio della trincea avversaria appena vi si fosse arrivati. Si sale correndo, schivando le fucilate. Dalla posizione nemica che dista dalla nostra una cinquantina di metri infuria la fucileria, qua e là hanno aperto il fuoco le mitragliatrici. La pioggia cade giù violenta. Raggiungo nel più breve tempo possibile il punto designatomi. Spingo, incalzo i soldati vicini perché saltino dentro la trincea nemica, strappo il disco bianco al mio attendente, lo pianto sul ciglio della trincea […].
Cado malamente sbattendo la spalla sinistra sul muro di contro un camminamento. Mi rialzo prontamente. Mi viene su dalla gola come un getto di sangue. Mi sento brevemente ferito all gola, il labbro inferiore, già gonfio, gocciaola sangue. Non so come tutto ciò stia avvenuto. Sono in un camminamento in pietra dura, alto un paio di metri. Fo alcuni passo avanti, volgo a destra del camminamento; precisamente all’angolo di un ricovero, che poi seppi un Comando di Compagnia, dalla cui porticina appena passo escono due palle di fucile che mi fischiano alle orecchie e vanno a sbattere nella parete dirimpetto. Come una raffica delle pietruzze m’investono alla faccia, alla testa.
Minacciato dal fondo del camminamento da parecchi fucili ritorno sui miei passi e avendo scorto ad un paio di metri dal ricovero del comando di Compagni, una specie di buca, che serviva agli austriaci da latrina, circondata da muricciolo e quindi al coperto da fucilate mi ci ficco. Trovo li dentro due soldati e un caporale di cui non ricordo i nomi […] Già i fucili a causa della pioggia che cadeva sempre più fitta e del fango cominciano a funzionare male. Mentre io e il caporale spariamo gli altri due soldati ci puliscono i caricatori e tentano di cacciar fuori una pallottola dalla canna otturata di un fucile. Frattanto il povero tenente Vizzo, dal punto medesimo donde ero saltato io, lanciavasi giù. Cadeva morto. Noi continuavamo a sparare e contro il comando di compagnia e contro quelli che ci dominavano dall’alto.
Il silenzio cominciava a farsi grande. Dei due fucili rimastici, uno si otturava con una pallottola, i caricatori finivano. Avevamo due bombe a mano e le lancio sulla soglia della porticinaa che mi stava davanti. E’ una cattiva idea. Dall’alto piovono due bombe che vengono a cadere ai nostri piedi una dietro l’altra. Non si può sfuggire ad esse. Un passo fuori dalla buca e le fucilate ci accolgono. Prenderle? Rigettarle? E se scoppiano al minimo urto? Siamo come sorci in trappola. Bisogna attendere e subire l’azione delle bombe con rassegnazione. Cerchiamo di farci piccini piccini in quel sito angusto. Dopo non so quante ore che mi sembrarono secoli mi sentii scosso. Due austriaci, uno per le spalle, uno per le gmbe mi portarono fuori per trasportarmi al posto di medicazione. Ero stato ferito gravemente alla gmba., al braccio, entrambi lato sinistro; lievemente in varie parti del corpo.
Relazione del sottotenente Capuana, fondo F 11, n.1914, Aussme, Roma

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