Uccidere a Monte Seibusi 1916

La trincea delle Rocce,  sulla sinistra, aveva un piccolo rialzo del terreno che, opportunamente sistemato, serviva da posto di vedetta. Da quel punto si vedeva bene la trincea nemica, lontana quaranta o cinquanta metri, ed il  terreno un po’ avvallato interposto tra i due fronti. Le nostre trincee, in quel settore, erano scoperte e quelle del nemico coperte. Inoltre quelle nemiche; qua e là, avevano scudi metallici protettivi muniti di feritoie rettangolari.
Un giorno un mio compagno che era di vedetta riportò ben sette piccole ferite dalle minute schegge laceranti di una pallottola di un fucile dum dum sparta dal nemico.
Qui è necessario ricordare che le convenzioni internazionali vietano l’uso in guerra di proiettili di fucile esplosivi a causa delle inutili e barbare sofferenze che producono esplodendo all’interno di un corpo umano.
Il giorno successivo a questo episodio toccò a me montare di vedetta.
Verso mezzogiorno fu distribuito il rancio, una mezza gavetta di riso (il riso era di casa nel vitto del soldato) ed io sedetti e con alle spalle sacchetti di terra e la gavetta sulle ginocchia, cominciai a mangiare.
Avevo mangiato le prime cucchiaiate di riso quando arrivò una fucilata con proiettile esplosivo, ma questa volta esplose prima di uscire dal sacchetto, proprio pochi centimetri al di sopra della mia spalla destra: forse tra la terra aveva incontrato un sassolino che ne aveva determinato l’esplosione. Io ero salvo, ma nella mia gavetta era caduta diversa terra che aveva coperto il riso. Che fare? Non potevo mica andare al ristorante e neppure rimanere senza mangiare. Non vi era che una soluzione: buttar via la terra col cucchiaio, ripulire il riso e mangiare quel che rimaneva e così feci, ma mi proposi di dare un’adeguata risposta.
Dopo aver terminato di mangiare studiai bene la situazione; le fucilate nemiche partivano da una delle feritoie degli scudi di ferro. Guardando in quelle feritoie si vedeva tutto scuro perché la trincea era coperta ma se si avvicinava alla feritoia il viso di una persona che doveva esplorare il terreno antistante, il vuoto della feritoia si schiariva per effetto dei raggi di luce riflessi. Ciò constatato, dissi a due miei compagni: - Io sparerò in quella feritoia – e gliela indicai – Voi guardate bene quando io sparo: se infilo la feritoia non vedrete nulla, ma se la sbaglio, vedrete qualche cosa dove batte il proiettile.
Detto ciò mi sdraiai per terra, posi il fucile nella giusta posizione di tiro, e poi mi feci coprire con un telo da tenda, in modo che dalla posizione nemica la mia feritoia fosse come scomparsa. Dopo una lunga attesa, comparve la faccia nemica e dal mio fucile partì un colpo che penetrò nella feritoia e inesorabilmente nel cranio del nemico. Non un grido si udì, nulla! La risposta era arrivata a destinazione!
Passò del tempo prima che tornassero a guardare e, quando si decisero, lo fecero con mossa rapida, il che significava che qualcosa era successo.
Gli sparai ancora un colpo che certamente andò a vuoto, ma che voleva dir loro: - State attenti, perché siamo qui pronti a darvi la risposta! –
Fin quando rimasi in quella posizione non si sentì più parlare di proiettili dum dum.
Dal diario di Guido Alunno Militare, Regia Guardia di Finanza, XX battaglione Regia Guardia di Finanza, XII battaglione Regia Guardia di Finanza, finanziere

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