Le condizioni di vita

Spesso i soldati consumano pasti freddi: formaggio, brodo di fagioli, caffè, marsala e fumano, le sigarette e i sigari sono presenti in molti racconti: fumando si inganna l’attesa, il fumo copre l’odore della morte. A volte manca l’acqua per bere, non ci si può lavare, perché non c’è luogo dove sia possibile togliersi di dosso il fango e la sporcizia. Niente di strano che in queste condizioni, col tempo, i soldati diventino sempre meno reattivi, finiscano per essere soggiogati da quella passività che è interrotta solo dai momenti in cui scatta l’ordine di attacco. Se una certa dose di remissività era sicuramente una caratteristica ben accetta ai comandi (il soldato in trincea deve sopportare e “spegnere” la propria coscienza), a lungo andare non si può negare che questa apatia può diventare pericolosa e allora bisogna intervenire con la propaganda (cartoline postali, giornali, manifesti ecc.) che permettesse di mantenere il controllo degli uomini. In realtà spesso il trascorrere dei mesi, l’inutilità dei massacri che si succedevano sui fronti riducevano qualsiasi fiducia: a nche chi si era arruolato con entusiasmo o sentiva comunque la partecipazione al conflitto e alla difesa della patria come un “sacro dovere”, pur non manifestando nessun intento bellicoso, progressivamente si trasformava in un uomo che cercava in qualche modo di sopravvivere.
L’identificazione con il reparto e lo spirito di corpo
L’unica forma di conforto poteva forse risiedere nello spirito di corpo, grazie al quale si creavano rapporti di identificazione col reparto a cui si apparteneva e una solidarietà per i propri compagni, che ovviamente diventava sempre più forte, tanto da far sentire la morte di uno di essi come la perdita di una parte di sé (E.J. Leed, No Man’s Land, Cambridge, 1979). A questa identificazione contribuivano paradossalmente anche le licenze, durante le quali il soldato prendeva coscienza che il mondo della pace, che egli ricordava, non esisteva più, perché tutto era stravolto, la vita si era incanalata su binari nuovi, che per lui risultavano sconosciuti, insomma la guerra aveva distrutto anche l’esistenza civile: dove si sarebbe ritornati, se mai la guerra fosse finita? Così il ritorno al reparto lo vedeva in una condizione psicologica ancora peggiore, tanto da finire per pensare che la sua vera famiglia fosse il proprio reparto, dove tutti vivevano nelle stesse condizioni, correvano gli stessi rischi, creando un sentimento comune derivato dalle esperienze vissute.
Guerra di trincea Consorzio Culturale del Monfalconese

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